trump-zelensky

quattro chiacchiere al petrus-bar
Visualizzazione post con etichetta stravinski. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta stravinski. Mostra tutti i post

01 marzo, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.18 – Xian Zhang

Atteso ritorno in Largo Mahler per la Direttrice Emerita dell’Orchestra Sinfonica di Milano, che trascorse qui alcuni anni (09-16) assai particolari della sua carriera: inclusa la nascita del suo secondo figlio, che lei si portò dietro dentro anche sul podio fino all’ultimo giorno!

Il brano di apertura serve precisamente per scaldare l’uditorio per ciò che verrà poi, due composizioni fra loro legate dalla stessa paternità russa: Stravinski e Ciajkovski.

Quindi, ascoltiamo dapprima lOuverture dalle musiche per Die Weihe des Hauses (op.124) che occupa una posizione assai scomoda nel catalogo beethoveniano, stretta com’è nella stritolante tenaglia di Missa (op.123) e Nona (op.125). E sono anche gli anni delle ultime tre sonate pianistiche e delle variazioni Diabelli!

Il titolo del lavoro è stato tradotto in italiano in modo letterale (La consacrazione della casa) il che porta francamente fuori strada chi non sia informato delle circostanze che ne determinarono la composizione. Chiunque infatti penserebbe subito alla casa nell’accezione di dimora e quindi, in senso lato, di famiglia: quindi immaginerebbe che si tratti della solennizzazione della classica benedizione delle famiglie (a pochi verrebbe in mente di pensare all’inaugurazione di una... ditta!)

Invece Haus in crucco (così come House in albionico) è un termine impiegato (anche) per definire i teatri (es.: Royal Opera House, Opernhaus Zürich); ed è proprio l’inaugurazione di un teatro viennese (Theater in der Josefstadt) che fece arrivare a Beethoven la commissione di musiche di scena per il lavoro teatrale che doveva celebrare l’avvenimento. Per risparmiare tempo e fatica Beethoven propose l’impiego de Le Rovine di Atene (altra musica di circostanza composta 11 anni prima per l’inaugurazione di un teatro tedesco a Pest).  

Alla fine Beethoven si risolse di comporre tre nuovi pezzi (da incastrare nelle Rovine) fra i quali la nuova Ouverture (ironia della sorte, non eseguita all’inaugurazione, perché… non pronta!) Per la quale si dice che l’ispirazione estetico-formale sia venuta a Beethoven da Händel, ed in effetti sentiamo atmosfere da pomposità tipiche delle musiche che il tedesco trapiantato in Albione componeva per i Reali di lassù, ma anche un complesso contrappunto che caratterizza il nucleo della composizione.

Dandole però anche un retrogusto di pedanteria fiamminga, tecnicamente ammirevole ma che, unita alla persistente staticità tonale (DO-SOL e nulla più…) e alle dinamiche fin troppo invadenti, rischia di rendercela, in tutta franchezza, un tantino pesantuccia da digerire.

Ovviamente nulla di cui incolpare l’Orchestra, che ha fatto interamente il suo dovere!   

___     
Il brano centrale della serata è targato Igor Stravinski: si tratta del suo Divertissement dal balletto (non proprio passato alla storia) Le baiser de la fée. Balletto commissionatogli nel 1928 da Ida Rubinstein, che prendeva spunto dalla fiaba di Andersen La vergine dei ghiacci

Per la composizione del quale Stravinski si ispirò apertamente all’Autore dell’opera che chiude la serata: Ciajkovski, al quale la partitura è dedicata:

Nel 1873, proprio lo stesso periodo di creazione della Seconda Sinfonia, Ciajkovski aveva composto, su richiesta del teatro Malyj di Mosca, le musiche di scena (19 numeri per il Prologo e i 4 atti) per la fiaba popolare (messa in versi da Alexander Ostrovski) intitolata La fanciulla di neve. E da queste musiche, e da altre opere giovanili di Ciajkovski, prese spunto Stravinski per il balletto.

Nel 1934 poi Stravinski derivò dall’intero balletto il Divertissement, una specie di Suite che riprende circa il 50% (anche come durata) della musica del balletto:


Balletto
Divertissement
1. Prologo – Ninna-nanna nella tempesta
I. Sinfonia (meno n. 27-39)
2. Una festa al villaggio
II. Danze svizzere (troncato al n. 96)
3. Al mulino –
Passo a due (Entrata-Adagio–Variazione–Coda) –
Scena
III. Scherzo (meno n. 122-130 e 154-155)
IV. Passo a due (Adagio–Variazione–Coda)
(più 14 battute)
4. Epilogo – Berceuse delle dimore eterne
 

Come si vede, c’è un taglio nel Prologo (Sinfonia); un altro al termine della Festa (Danze svizzere); due tagli nella scena Al mulino (Scherzo); il taglio dell’Entrata del Passo a due; un’aggiunta in chiusura del Passo a due per chiudere il Divertissement; omessi quindi la Scena finale del brano 3 e l’intero Epilogo.

Sono 25 minuti di musica accattivante, dello Stravinski che si suol catalogare come neo-classico, ma che qui – grazie ai riferimenti all’amato Ciajkovski – in realtà sconfina ampiamente nel romanticismo. 

Xian però di romantico lascia poco, sottolineando i connotati più jazzistici della partitura, e trascinando il pubblico all’entusiasmo. 

