30 giugno, 2013
Un po’ di Bayreuth a Milano (4)
28 giugno, 2013
Un po’ di Bayreuth a Milano (3)
26 giugno, 2013
Un po’ di Bayreuth a Milano (2)
25 giugno, 2013
Un po’ di Bayreuth a Milano (1)
23 giugno, 2013
In attesa del Ring in 6 giorni
23 maggio, 2013
Un vuoto Crepuscolo alla Scala
27 maggio, 2010
La sabbia del Reno alla Scala
Sì, perchè che di oro - in questo Reno scaligero – se ne setaccia proprio pochino.
Dico subito che una rappresentazione in forma di concerto o magari, come si usa oggi, semi-scenica, oppure con sole proiezioni didascaliche ad accompagnare voci e orchestra, avrebbe sortito risultati complessivamente migliori. A costi di un ordine di grandezza più bassi (questa antifona vale per Lissner e per Bondi allo stesso tempo).
A proposito di Bondi, il poetico ministro, col suo decreto che è la perfetta anticipazione della manovra 3montiana di macelleria sociale, è riuscito nell'impossibile impresa di far mostrare a tutto il mondo (la recita di ieri era diffusa sui circuiti internazionali) una Scala che pareva caduta in mano ad un manipolo di extraparlamentari d'altri tempi, con sipario alzato, alle 20 in punto, su uno striscione con la scritta Decreto infame e proclami declamati al megafono, fra scrosci di applausi intercalati a qualche timida contestazione. L'orchestra peraltro non ha intonato bandiera rossa, forse non tutti sono uniti in quel tipo di protesta, non certo Barenboim, che è arrivato a manifestazione sindacale chiusa.
A chi il Rheingold conosce a fondo, questo allestimento non solo non ha arrecato alcun valore aggiunto (né particolari emozioni) ma anzi ne ha parecchio tolto. A chi non lo conosce ha presentato un minestrone incomprensibile che temo avrà contribuito ad alimentare perplessità, se non disistima, verso Wagner. Bel risultato davvero! Tutti i buoni propositi espressi dal team di regìa, e pubblicati sul programma di sala e sul sito del teatro, sono stati accantonati. Magra consolazione: la stessa fine han fatto anche i propositi cattivi!
Meno male che almeno Barenboim – partitura sul leggìo - ha fatto qualcosa per tenere in piedi la baracca. In particolare evitando eccessive rumorosità che sarebbero state a dir poco deleterie, tenuto conto delle voci non certo potenti che cantavano sul palco. Ma con la conseguenza di propinarci un Rheingold piuttosto timido o – per usare un termine politically-correct – di stampo lirico. Tranne il piccolo Fasolt-Youn, quasi perfetto (il suo fratello Fafner-Riihonen ha voce inversamente proporzionale alla gigantesca mole) dal loggione si faticava a correttamente comprendere le parole di quasi tutti gli altri, e in Wagner ciò è particolarmente penalizzante. Ciò indipendentemente dalla bontà del canto e dell'interpretazione, buona in Loge-Rügamer e Mime-Ablinger, discreta in Wotan-Pape e Alberich-Kränzle, sufficiente poco più o poco meno in tutti gli altri/e.
Al maestro mi sento peraltro di rimproverare una esasperante lentezza nel tempo staccato per il Wie liebliche Luft di Froh-Jentzsch, invero insopportabile. Nelle transizioni alle scene 3 e 4 e poi nel finale, Barenboim ha ecceduto forse fin troppo col fracasso, ma bisogna pur capirlo, dopo interi quarti d'ora di un Wagner tenuto a livello cameristico, per non soffocare le voci!
L'orchestra ha discretamente suonato, anche se gli otto corni (ce n'era anche un nono di riserva) non hanno reso al meglio il dispiegarsi degli armonici al principiare del mondo e le tubette e il trombone contrabbasso han faticato a superare lo sbarramento sonoro nella cadenza conclusiva, un RE bemolle terrificante, quanto informe. Impeccabili davvero gli strumentini, oboe e clarinetto su tutti.
