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14 gennaio, 2022

laVerdi 21-22. Concerto 12

Dopo le feste di fine-inizio anno riprende la stagione principale de laVerdi con un concerto tutto russo. Causa restrizioni Covid e acciacchi di stagione direttore e solista al pianoforte sono diversi da quanto annunciato nel programma originario della stagione (Axelrod e Zilberstein): sul podio c’è (per la prima volta con l’Orchestra milanese) il 32enne Vincenzo Milletarì e alla tastiera la rediviva (in Auditorium, dopo più di 8 anni) Valentina Lisitsa.

Allievo di Riccardo Muti, il tarantino Milletarì (sì, con l’accento sulla ì) è ormai lanciato nel panorama internazionale, ed evidentemente si merita il successo per la sua preparazione e il suo entusiasmo, che sono testimoniati da questo esempio bolognese dello scorso anno, dove lo ascoltiamo e vediamo presentare e dirigere famosi brani del repertorio classico e romantico. Dirige con gesti ampi ma mai affettati o gigioneschi e usa la mano sinistra (à-la-Abbado) per dettare le sfumature espressive: è piacevole anche solo da vedere e - a giudicare da ciò che si è udito - deve anche essere efficace nella preparazione dell’orchestra.
Ad aprire il programma è la pochissimo eseguita Overture su temi russi e circassi, composta nel 1963 da Dmitri Shostakovich per celebrare il centenario dell’incorporazione volontaria (ma forse meglio sarebbe dire annessione, 1864) del Kirghizistan nell’Impero russo. Il compositore era proprio reduce da un viaggio (fatto anche per ritemprare lo spirito oltre che il corpo...) in quel remoto paese asiatico ed aveva preso l’impegno di comporre qualcosa per l’occasione. Così in poche settimane scrisse il brano, che ebbe la prima esecuzione a Mosca giovedi 10 ottobre, 1963 e la prima in Kirghizistan nella capitale Bishkek (allora Frunze) sabato 2 novembre dello stesso anno.
Musica quindi di circostanza, ma pur sempre di mano di qualcuno che sapeva il fatto suo e come sfruttare al meglio il materiale musicale disponibile: nella fattispecie un paio di temi popolari kirghizi (Tyryldan, creatura mitologica e Op Maida, canzone della trebbiatura) e uno siberiano (Ekh, brodyagi vy, brodyagi, O voi vagabondi) della regione di Omsk, che Shostakovich orchestra da par suo, costruendo un brano godibile e peraltro scevro da facili trionfalismi (non tutti i kirghizi erano stati entusiasti della Russia un secolo prima ed erano entusiasti dell’URSS del ‘900). 
Shostakovich non fa economia di risorse e prescrive (come minimo!) un pacchetto di archi di 66 (18+14+12+12+10) esecutori (neanche Strauss...) che da soli riempirebbero tutto il palco dell’Auditorium (qui laVerdi ne schiera praticamente la metà).

Il brano (meno di 10’) si muove sulle tonalità vicine di DO maggiore e della dominante SOL. Presenta una lunga introduzione di 41 battute in tempo Moderato, chiusa un assolo del primo flauto; poi ecco la corposa parte centrale, in Allegro non troppo, aperta dal primo corno. Dopo che l’orchestra si è sbizzarrita nella presentazione dei temi popolari, ecco arrivare una pausa di riflessione (Adagio) con 4 battute dei soli archi; quindi segue in tutta l’orchestra una progressiva accelerazione del tempo, che passa da Allegro a Presto per la brillante chiusura.

Per essere la prima volta che laVerdi la affronta, devo dire che l’esecuzione è stata vibrante e convincente: un brano che merita di certo maggior presenza nei programmi concertistici.
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Ecco poi la Suite (seconda delle tre, del 1919) da L’Uccello di Fuoco di Stravinski. (Rimando ad un mio commento sulla struttura del balletto e delle Suite). Anche qui non si scherza con la prescrizione relativa agli archi (60) ma i ragazzi si fanno in... quattro e rimediano alla grande.

Questo è poi uno dei brani che l’Orchestra conosce a menadito ed anche ieri l’esecuzione è stata impeccabile. Merito certamente anche di Milletarì, che ha ben interpretato soprattutto le dinamiche stravinskiane (emozionante l’attacco dell’Introduzione, con il magma sonoro degli archi bassi dal quale emergono gli spettrali incisi di tromboni, fagotti e clarinetti). Come sempre spettacolare il finale e in particolare quelle ultime 8 battute dove i fiati (ottoni in primo piano) creano un muro di suono di abbagliante luminosità.

Ma tutta l’esecuzione è da apprezzare e giustamente alla fine il Direttore ha fatto alzare una ad una tutte le prime parti, che qui hanno compiti anche solistici di grande spessore; poi tutta l’orchestra ha meritato convinti applausi e ovazioni.
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La serata si chiude con l’inflazionato Primo Concerto per pianoforte di Ciajkovski. La sempreverde (48 appena compiuti!) ukraina trapiantata in USA, ma ormai cittadina-del-mondo, si presenta con uno dei suoi proverbiali abiti lunghi e... larghi, questo con una fantasia floreale multicolore. Lei che è regina del web (milioni e milioni di accessi solo al suo canale youtube...) dove la possiamo apprezzare in questa esecuzione del concerto in terra mexicana, ne dà una lettura piuttosto sobria e contenuta, ma senza risparmiare alla tastiera qualche salutare mazzata negli enfatici passaggi in ottave dell’Allegro iniziale e del finale del concerto.

Le si potrà perdonare qualche sbavatura (ha l’attenuante della chiamata all’ultimo momento...) ma il fraseggio e le sfumature sonore che sa cavar fuori dallo strumento sono da favola. Successo travolgente ricompensato con due encore: un indiavolato Chopin e un marziale Rachmaninov.

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