___
In chiusura ecco Ciajkovski e la sua Sinfonia n. 2, detta Piccola Russia dal nomignolo (di significato bifronte…) con il quale veniva apostrofata ai suoi tempi l’Ukraina, dove il compositore passò diverse estati e compose proprio questa Sinfonia.

In questo articolo scritto in occasione della precedente esecuzione qui della Sinfonia (sempre con Xian, nel settembre 2014) avevo proposto qualche nota introduttiva di carattere geo-politico sull’Ukraina ai tempi di Ciajkovski, proprio nei giorni in cui il Paese viveva i postumi della crisi (EuroMaidan) che aveva scalzato il Presidente filo-russo Janukovich, sostituito da un governo filo-occidentale, e provocato così la reazione russa culminata nell’annessione della Crimea, dando inizio a 8 anni di guerra civile nel Donbass, culminati nell’invasione russa del febbraio ’22, cui il faro della Meloni – come si è visto proprio ieri sera in mondovisione - proclama di metter fine senza badare all’etichetta…

Per curiosità ho interpellato l’omnisciente Intelligenza Artificiale per sottoporle una bizzarra domanda: Se Ciajkovski fosse vivo oggi, sull'Ukraina starebbe con Putin o con Mattarella? Devo dire che la risposta dell’oracolo (che ci ha dedicato ben 87 secondi del suo preziosissimo tempo!) mi è sembrata interessante, pur se venata da un certo fastidio per la pretesa inconsistenza della domanda, che vorrebbe mettere in relazione fatti e idee di momenti e personaggi storici così lontani e inconfrontabili. Quindi, giustamente, l’oracolo rifiuta di sbilanciarsi, limitandosi a fare ipotesi più o meno generiche.

Ma la cosa che mi sento di condividere totalmente è proprio l’ultimissima conclusione della risposta: Meglio concentrarsi sulla sua (di Ciajkovski, ndr) eredità artistica, che unisce Russia, Ucraina ed Europa.

Bene, non saprei dire se dall’interpretazione della Xian sia emersa precisamente questa eredità artistica, ma di sicuro se ne è potuta apprezzare la freschezza e l’assenza di retorica (rischio che si corre soprattutto nei due movimenti esterni). Come suo costume, la Direttrice sino-americana tende sempre all’essenziale, a prosciugare più che a rimpolpare (lei è nemica dei da-capo, per dire, e anche ieri ha omesso quello della seconda sezione dello Scherzo).

Risultato comunque elettrizzante, grazie ovviamente anche allo stato di grazia dell’Orchestra (mia menzione particolare per il corno di Amatulli nella lunga Introduzione con il tema del Volga). Pubblico folto prodigo di uragani di applausi per l'Orchestra e di ripetute chiamate per la rediviva Xian.


12 gennaio, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.8

La stagione principale de laVerdi riprende nell’anno nuovo con un’appendice del vecchio: si torna un po’ all’atmosfera natalizia, con un programma che presenta come primo brano la Suite da Lo Schiaccianoci di Ciajkovski. 

Sul podio un gradito ritorno: quello di John Axelrod, che ha diretto gli 8 numeri della Suite (circa 25 minuti, rispetto a 1 ora e 45 minuti dell’intero balletto) con grazia e leggerezza settecentesca. Sugli scudi Carlotta Lusa alla celesta, il flauto di Nicolò Manachino, e l’arpa di Elena Piva, destinatari di speciali riconoscimenti da parte di un pubblico non più oceanico come nei concerti delle trascorse feste, ma sempre caloroso e prodigo di applausi per tutti.
___
Ha poi chiuso la serata un altro famoso brano di musica russa da balletto: l’Uccello di Fuoco di Igor Stravinski. Di cui l’Orchestra ha eseguito, per la terza volta nella sua intera storia, la versione integrale (1909-10). A differenza di quelli classici di Ciajkovski, i balletti moderni di Stravinski normalmente non superano di molto la mezz’ora, e questo è forse il più lungo (45’) e può così trovar posto anche in un programma concertistico (le Suite predisposte dall’Autore non sono poi tanto più corte). E in effetti si può sempre discutere se sia musica proprio godibile al massimo grado anche in assenza della coreografia per la quale fu composta…    

Rispetto a Ciajkovski qui l’orchestra è a pieni ranghi, anche se solo a tratti (oltre che nell’abbagliante finale) viene impiegata in modo massiccio, anzi. In ogni caso la prestazione dei ragazzi è stata davvero eccellente, e il Direttore ha messo nel dovuto risalto i tratti infernali della partitura (che anticipa quelli davvero barbari del Sacre).

Esecuzione accolta da lunghi e reiterati applausi per tutti (e anche ritmati per Axelrod). Si replica solo questa sera.

05 maggio, 2023

laVerdi 22-23. 28

Il concerto n°28 della stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano (sul podio il Direttore Residente, Andrey Boreyko) presenta un soggetto assai particolare (il mito di Edipo) esplorato da due diverse angolazioni musicali: Pizzetti e Stravinski. Lo stesso accostamento era stato proposto meno di un anno fa al Maggio, con direzione di Daniele Gatti. E così come a Firenze, anche qui il brano stravinskiano è stato proposto in forma concertante, senza le pur scarne ed essenziali scene(/costumi) previste in origine per la rappresentazione dell’oratorio.

Si apre con Ildebrando Pizzetti e i suoi Tre Preludi Sinfonici per l'Edipo Re di Sofocle, del 1903. In origine furono composti come musiche di scena (Intermezzi fra i diversi episodi, verosimilmente) ma successivamente sono quasi sempre stati eseguiti – come qui - in concerto.