In totale, un altro mezzo passo falso in questa stagione scaligera di sedicenti produzioni da far storia. Peraltro salutato da un pubblico (folto, ma non da esaurimento) con grandi applausi, anche per gli inutili, anzi disturbanti quanto incolpevoli danzatori, salvo stentorei buh per la sola povera Fricka-Soffel, trasformata - suo malgrado per l'occasione - in parafulmine di tutte le critiche. Cassiers non si è fatto vivo, forse è già tornato nelle Fiandre, dopo aver incassato l'ultima rata della lauta quanto immeritata parcella.
25 maggio, 2010
Le note di regia del Rheingold di Cassiers
Il sito del Teatro ha da qualche giorno completato la pubblicazione di materiale (parte del programma di sala) a corredo e supporto della rappresentazione.
Oltre al libretto, nella nuovissima traduzione del professor Franco Serpa (con tutto il rispetto, ce n'era proprio bisogno, dato che apporta piccole e poco significative modifiche a quella - quasi perfetta, celebre e di pubblico dominio - del grande Guido Manacorda?) vengono presentati due articoli relativi alla concezione del Ring (e in particolare del Rheingold) del regista Guy Cassiers.
Il primo, di Michael P. Steinberg, della Brown University nel Rhode Island, è intitolato Proiezione e interazione: verso una nuova concezione drammaturgica del Ring. Attribuisce alla regìa di Cassiers nientemeno che l'apertura di un nuovo fronte interpretativo del Ring, una quinta era nella messinscena del capolavoro wagneriano, dopo quelle da lui etichettate come 1.storia del mito (1876-1944, la conservazione delle idee originarie di Wagner che – secondo Steinberg – presentavano il mito come allegoria della storia della Germania imperiale contemporanea a Wagner) 2.mito (1951-1975, legata alle innovazioni di Wieland, che tendevano – sempre secondo Steinberg - a depurare la messinscena da ogni e qualunque riferimento storico, anche per far dimenticare la compromissione col nazismo) 3.storia (1976-1980, legata sostanzialmente alla regìa di Chéreau, che presentava un Ring profondamente calato nella storia tedesca, da Guglielmo a Weimar, depurandolo dei riferimenti ai miti) e 4.neo-mito (dal 1980 in poi, dove si recupera, secondo Steinberg, il mito, ma senza perdere i contributi che Chéreau aveva apportato in fatto di regìa dei personaggi, delle loro relazioni ed interazioni).
Ecco, il Ring di Cassiers, stando a Steinberg, introduce un paradigma del tutto nuovo. Ohibò, stiamo a sentire: si torna a Chéreau, ed alla sua concezione secondo cui nulla, nemmeno il mito, è fuori dalla storia. Ma invece di mostrare uno svolgersi storico determinato (anni 1870-1945) come fece il francese, ci presenta la storia dell'oggi (globalizzazione e suoi annessi-connessi) legata alla stratificazione dell'eredità storica da noi accumulata, che condiziona la nostra esistenza odierna e prepara quella futura.
Proiezione ed interazione sono gli strumenti che Cassiers usa per raggiungere il suo obiettivo. Proiezione intesa come meccanica riproduzione di immagini, o ombre, ma anche come esternazione di esperienze interiori. Il Ring proietta i suoi contenuti sul pubblico: Wagner fu maestro nella proiezione del suono (l'orchestra sprofondata e i suoi suoni che si amalgamano con le voci, prima di raggiungere l'orecchio dell'ascoltatore). Cassiers si propone di fare lo stesso con le immagini, impiegando le moderne tecnologie. L'interazione consiste nella reazione del pubblico alle proiezioni (sonore e visive) che lo colpiscono, e al suo coglierne – singolarmente e collettivamente – gli stimoli. E diversi soggetti e diversi pubblici – Milano e Berlino - potranno avere reazioni diverse.
In sostanza, queste tecniche consentono di mantenere una relazione costantemente oscillante fra passato e presente, fra un passato, da un lato, che è fissato e trascorso, ma sempre variabile nella sua ricostruzione, e un presente, dall'altro, che è sempre tormentato e carico di tensione in relazione alle scelte d'azione che presenta e agli esiti per il futuro che contiene.
