La Scala, dopo lo Shakespeare originale,
ne mette in scena uno... di là da venire: I
Capuleti e i Montecchi di Romani-Bellini infatti poco o nulla ha a che fare con il Bardo di Stratford, ispirandosi invece
alla leggenda originale italiana che lo anticipa di un secolo buono. (Sulle
origini del testo rinvio ad un
mio commento scritto per una produzione bolognese del 2018). E
infatti le prime parole che si leggono (a firma di Claudio Toscani) sul programma di sala del Teatro recitano: Dimenticare Shakespeare!
Invece, neanche a farlo apposta e precisamente
a smentire la premessa, ecco che il regista Adrian
Noble viene proprio dal mondo di Shakespeare (è stato direttore della
prestigiosa Royal Shakespeare Company).
E infatti già le foto sul sito del teatro lasciavano presagire il... peggio:
Pertusi in clergyman! (Del resto anche molte fonti della nostra quotidiana intelligenza ignoranza distribuita
presentano il personaggio come Frate Lorenzo...)
Il regista albionico cerca una difficile quadratura del cerchio, sostenendo (come titola il suo intervento sullo stesso programma di sala) che il soggetto sarebbe la stessa storia vista da angolazioni differenti (Shakespeare e Romani, ndr). Il che non giustifica però il presentarla mescolando le due angolazioni! Un esempio, proprio citato dal regista in chiusura del suo intervento, riguarda l’uccisione del fratello di Giulietta da parte di Romeo (che viene mostrata proprio all’inizio): che sarebbe null’altro che uno spiacevole incidente di gioco fra ragazzini, dove si fatica a trovare il vero responsabile. Eh no, caro Adrian, lo rivela lo stesso Romeo che il responsabile è proprio lui: solo che si trattò di una regolare uccisione avvenuta durante un conflitto armato fra due eserciti!
Ecco,
evidentemente per deformazione professionale (e magari con un pizzico di
spocchia british) il regista prova a convincerci
di una cosa che è già chiara a tutti coloro che perlomeno conoscono la tragedia
di Shakeapeare ed hanno letto non distrattamente il libretto di Romani: la
prima supera il secondo di parecchi piedi!
Peccato però che tutta l’opera musicata da Bellini si basi sul povero testo di Romani
e non su quello ricco del Bardo. E che quindi trasferire parti del secondo sul
primo è operazione simile a quella di mescolare lasagne al forno e vellutata
al curry in un unico piatto da servire a tavola: ‘na schifezza.
Fin
dalla scena mostrata alla fine della Sinfonia (quella dove si contrabbanda una
scazzottata fra ragazzacci - Shakespeare - per un episodio di guerra in piena
regola - Romani) è chiaro come il regista sia schiavo di Shakespeare, che
appunto ambienta tutta la vicenda in una faida locale fra bande di bad-boys di buona famiglia, ignorando
del tutto l’aspetto squisitamente e prevalentemente politico del testo di Romani, dove la storia di Verona è parte di
un quadro assai più grande: le lotte fra Guelfi e Ghibellini come scontri fra
le due Istituzioni dominanti nel mondo di allora: il Papato e il Sacro Romano Impero.
L’ambito
locale e familiare - Shakespeare - viene sottolineato dal regista ad ogni piè
sospinto: innanzitutto tramite la ripetuta presenza in scena del cadavere del
figlio di Capellio (nel second’atto addirittura di due, uno morto e un secondo...
morto che cammina). Ora, se nella prima scena dell’opera la cosa può anche
starci, dal momento che Romeo ricorda quel fatto (giustificandolo però con lo
scenario bellico in cui esso si
verificò) poi diviene francamente stucchevole.
Andiamo
avanti: l’ambientazione è negli anni ’30 del ‘900 e i costumi (armi automatiche
incluse) dei ceffi che si aggirano in scena ricorda cosche mafiose dell’America
di Al Capone e Joe Aiello: Guelfi e Ghibellini? Hahaha!
Torniamo
a Lorenzo: Shakespeare - ed è una geniale intuizione - lo inventa frate, e come tale lo fa agire: super partes, dedito alla difesa di un sincero amore fra due giovani e
alla ricerca della composizione del conflitto fra i rappresentanti veronesi dei
due partiti politici che si fronteggiano. Come tale possiede anche le
credenziali per celebrare matrimoni... segreti. Ora, nel testo di Romani Lorenzo
è uno speziale, un medico al servizio
della famiglia di Capellio, che prende le parti di Giulietta e cerca di
facilitarne il legame amoroso con Romeo. Domanda: perchè mai il regista vuole
anche qui chiamare in causa Shakespeare e mostrarci Lorenzo nei panni di un religioso,
che in tutta l’opera non ha una sola occasione per esercitare la sua missione? (Salvo farsi il segno della croce di
fronte al cadavere del fratello di Giulietta nella prima scena del second’atto!)