Mi viene di paragonarlo, alla lontana, con lo schumanniano Ouverture, Scherzo e Finale: il primo tempo che presenta, dopo un’introduzione sulla dominante FA#, un primo tema in SI minore, assai mesto e cupo, caratterizzato da terzine ribattute; il secondo di sapore romantico, che arriva a sorpresa in MIb maggiore, ma cangiante presto al minore; quindi un ponte dalla natura ansiogena conduce alla ripresa del secondo tema, adesso direttamente in MIb minore e poi – dopo il ritorno del FA# introduttivo - del primo, ancora in SI minore, a spegnersi lentamente.

Il secondo tempo è di fatto un anomalo Scherzo in tempo ternario (tema concitato in FA# minore, di sapore quasi bruckneriano) con Trio che presenta un tema elegiaco e giocoso, nella stessa tonalità, ma in modo maggiore, poi però rimpiazzato dal ritorno – in FA maggiore – del secondo tema del primo Preludio per lasciare spazio quindi ad un mesto recitativo dell’oboe, in FA minore. Chiude il Preludio un poderoso ritorno del FA#, che reitera a sua volta il secondo tema del primo preludio e poi alterna – mahlerianamente - minore e maggiore. 

Il finale è tutto in DO, inizialmente in minore, con un lamentoso recitativo del primo violino, per poi sciogliersi in una chiusura quasi serena, in maggiore, ma con la sesta (mahleriana!) a dargli una sfumatura compassionevole.

Pare che Pizzetti non abbia lasciato alcun esplicito programma, così esegeti e musicologi hanno avanzato ipotesi più o meno plausibili, ad esempio: la desolazione di Tebe, l’arrivo di Edipo che sfida la Sfinge e – dopo la tragica rivelazione e le relative conseguenze - il vagare di Edipo, ormai morto al mondo, con la fedele Antigone.

Una possibile interpretazione della musica potrebbe venire applicandole i criteri che un tale Christian Friedrich Daniel Schubart già a fine ‘700 aveva codificato in fatto di espressività delle tonalità musicali, elencando per ciascuna delle 24 (maggiori+minori) i caratteri distintivi. [Chissà se Pizzetti si sia rifatto a quella classificazione…]

Così il SI minore di apertura evocherebbe la rassegnata attesa del popolo tebano per il realizzarsi del volere divino, rappresentato dal MIb maggiore, al quale si contrapporrebbe il Mib minore, evocante invece pessimismo e disperazione.    

Così il FA# minore dell’inizio del secondo Preludio potrebbe rappresentare risentimento e frustrazione, compensati però dal trionfante FA# maggiore e dal riposante FA maggiore, poi subito scacciati dal FA minore (oboe) che evoca profonda depressione e desiderio di morte. L’alternarsi di FA# maggiore e minore dà al brano una chiusura… enigmatica.

Infine, Il DO minore conclusivo evocherebbe desiderio d’amore, ma anche pena per un amore contrastato e infelice. Il DO maggiore delle ultime battute potrebbe applicarsi alla ingenua semplicità di Antigone, ultimo e unico, pietoso sostegno per il padre distrutto.   

Ma questi sono solo esercizi accademici; resta il fatto che si tratta di musica di alto profilo, che Boreyko e laVerdi hanno saputo trasmetterci in tutta la sua nobiltà. Meritati quindi i consensi del pubblico, tornato a livelli… pre-Rachmaninov, ecco (però con consistente presenza di giovani e giovanissimi, il che rappresenta sempre una confortante notizia).
___
Il clou del concerto è l’Opera-Oratorio Oedipus Rex di Igor Stravinski, del 1926-27, poi revisionata nel 1948. Il testo originale è dello stesso Stravinski e di Jean Cocteau, che decisero però, piuttosto bizzarramente (anche se con qualche ragione…) di farlo tradurre dall’originale francese in lingua latina (traduzione affidata a Jean Daniélou, un religioso latinista, che divenne molto più tardi Cardinale…) Del testo francese rimangono soltanto i 6 interventi parlati del Narratore, qui recitati in italiano dal grande Massimiliano Finazzer Flory

Insieme al Coro maschile (diretto da Massimo Fiocchi Malaspina) che impersona il popolo di Tebe, i protagonisti dell’Oratorio sono:

Tuomas Katajala (tenore, Œdipus)
Petra Lang (mezzosoprano, Jocasta)
Robert Bork (basso-baritono, Créon)
Dongho Kim (basso, Tirésias)
Patrick Vogel (tenore, Pastore)
Bruno Taddia (basso-baritono, Messaggero)
___

Avvicinarsi a quest’opera non è semplice: di primo acchito si fatica a entrare in sintonia con una narrativa musicale apparentemente astrusa, un pot-pourri di stilemi diversi e poco coerenti. Per questo conviene, ad un ascoltatore che non voglia farsi prendere alla sprovvista, esplorarne il testo (con la traduzione italiana) e poi una dotta esegesi, come questa dell’indimenticabile Sergio Sablich. A questo punto è consigliabile passare all’ascolto dell’opera con la parte narrata in italiano: qui Giancarlo Sbragia nel 1969 in un’esecuzione della RAI di Roma diretta da Claudio Abbado. Approfondimenti più strettamente musicali sono possibili esplorando questa lezione del prof. Nicola Sfredda.