Come pratico esempio di immanenza storica del Ring si cita la brama per l'oro, che sarebbe esplosa ai tempi di Wagner e che oggi permea la nostra società, con forme e manifestazioni sempre diverse…
L'altro contributo è dello studioso belga Erwin Jans, e reca il titolo: Il Ring: nella Twilight zone. Il Ring descrive in sostanza un mondo – proprio come il nostro! - in continua transizione, dove nessuno è al sicuro e dove ciascuno cerca il suo posto al sole, dove sistemi di potere si confrontano e rapporti di forza si modificano. Il tutto all'ombra di un fato inesorabile, che offusca la libertà. Abbiamo ancora un libero arbitrio? Siamo ancora capaci di scegliere le nostre azioni? Oppure esse sono decise altrove? Siamo ancora i fautori delle nostre vite? Le nostre azioni hanno qualche effetto? I nostri atti non sono forse strangolati in una rete fatale? La velocità e l'incomprensibilità che caratterizzano oggi gli sviluppi tecnologici, sociali ed economici possono essere definite, con assoluta serietà, "tragiche". Il mondo non è più nelle nostre mani. Il mondo ci accade.
Secondo Jans, Cassiers intende, con la sua messinscena, confrontarsi e proporci il confronto con la realtà dell'oggi, caratterizzata dai fenomeni di globalizzazione: la dichiarata fine della storia e della politica; il flusso di informazioni e immagini; il ruolo del linguaggio e della retorica; la virtualizzazione della realtà; la società dei consumi; la confusione ideologica; la minaccia del fanatismo e del fondamentalismo; la ricerca di sicurezza e spiritualità. In sostanza: il crepuscolo della società borghese.
Scrive ancora Jans: Nella visione di Guy Cassiers, il Ring racconta la crisi di identità e la collocazione incerta dell'individuo nel disorientante processo di globalizzazione. Poi va ancor più sul politico, laddove afferma testualmente: Il Ring è l'analisi critica della società capitalistica della metà dell'Ottocento e della sua classe media. Ma poi, prendendo atto dello spostamento di Wagner su posizioni, diciamo così, conservatrici, muove una velata critica, mutuata da G.B.Shaw, per la simpatia che Wagner sembrò mostrare per Wotan, più che per il rivoluzionario Siegfried…
Sempre più chiaramente: La messinscena di Guy Cassiers tiene in seria considerazione l'analisi sociale del Ring e la traspone all'inizio del XXI secolo, in un mondo in cui il capitalismo è divenuto globale e senza alternative.
Dopodichè si passa a proporre paralleli fra le vicende del Ring e la globalizzazione: il Walhall costruito con l'oro rubato ai Nibelunghi, così come le grandi fortune di oggi sono ottenute impoverendo milioni di individui: lavoro minorile, clandestini sottopagati, traffico di vite umane, e così via; ecco le mani invisibili che portano l'oro al Walhalla. Non mancano i riferimenti alle rivolte americane del 1992 e alle banlieu parigine del 2005, assimilati alla sete di vendetta di Alberich.
Ora Jans entra nel merito della regìa di Cassiers e pone l'accento sulla sua interdisciplinarietà: luci, coreografie, balletti, funzionali al progetto di decostruzione dei personaggi nelle componenti di corpo, immagine e voce. Dove ogni componente racconta una parte della storia, e dove sarà lo spettatore a ricomporre il quadro, secondo la sua personale percezione.