A parte il fatto che un medico-di-famiglia è cosa del tutto plausibile, mentre
assai meno lo è un prete-di-famiglia... a voler credere al regista si dovrebbe
pensare che Lorenzo sia un agente ghibellino travestito da prete per meglio
infiltrarsi come quinta colonna nel quartier generale dei Guelfi... roba da
ridere!
Infine,
quasi a discolparsi per le sue malefatte, il regista si inventa uno squarcio di
attualità politica, ispirandosi al Patria oppressa del risorgimentale Verdi:
così ci mostra - in miniatura - una scena simile a quella proposta da Livermore nel recente Macbeth: famiglie di poveri rifugiati
bistrattate da militari violenti e spietati. E come colonna sonora, cosa
sceglie? La mirabile introduzione (col clarinetto solista) alla seconda scena
dell’atto secondo. Peccato però che quella musica celestiale evochi sì uno
strazio, ma per nulla pubblico, bensì privatissimo: quello di Romeo che si
sente abbandonato da tutti e da tutto!
Ecco,
una regìa strampalata quanto pretenziosa, del tutto irrispettosa del soggetto
da mettere in scena, che piacerà solo a chi fa di ogni erba un fascio e non distingue
fra Romeo&Juliet e I Capuleti e i Montecchi. A giudicare
dall’accoglienza indifferente ma non ostile del pubblico all’uscita del team
registico, vien da pensare che siano in molti ad ignorare tale differenza.
___
Per nostra fortuna i suoni hanno ampiamente riscattato le immagini.
Dato che il famigerato Covid ha tradito il Kapellmeister titolare Evelino Pidò (che avrei ascoltato volentieri dati i suoi precedenti, come questo) è toccato alla quota-rosa Speranza Scappucci di sostituirlo, anticipando di qualche tempo il suo debutto al Piermarini. E al proposito dico che il suo esordio qui mi è parso del tutto positivo, come ha inequivocabilmente sentenziato la trionfale accoglienza del pubblico. Avevo di lei un buon ricordo dal ROF di quasi 6 anni fa, quando lei era ancora - appunto - poco più che una speranza. Che mi sento di dire sia evoluta (ormai è in vista dei... 49 a dispetto della presenza da ragazzina) in piacevole realtà.
Va
detto che lei è arrivata a prove già inoltrate e non ha dovuto partire da zero,
ma la sua è stata una prestazione davvero convincente: precisione nel gesto e
negli attacchi, moderazione nei non pochi fracassi che il pur elegante Bellini
non ci risparmia, attenzione a non coprire mai le voci, dettagli di espressione
sempre ben curati: un rapporto evidentemente ben avviato con l’Orchestra, che
ha risposto al meglio in tutte le sezioni e nelle parti solistiche che
impreziosiscono la partitura.
Detto
della proverbiale compattezza e precisione del Coro di Alberto Malazzi, vengo
alle cinque voci protagoniste.
Su
tutti Lisette Oropesa: il soprano
cubanamericano ha ormai raggiunto una sicurezza e continuità di rendimento eccellenti
e anche ieri ha sciorinato la sua voce calda e rotonda, negli acuti pieni e in
quelli smorzati, oltre ad una grande espressività che ne ha fatto una Giulietta
quasi perfetta.
Accanto
a lei si è ben portata Marianne Crebassa
che ha creato un Romeo duro e autoritario nei momenti di scontro con i Guelfi
ma anche tenero e sentimentale negli approcci con Giulietta. Forse la voce,
proprio femminile, non è quella che personalmente
preferirei per il ruolo (certo non dico ci vorrebbe per forza una voce cavernosa, sia chiaro...) ma non
posso che elogiarne la prestazione e la presenza scenica.
Jinxu Xiahou (che ha rimpiazzato René Barbera) è stato un Tebaldo più che
dignitoso, in una parte non proibitiva (al massimo tocca, se non erro, il SI
naturale) che però lui ha reso in maniera apprezzabile: è giovane e avrà modo
di crescere ancora.
I
due bassi Jongmin Park (Capellio) e Michele Pertusi (Lorenzo) hanno dato il
loro valido contributo all’insieme. Va da sè che il navigatissimo Pertusi abbia
mostrato più sicurezza e controllo della voce rispetto al più giovane Park, a volte
troppo schiamazzante.
In definitiva, una proposta bifronte, che però (a mio modesto giudizio) ha mostrato il lato-A proprio dove più è importante (del suo lato-B farei sinceramente a meno...)
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