Ma la più sconvolgente presentazione dell’opera è quella fatta dal sommo Lenny Bernstein ad Harvard, nell’ultima delle sue fulminanti lezioni del 1973: a 1h37’37” del video Bernstein comincia a parlare dell’Oedipus, suonando le battute introduttive in SIb minore, caratterizzate da quattro note (SIb-DO-LA-SIb), che presentano il carattere dell’opera, il suo soggetto (per ora) enigmatico (!?) 

L’enigma si svelerà di lì a poco (1h45’50”) quando Bernstein riassumerà l’essenza dell’Oedipus nel binomio: pietà e potere. Che sono anche alla base di un’opera famosa del melodramma ottocentesco: Aida! (ora si capisce perché Bernstein all’inizio della lecture ne aveva strimpellato al pianoforte uno dei ballabili.) Dove troviamo l’origine di quelle quattro note del tema che introduce l’Oratorio (siamo sulla dominante di SIb, FA minore): Aida che risponde ad Amneris (Atto II) con le parole: tu sei felice, tu sei possente… Io vivo solo per questo amor!

Certo, Bernstein era un ammiratore di Stravinski, a differenza di molti musicisti e musicologi che invece lo disprezzavano, ma insomma, qualcosa di vero o di interessante mi pare proprio che ci sia nelle sue appassionate argomentazioni…

Subito dopo questa rivelazione (1h57’12”) possiamo ascoltare l’opera dalla BSO diretta da lui, che poi chiuderà la lezione con il suo incrollabile credo nella tonalità (la poesia della terra…, come appunto titola la sua lezione).
___

Bene, devo dire che – ancora una volta – laVerdi ci stupisce per coraggio di proporre opere impegnative quanto poco conosciute e capacità poi di realizzarle con risultati davvero eccellenti. Come detto, si è optato per la forma di concerto, con i sei solisti di canto alternatisi al proscenio, su due postazioni ai lati del podio. Finazzer ha invece declamato gli interventi del Narratore dall’alto della balconata, sulla sinistra. I due schermi ai lati del palco recavano uno l’originale latino cantato e l’altro la traduzione italiana: stessa scelta che viene fatta in ogni occasione, quanto mai preziosa per la comprensione da parte del pubblico.

Encomiabile la prestazione delle voci, a partire dal coro che esterna lo stato penoso del popolo di Tebe, o ne sottolinea le implorazioni al Re perché li liberi dalle piaghe che hanno colpito la città, o richiama e commenta i comportamenti dei protagonisti. I quali sono intrepretati da sei voci tutte da elogiare, fra le quali mi limito a citare quella che Tuomas Katajala (grandi ovazioni per lui) ha prestato ad Edipo; e quella della 60enne Petra Lang (13 stagioni a Bayreuth, dal 2005 al 2022, nei ruoli di Brangäne, Ortrud, Isolde, Brünnhilde, Kundry) che ha illustrato il breve ma intenso intervento di Giocasta, tutta tesa a screditare gli oracoli, che invece la inchioderanno alle sue responsabilità. 

L'Orchestra, che Boreyko ha guidato con il suo gesto secco e tagliente, ha supportato da par suo questo grande affresco, così ricco di riferimenti classici ma anche modernissimi. Insomma, una proposta che poche orchestre possono permettersi oggi: ci sono altre due repliche per approfittarne!

04 marzo, 2023

laVerdi 22-23. 18

Altro gradito ritorno in Auditorium per il 18° Concerto della stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano: è quello di Alondra de la Parra, Direttrice principale Ospite, che ci presenta musiche di Martinsson e Stravinski.   

Del 67enne svedese Rolf Martinsson (al suo terzo appuntamento come Autore qui in Auditorium) viene eseguito (in prima italiana) Soundscape, Concerto per corno e orchestra, sottotitolato A Walk in Colours (una passeggiata a colori): un lavoro assai recente, co-commissionato anche da laVerdi e presentato in prima assoluta il 20 marzo del 2022 a Saarbrücken con lo stesso solista-dedicatario dell’opera.

Che è Felix Klieser (già passato qui in Auditorium più di tre anni fa) famoso per essere uno che suona con i piedi… ma proprio divinamente!

Martinsson fa parte di quella corrente di pensiero musicale che, pur apprezzando l’opera di Schönberg (cui ha dedicato più di un lavoro) non ne ha pedissequamente seguito le orme… seriali, mantenendo prudentemente la sua produzione nell’ambito del diatonismo, per quanto modernizzato, ecco.

Il programma di sala reca una succinta descrizione del brano predisposta dallo stesso Autore, che qui mi permetto di integrare con qualche annotazione derivata dal primo ascolto (e in totale ignoranza della partitura…)

Il Concerto è strutturato in cinque sezioni, all’interno di un unico movimento: inizia in modo drammatico, con un’introduzione tempestosa dell’orchestra e con il solista che espone uno stentoreo motivo basato su note che richiamano il nome dell’interprete (F-E-E-Ess-E, svedese per FA-MI-MI-MIb-MI); segue una sezione lenta, caratterizzata da una specie di recitativo del solista, con intervento del corno inglese; le frasi del corno si dipanano su ampi intervalli e con moto ascendente; il dialogo con l’orchestra si fa sempre più serrato, fino ad un climax con secchi interventi dei timpani e una chiusura in diminuendo su trilli del violino; ecco poi la parte centrale, tranquillo, che ha ispirato il sottotitolo dell’opera (panorama sonoro): il corno espone frasi musicali più calme, per gradi congiunti, si odono tocchi di xilofono e sommesse risposte orchestrali; segue una lunga aria che alterna la voce solitaria del corno a risposte anche brusche dell’orchestra e in particolare del clarinetto; dopo un ultimo crescendo, ecco il corno preparare il ritorno ciclico all’iniziale atmosfera drammatica, dove solista ed orchestra si scontrano in un fitto dialogo: il corno si lancia in un passaggio spiritato, poi ecco la stretta finale, grandiosa davvero, ma che poi si perde, calmandosi progressivamente: dopo l’ultimo intervento del solista, sono gli archi a sfumare il suono fino ad esaurirsi del tutto.