Infine Jans riassume i significati delle quattro scene del Rheingold. Nella prima le ninfe rappresentano, per Alberich, una realtà virtuale, come quella delle webcam, che può solo creare frustrazione. Nella seconda abbiamo la rappresentazione della decadenza del mondo degli dèi: L'identità degli dei si è disintegrata in pure idee da un lato (i cantanti) e potere fisico, animale dall'altro (i danzatori). Questa scissione della loro identità condurrà alla fine alla morte degli dei, che sembrano figure di sogno catturate fra la vita e la morte. I Giganti sono rappresentati da enormi ombre, anche questa una manipolazione della realtà, che serve a minacciare ed intimorire la controparte. Nella terza scena abbiamo il regno del Grande Fratello. La quarta scena vede il mondo che cade a pezzi, mentre gli dèi salgono al Wahlall sopra un arcobaleno costituito da una grande massa di numeri e lettere proiettati in continuo movimento, stretti l'un l'altro e che richiamano la Borsa e i corsi azionari.
Conclude Jans con considerazioni già lette e udite, del tipo: ambizione, brama di potere, avarizia, amore, desiderio, invidia, disperazione, lealtà… il Ring abbraccia tutto lo spettro delle emozioni umane. E con richiami a moderni fenomeni di alienazione, frustrazione, individuazione di nemici cui imputare le proprie sfortune, ricerca di redentori cui affidare il proprio futuro, etc.
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Che dire? Tante idee, alcune interessanti, altre stantìe, altre banali. E soprattutto si tratta di vedere poi all'atto pratico se e come il Konzept sia stato realizzato sulla scena. Le reazioni – da quelle dei soloni della critica a quelle degli amatori in forum e blog – non sembrano, ad oggi, entusiaste.
06 maggio, 2010
Aspettando che inizi il Ring alla Scala
Una interessante conferenza del professor Franco Serpa – nell'ambito dell'iniziativa Prima delle Prime – ha introdotto il tema del Ring, il cui nuovo ciclo (2010-2013) prenderà inizio – scioperi/Bondi permettendo – il 13 maggio alla Scala con Das Rheingold.
Serpa è uno dei nostri massimi esperti wagneriani (e non solo). Può ben vantarsi di aver assistito, nel lontano 1950, al primo ciclo nibelungico in lingua originale, quello di sua-denazificata-maestà Wilhelm Furtwängler, prodotto dalla Scala. Prima di parlarci del Rheingold ha ricapitolato la genesi del Ring all'interno della parabola esistenziale ed artistica di Wagner e nella prospettiva storica e della civiltà europea di metà '800. Io conservo ancora, come una reliquia, il suo saggio sul Ring comparso più di 20 anni fa sulla mai abbastanza rimpianta rivista Musica&Dossier, scritto che ha non poco contribuito a spingermi a studiare, oltre che ascoltare, questa che è da considerare la più straordinaria realizzazione dell'ingegno umano nel campo musicale.
Se posso permettermi un modesto appunto alla sua presentazione del Rheingold – è sempre eccitante, perché temerario, prendersi lo sfizio di muovere un appunto ad un accademico di S.Cecilia! – questo riguarda la luce in cui Serpa ha inquadrato il personaggio chiave (quello che dà il nome all'intero ciclo): Alberich. Che dal professore è stato definito come l'incarnazione del male, un essere congenitamente malvagio. Ecco, qui io mi permetto di dissentire: Alberich diventa malvagio, questo certamente, ma solo dopo che gli è stato fatto un torto (da tre stupidelle note come Le Figlie del Reno) anzi il più gran torto che si possa fare ad un essere vivente, negargli l'amore. Ed è precisamente la prospettiva disperante di dover vivere senza amore - Erzwäng' ich nicht Liebe… - che convince il nano, perso per perso, a maledirlo e ad impossessarsi dell'oro - …doch listig erzwäng' ich mir Lust? - con tutto ciò che ne consegue.
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Sistemato (smile!) Serpa, veniamo ad un protagonista chiave della rappresentazione: il regista. Guy Cassiers – con qualche anno in più sulle spalle – sembra ripetere l'esperienza che nel 1976 fece tale Patrice Chéreau (allora trentenne): essendo grande esperto di teatro di prosa, ma poco o nulla conoscendo di teatro musicale e di Wagner e di Ring in particolare, viene chiamato alla messa in scena di un'edizione importante (Bayreuth mi perdonerà l'affronto, se lo paragono alla Scala) dell'Anello. Peraltro Cassiers ha il vantaggio non indifferente di arrivare dopo mille esperienze fatte da altri; essendo – fino a prova contraria – intelligente è da sperare che da esse prenda il grano e butti il loglio, non viceversa!