Che dire, al primo ascolto? Sono 25 minuti di musica coinvolgente, dove la tensione non cala mai e l’attenzione dell’ascoltatore è catturata ininterrottamente.

Il sempre sorridente Felix, oltre alla tecnica sopraffina, mostra anche di non temere le prove più faticose: tutto il Concerto è praticamente una serie di interventi in assolo del corno, che lui sciorina quasi in souplesse. Poi ringrazia per le ripetute chiamate, i consensi e gli applausi che il pubblico gli tributa, offrendoci proprio lo stesso bis suonato qui nell’ottobre del 2019, la trascrizione per corno solo del rossiniano Rendez-vous de Chasse.
___
Il clou della serata è uno dei brani musicali più famosi e controversi dell’intera musica occidentale, Le Sacre du Printemps di Igor Stravinski.  

Molti di noi (non propriamente teen-agers) hanno avuto la fortuna di incontrare questa apparentemente barbara accozzaglia di note al cinema, grazie al grande Walt che ce lo propinò – in modo non proprio rigoroso, more-Stokovski, e insieme a musica più civilizzata - in un cartone animato

A proposito di civiltà e cultura, uno dei modi per avvicinare i giovani, anzi i bambini dell’asilo (altrimenti sarebbe già troppo tardi) alla cosiddetta musica seria sarebbe di usare gli strumenti multimediali – oggi davvero stratosferici, rispetto a quelli dei tempi di Fantasia – per coinvolgerli emotivamente, ma anche razionalmente, nell’apprezzamento per l’arte musicale. Tutto sta ad inventare un modello di business sostenibile: possibile che tutte le teste d’uovo del marketing non ci arrivino?

Mi permetto di consigliare vivamente a tutti di ascoltare (almeno i primi 76’ di) questa fulminante dissertazione tenuta nel 1973 ad Harvard dal sommo Lenny Bernstein, che fa comprendere anche ad un neofita i segreti di questa musica. Lo stesso Bernstein qui ci guida alla scoperta dell'opera. E qui ce la fa ascoltare in tutta la sua gloria. Poi la insegna al pianoforte ad un giovine di belle speranze… Il quale, anni e anni dopo, a sua volta ce la racconta e dirige.

Da parte mia ripropongo un bigino derivato da un mio commento ad un’esecuzione di qualche anno fa qui in Auditorium.

Prestazione – è il minimo che si possa dire – stre-pi-to-sa dell’Orchestra, dal primo violino al… guiro. Merito ovviamente anche dell’eclettica Direttora, che ormai da anni mostra di saper padroneggiare questo mostro con autorità e sicurezza. Pubblico letteralmente in delirio!

21 ottobre, 2022

laVerdi 22-23. 4

Ukraina&Russia! Mamma mia, l’attualità più cruda (e orribile, come testimonia la criminale esecuzione del Maestro Kerpatenko) irrompe nella stagione dell’Orchestra Sinfonica di Milano: il quarto concerto ha infatti come protagonisti tre musicisti strettamente legati ai due Paesi che oggi stanno combattendo una guerra (praticamente) fratricida.

In un Auditorium per pochi intimi torna sul podio il 44enne Maxim Rysanov, ukraino di Kramatorsk (città del Donbass oggi martoriata dalla guerra) trapiantato in Gran Bretagna; oltre a dirigere, lui interpreta come solista alla viola il Concerto del 47enne Gabriel Prokofiev, cittadino londinese nipote del grande Sergei (russo all’anagrafe ma nato a Donetsk); il secondo brano in programma è del sanpietroburghese purosangue Igor Stravinski, esule russo diventato cittadino francese e statunitense.

Ecco, non ci resta che sperare che questa combinazione astrale sia un segnale, sia pur minuscolo, che in fondo al tunnel si cominci ad intravedere un lumicino…

Dunque, Gabriel Prokofiev: un artista eclettico che spazia in tutti i campi della musica, dalla composizione di stampo classico alla modernità più varia, fino alla produzione di eventi e alla creazione di una casa discografica di divulgazione musicale per i giovani.

Orchestra disposta in modo eterodosso, con sezioni di fiati (legni a sinistra, trombe a destra) portate al proscenio, dietro gli archi. Due leggii: quello normale per dirigere l’orchestra e uno rivolto al pubblico per la parte solistica. Rysanov, imbracciando un Guadagnini-1780, ci propone questo Concerto per viola e orchestra, commissionato dallo stesso Direttore e anche dalla Fondazione milanese (qui frammenti dei tre tempi in cui è classicamente strutturato, ripresi alla prima di Bonn lo scorso gennaio):

1. Minaccioso
2. Largo
3. Allegro sinistro

A dispetto della differenza delle indicazioni agogiche di impianto, i tre movimenti alternano sezioni lente ad altre più mosse, con frequenti cambi di scansione (a 4, a 3…) Quelle più veloci presentano ritmi di stampo moderno, spesso sincopati. La parte solistica contiene virtuosismi che in realtà sono delle acrobazie, dove la viola diventa a volte uno strumento a percussione (forse non è un caso che un crine dell’archetto di Rysanov si sia strappato abbastanza presto). La narrativa è supportata da un linguaggio che alterna atonalità e rumorismo a squarci più lirici.

Un’opera a primo ascolto abbastanza godibile, che stempera ammiccamenti orecchiabili nelle ruvidezze e cacofonie che la caratterizzano. Accoglienza tutto sommato calorosa. 
___

Ecco infine lo stravinskiano Petruška. La storia di un uomo/marionetta al centro del classico triangolo amoroso. Quattro parti che evocano una vicenda a sfondo tragico che si compie in una giornata di festa a SanPietroburgo, in occasione dell’annuale fiera di Shrovetide, parente del nostro martedi grasso. (Qui una mia nota scritta in occasione dell’ultima esecuzione dell’opera in Auditorium, che riassume la trama del balletto. Per chi voglia più approfonditamente documentarsi, ripropongo il link ad un’apprezzabile iniziativa tedesca.) 

È uno dei brani che l’Orchestra conosce a menadito, avendolo suonato innumerevoli volte, e anche ieri non si è smentita, con un’esecuzione impeccabile e trascinante. Così i pochi-ma-buoni fedelissimi non hanno mancato di far sentire la loro convinta approvazione.  

14 gennaio, 2022

laVerdi 21-22. Concerto 12

Dopo le feste di fine-inizio anno riprende la stagione principale de laVerdi con un concerto tutto russo. Causa restrizioni Covid e acciacchi di stagione direttore e solista al pianoforte sono diversi da quanto annunciato nel programma originario della stagione (Axelrod e Zilberstein): sul podio c’è (per la prima volta con l’Orchestra milanese) il 32enne Vincenzo Milletarì e alla tastiera la rediviva (in Auditorium, dopo più di 8 anni) Valentina Lisitsa.

Allievo di Riccardo Muti, il tarantino Milletarì (sì, con l’accento sulla ì) è ormai lanciato nel panorama internazionale, ed evidentemente si merita il successo per la sua preparazione e il suo entusiasmo, che sono testimoniati da questo esempio bolognese dello scorso anno, dove lo ascoltiamo e vediamo presentare e dirigere famosi brani del repertorio classico e romantico. Dirige con gesti ampi ma mai affettati o gigioneschi e usa la mano sinistra (à-la-Abbado) per dettare le sfumature espressive: è piacevole anche solo da vedere e - a giudicare da ciò che si è udito - deve anche essere efficace nella preparazione dell’orchestra.
Ad aprire il programma è la pochissimo eseguita Overture su temi russi e circassi, composta nel 1963 da Dmitri Shostakovich per celebrare il centenario dell’incorporazione volontaria (ma forse meglio sarebbe dire annessione, 1864) del Kirghizistan nell’Impero russo. Il compositore era proprio reduce da un viaggio (fatto anche per ritemprare lo spirito oltre che il corpo...) in quel remoto paese asiatico ed aveva preso l’impegno di comporre qualcosa per l’occasione. Così in poche settimane scrisse il brano, che ebbe la prima esecuzione a Mosca giovedi 10 ottobre, 1963 e la prima in Kirghizistan nella capitale Bishkek (allora Frunze) sabato 2 novembre dello stesso anno.
Musica quindi di circostanza, ma pur sempre di mano di qualcuno che sapeva il fatto suo e come sfruttare al meglio il materiale musicale disponibile: nella fattispecie un paio di temi popolari kirghizi (Tyryldan, creatura mitologica e Op Maida, canzone della trebbiatura) e uno siberiano (Ekh, brodyagi vy, brodyagi, O voi vagabondi) della regione di Omsk, che Shostakovich orchestra da par suo, costruendo un brano godibile e peraltro scevro da facili trionfalismi (non tutti i kirghizi erano stati entusiasti della Russia un secolo prima ed erano entusiasti dell’URSS del ‘900). 
Shostakovich non fa economia di risorse e prescrive (come minimo!) un pacchetto di archi di 66 (18+14+12+12+10) esecutori (neanche Strauss...) che da soli riempirebbero tutto il palco dell’Auditorium (qui laVerdi ne schiera praticamente la metà).

Il brano (meno di 10’) si muove sulle tonalità vicine di DO maggiore e della dominante SOL. Presenta una lunga introduzione di 41 battute in tempo Moderato, chiusa un assolo del primo flauto; poi ecco la corposa parte centrale, in Allegro non troppo, aperta dal primo corno. Dopo che l’orchestra si è sbizzarrita nella presentazione dei temi popolari, ecco arrivare una pausa di riflessione (Adagio) con 4 battute dei soli archi; quindi segue in tutta l’orchestra una progressiva accelerazione del tempo, che passa da Allegro a Presto per la brillante chiusura.

Per essere la prima volta che laVerdi la affronta, devo dire che l’esecuzione è stata vibrante e convincente: un brano che merita di certo maggior presenza nei programmi concertistici.
___

Ecco poi la Suite (seconda delle tre, del 1919) da L’Uccello di Fuoco di Stravinski. (Rimando ad un mio commento sulla struttura del balletto e delle Suite). Anche qui non si scherza con la prescrizione relativa agli archi (60) ma i ragazzi si fanno in... quattro e rimediano alla grande.