In web sono disponibili alcuni documenti che testimoniano dell'approccio generale e della preparazione di questo Rheingold. Qui una serie di filmati, girati nelle ultime settimane. Due di questi (1-4) sono – con traduzione italiana - pubblicati sul sito del Teatro. Qui invece (è un pdf di 5Mega, attenzione!) un documento (in tedesco) con alcune considerazioni, diciamo così, filosofiche del nostro. Si può fare qualche illazione, qualche considerazione di prima mano? Vediamo un po'.
Dalla stessa locandina del Teatro, dai vari filmati, e dalle dichiarazioni del regista che li accompagnano si evince, intanto, un aspetto non proprio marginale: la presenza di una coreografia, quindi l'impiego di danzatori ad accompagnare alcune scene del dramma. Come giustificano Cassiers (filmato n°5) e un suo coreografo (filmato n°3) questa scelta piuttosto azzardata? Con la volontà di meglio chiarire allo spettatore ciò che si nasconde nella personalità dei vari protagonisti, spiegandone i reconditi segreti attraverso il movimento di danzatori. È legittimo sollevare seri dubbi su questa trovata? Per me purtroppo sì. Perché? Ma perché in Wagner, e nel Ring in particolare, quel compito che Cassiers intende affidare ai danzatori è invece affidato – e in modo insuperabile – alla musica! È ascoltando questa, i leit-motive che ne emanano, che noi comprendiamo, ricordiamo, anticipiamo fatti, cogliamo sentimenti, sensazioni, collegamenti e relazioni. Quei danzatori, invece, non finiranno per caso per distrarre la nostra attenzione proprio da ciò che è più importante e prezioso?
Quanto all'impostazione concettuale, da ciò che si vede e legge in alcuni spezzoni dei filmati e nel documento pubblicato sul sito della Staatsoper, sembrerebbe di evincere l'intendimento di Cassiers di presentarci – a partire dal Rheingold – un Ring con forte carattere attualizzante, per così dire. Così fanno pensare i riferimenti ai moderni processi di globalizzazione, alla spersonalizzazione delle relazioni, agli egoismi regionali ed etnici, alla ricerca di spazi virtuali in cui rifugiarci, all'affidarsi a capipopolo, alla speranza in improbabili redentori… tutte manifestazioni della nostra attuale (in)civiltà. Ora, che nel Ring si possa trovare tutto ciò è quasi pacifico… tutto sta a vedere però quale strada deciderà di percorrere il regista: ci vorrà mostrare, attraverso riferimenti all'attualità, i caratteri universali del Ring o al contrario – speriamo di no – deriverà, da quei caratteri universali, dei particolari legati alla nostra attualità? In altri termini, userà il particolare per rappresentarci l'universale, oppure ci farà perdere quest'ultimo, mostrandocene una minima, parziale e soggettiva materializzazione?
Sul fronte musicale abbiamo pochi indizi. Uno è del tutto tranquillizzante (o almeno dovrebbe): si chiama Daniel Barenboim. Pochi come lui conoscono il Ring fin nei minimi dettagli e possiamo sperare che ripeta la prestazione del Tristan di un paio d'anni fa. Se devo manifestare un po' di sorpresa dall'ascolto degli spezzoni di musica che sentiamo nei filmati, questa riguarda (video n°2) il tempo che Barenboim fa prendere a Fricka-Kammerloher per la frase Um des Gatten Treue besorgt. Una cosa insopportabilmente lenta! Spero proprio che sia solo l'effetto-prima-prova. Bella sonorità e gran portamento invece nel Folge mir, Frau di Pape, proprio all'inizio dello stesso video.
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Oggi pomeriggio, come mobilitazione anti-Bondi, una specie di lodevole sciopero-alla-rovescia, una prova aperta al pubblico. Divisa in due: alle 14 le prime due scene e alle 19 le altre due. Ho seguito la prima parte (adesso vado in Auditorium per laVerdi). Che dire?