Questo è poi uno dei brani che l’Orchestra conosce a menadito ed anche ieri l’esecuzione è stata impeccabile. Merito certamente anche di Milletarì, che ha ben interpretato soprattutto le dinamiche stravinskiane (emozionante l’attacco dell’Introduzione, con il magma sonoro degli archi bassi dal quale emergono gli spettrali incisi di tromboni, fagotti e clarinetti). Come sempre spettacolare il finale e in particolare quelle ultime 8 battute dove i fiati (ottoni in primo piano) creano un muro di suono di abbagliante luminosità.

Ma tutta l’esecuzione è da apprezzare e giustamente alla fine il Direttore ha fatto alzare una ad una tutte le prime parti, che qui hanno compiti anche solistici di grande spessore; poi tutta l’orchestra ha meritato convinti applausi e ovazioni.
___
La serata si chiude con l’inflazionato Primo Concerto per pianoforte di Ciajkovski. La sempreverde (48 appena compiuti!) ukraina trapiantata in USA, ma ormai cittadina-del-mondo, si presenta con uno dei suoi proverbiali abiti lunghi e... larghi, questo con una fantasia floreale multicolore. Lei che è regina del web (milioni e milioni di accessi solo al suo canale youtube...) dove la possiamo apprezzare in questa esecuzione del concerto in terra mexicana, ne dà una lettura piuttosto sobria e contenuta, ma senza risparmiare alla tastiera qualche salutare mazzata negli enfatici passaggi in ottave dell’Allegro iniziale e del finale del concerto.

Le si potrà perdonare qualche sbavatura (ha l’attenuante della chiamata all’ultimo momento...) ma il fraseggio e le sfumature sonore che sa cavar fuori dallo strumento sono da favola. Successo travolgente ricompensato con due encore: un indiavolato Chopin e un marziale Rachmaninov.

15 ottobre, 2021

laVerdi 21-22. Concerto 3

Alpesh Cauhan sta ormai diventando di casa all’Auditorium: il giovane Direttore albionico - terminato il mandato a Parma con la Toscanini è tornato al luogo natìo e al ruolo di Direttore Musicale dell’Opera di Birmingham - vi ricompare questa settimana per proporre un programma di musiche italiane di autori stranieri innamorati del BelPaese: Stravinski e Mendelssohn

Del primo ascoltiamo la versione originale di Pulcinella, completa delle parti di canto riservate a soprano, tenore e basso. Non solo si tratta di un genere (balletto-con-canto) ben poco esplorato nella letteratura musicale, ma ciò che stupisce (positivamente) è come gli autori del misfatto (al servizio del patron Diaghilev) abbiano saputo tenere insieme: musiche (e testi annessi) di origine eterogenea (Pergolesi fu dato per l’unico autore, ma si scoprì poi che era solo primus-inter-pares...) con la trama del balletto, ideata dal coreografo Léonide Massine sulla base del pezzo di commedia dell’arte settecentesco I quattro Pulcinelli simili, che ha legami assai labili con i testi cantati (non parliamo poi delle scene di Pablo Picasso, già oggetto di contestazioni dagli altri autori nella fase di creazione dell’opera).

Gli interessati possono esplorare i contenuti del balletto nelle note in calce al post.

L’esecuzione è stata più che apprezzabile e le tre voci si sono ben distinte in queste parti per nulla facili: in testa metterei il basso Johannes Held, voce calda e ben impostata, poi il tenore James Way, voce chiara e penetrante e infine il soprano Francesca Lombardi Mazzulli, la cui voce mi pare manchi un po’ di penetrazione.

Devo dire però che l’esecuzione delle musiche comprensive delle parti cantate ma senza il balletto desta qualche perplessità, poichè viene a mancare -  a causa dell’eterogeneità dei testi - il sostrato narrativo dell’opera, quello che rende almeno vagamente comprensibili gli accostamenti fra le parti puramente strumentali e quelle cantate. Assai più appropriato sarebbe invece - in assenza di balletto - proporre la Suite, che si può più agevolmente gustare come musica pura.
___

A chiudere è poi arrivata l’Italiana di Mendelssohn, che Chauhan ha affrontato con piglio garibaldino, forse fino eccessivo: parlo dei due movimenti esterni, dove la velocità è andata un poco a scapito della pulizia e della perfetta definizione delle linee melodiche mendelssohniane. Discutibile anche il taglio del ritornello dell’iniziale Allegro vivace. Molto meglio i due movimenti interni, in particolare l’Andante con moto.

In ogni caso il successo non è mancato, in una sala che ancora non è tornata al (consentito dalla legge) 100% di tasso di occupazione.
_______________
Pulcinella

La partitura reca i riferimenti ai personaggi della vicenda e una succinta descrizione della trama, tratta come detto da I quattro Pulcinelli simili. Quattro perchè, oltre al vero e autentico Pulcinella, ne compaiono altri tre: uno è Fourbo, amico e sodale del protagonista; gli altri due (Caviello e Florindo) sono giovani innamorati di due fanciulle (Prudenza e Rosetta) che li snobbano, preferendo rincorrere il seducente Pulcinella (che per parte sua ha una fidanzata gelosa, tale Pimpinella). Il Dottore e Tartaglia con rispettive consorti completano il quadro dei personaggi del balletto (più altri figuranti).