Qualcosa dell'orchestra, che mi è parsa ben messa, soprattutto nella sezione ottoni, che sappiamo essere allo stesso tempo il suo tallone d'achille e la punta di diamante di Wagner. Barenboim ha fatto ripetere più volte l'incipit degli otto corni, ma insomma direi che come partenza non c'è male. Sui cantanti non esprimo alcun giudizio, chè immagino non si impegnino al massimo nemmeno ad una generale, figuriamoci ad una prima prova d'insieme.
Su regìa, scene e costumi invece penso si possa non dico giudicare, ma almeno riferire (ripeto: prime due scene!) Innanzitutto la regìa è di quelle che non fanno danni, quindi nemmeno suscitano entusiasmi (oggi spesso i secondi si accompagnano ai primi). Figlie del Reno in nero lungo, scalze a sguazzare in una bassa piscinetta (recuperata per caso dal Tannhäuser?) e Alberich con abito anonimo, ma con stivali per non bagnarsi troppo. Gratuite ed eccessive le moine delle ninfe, ma nulla di grave. Fondale con immagine marina più che fluviale, con acqua appena increspata (Wagner scrive che si deve vedere il Reno muoversi da destra a sinistra, figuriamoci!) Poi appare una lama di luce e il fondo si indora, ma non troppo, prima di rabbuiarsi dopo l'impresa di Alberich. Un paio di telecamere pendono dall'alto e ogni tanto qualche personaggio vi si avvicina e il suo primo piano è proiettato sul fondo (?!?)
Nella transizione compaiono i danzatori, che accompagnano la salita all'Olimpo con movenze francamente mediocri. Nella seconda scena, fondo fermo fin quasi alla fine, un ambiente a metà fra Cappadocia e Colorado; poi si zooma su una cosa che dovrebbe richiamare la wagneriana gola sulfurea, ma sembra un calanco e basta. Personaggi quasi sempre impalati, tranne Loge, che si muove e contorce come si addice alla sua stramba personalità. A che serva un mimo-ballerino che a sua volta lo scimmiotta, lo sapranno soltanto regista e coreografo. Così come abbastanza cervellotiche sono le silhouette proiettate sullo sfondo. Sospiro di sollievo nel sentire che il tempo di Fricka (Um des Gatten Treue besorgt) non è assolutamente quello del filmato.
Non è colpa sua, ma Youn nella parte di un gigante (Fasolt) è proprio una presa in giro: meno male che ha una voce strepitosa a dir poco! Il suo fratellone Fafner è letteralmente il doppio di lui (per questo non faticherà a farlo secco alla fine, smile!) I personaggi entrano ed escono sempre salendo e scendendo dal/al piano di sotto. Plausibile per la fuga di giganti e Freia, come per la discesa finale di Wotan-Loge. Gratuito per gli ingressi: a che servono le quinte laterali? Dopo la perdita di Freia, l'invecchiamento degli dèi è simulato da accasciamenti e dall'intervento di mimi-danzatori che si aggiungono al mucchio. Mah!
Un'ultima notazione sui costumi. Fricka e Freia (ma sono solo sorelle o anche gemelle?) son vestite identiche. Wotan (con lancia di ordinanza) in giacca e jeans, come Loge. Fasolt in jeans e Fafner in smoking (si deve capire subito che sarà lui a godersela, alla fine). Froh anche lui in casual e Donner senza martello ma con l'impermeabile: sì perché lui è il dio del tuono (smile!)
Ecco, è tutto qui: nessuna particolare ambientazione, né moderna, né vichinga… Si intravede alla fine della prova – Barenboim ci fa sentire per ben tre volte le 18 incudini - un po' della terza scena, dove probabilmente compare molta tecnologia, in onore alla produttività nibelungica, ma vedremo.
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Ultima informazione: venerdi 7, ore 21, sul Canale 5 FD, la RAI trasmette proprio un Rheingold diretto da Barenboim: è una registrazione dal vivo del 1991 a Bayreuth (pubblicata in CD da Teldec).