La trama è coì presentata:

Tutte le ragazze del luogo sono innamorate di Pulcinella, ma tutti i ragazzi cui sono fidanzate sono pazzi di gelosia e tramano per ucciderlo. Proprio quando pensano di esservi riusciti, s'impadroniscono di costumi simili a quello di Pulcinella e si presentano alle innamorate così travestiti. Ma Pulcinella - astuto - è riuscito a farsi sostituire da Furbo, il suo doppio, che finge di soccombere ai colpi dei nemici di Pulcinella. Il vero Pulcinella ora si traveste da mago e resuscita il suo doppio. Nel momento in cui i quattro uomini, pensando di essersi liberati del loro rivale, vengono a reclamare le innamorate, Pulcinella ricompare e combina i matrimoni. Egli poi sposa Pimpinella, ricevendo la benedizione di Furbo, che a sua volta, assume l'aspetto di mago.

Seguiamo il balletto messo in scena tempo addietro dal coreografo Nils Christe con lo Scapino Ballet di Rotterdam e con la London Symphony diretta da Claudio Abbado e le voci di Teresa Berganza, Rayland Davies e John Shirley-Quirk. Lo facciamo con l’ausilio della tabella sottostante che reca, oltre alla suddivisione in numeri del balletto, anche le opere che hanno ispirato Stravinski (secondo lo studio di Helmut Hucke) i testi cantati e una (mia) plausibile esplorazione della trama, ovviamente dedotta dall’interpretazione del soggetto originale proposta da Christe, che può chiaramente differire nei dettagli da altre produzioni (ad esempio nella realizzazione del personaggio del Mago).


08 novembre, 2019

laVerdi-19-20 - Concerto n°6


Tocca ad un giovane direttore spagnolo, Josep Vicent, alla sua prima apparizione sul podio dell’Auditorium, dirigere questo concerto che incastona un brano moderno britannico fra due brani otto-novecenteschi russi.

Si comincia con Musorgski e la sua Notte sul Monte Calvo. È sempre la notissima versione orchestrata da Rimski-Korsakov sulla base dell’Intermezzo dell’opera La Fiera di Sorochyntsi, e non sull’originale La notte di SanGiovanni sul Monte Calvo. Anche se derivate dalle stesse fonti, le due composizioni hanno solo qualcosa in comune, cosa di cui ci si può render conto... ascoltandole (oltre che confrontando le due partiture): qui Rimski con Bernstein e la NYPO; e qui Musorsgki con Abbado e i Berliner.

Purtroppo (per me, almeno) anche stavolta non sono stato accontentato: sì, perchè mi piacerebbe tanto ascoltare le due versioni una appresso all’altra! E vi assicuro che non ci si annoierebbe: pazienza, continuo a sperare... 

Vicent dà veramente la carica del sabba all’orchestra, staccando tempi frenetici che mettono a dura prova la compattezza delle sezioni: ma il risultato è di tutto rispetto e il pubblico (anche qui: pochi-ma-buoni) risponde con convinti applausi.  
___
Ecco poi l’intermezzo contemporaneo, con il Concerto per trombone di Michael Nyman, opera del 1995 commissionata dalla BBC in omaggio al grande Henry Purcell (qui e in video successivi la registrazione della prima). Musica tonale (base RE) ispirata ad un’antica usanza medievale (la chiarivari) consistente nel mettere ferocemente alla berlina persone accusate di comportamenti eterodossi: circondandole per la strada e facendole oggetto di un gran frastuono (musica volgare) ottenuto con improvvisate percussioni. Ecco, il concerto evoca questa situazione di totale conflitto fra il solista (= il peccatore) e la massa orchestrale (= la folla sfottente).

Ma in omaggio a Purcell Nyman cita espressamente - in un’oasi di quiete della sua composizione - un motivo della Marcia del Funerale della Regina Mary, prima di proporre anche una manifestazione di musica volgare presa dal calcio: il ritmo di Come on you Rangers, scandito su scatoloni di latta dai tifosi dei Queens Park Rangers alle partite della Premier League!

È la prima parte dell’Orchestra, Giuliano Rizzotto, ad interpretare questo brillante e spiritato pezzo di bravura. Lui fa il suo ingresso quando il Direttore è già sul podio e suona peripateticamente le 18 battute del suo sognante recitativo, interrotto dalle intemperanze della... folla. Poi supera tutte le impervie difficoltà del brano, guadagnandosi scroscianti applausi dal suo pubblico. 

Così, insieme ai colleghi dell’Orchestra ci offre un bis che ci riporta agli anni ’60, Elizabeth Taylor e Richard Burton...
___
laVerdi si è cimentata più volte con lo Stravinski dell’Uccello di fuoco, ma credo sia la prima volta che ne presenta la terza Suite del 1945. Dal balletto del 1910 il compositore russo estrasse appunto tre diverse Suites (1911, 1919 e 1945) e poi rimaneggiò la terza ulteriormente nel 1947. A puro titolo di curiosità rimando ad un mio vecchio post che contiene una tabella di riferimenti sui contenuti di balletto e Suites (peccato che parecchi link ivi riportati siano obsoleti: colpa di Internet, ovviamente). Si deduce come la Suite del 1945 sia la più corposa delle tre, più di 30’ contro i 15’ della prima e i 22’ della seconda (il balletto complessivamente dura più di 45’). 

Non è detto però che questa maggior corposità si traduca in efficacia: poichè diverse parti si apprezzano assai in un’esecuzione coreografica, assai meno come musica pura, di cui si fatica a cogliere un fondo di narrativa.

In ogni caso i ragazzi sono stati eccellenti, in ogni reparto, e alla fine a tutti sono andati meritatissimi consensi, consensi estesi al Direttore, che ha diretto il brano à-la-Gergiev, cioè senza bacchetta e mediante sfarfallio della mano destra... Chissà se sia un buon segno!