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da stellantis a stallantis

25 giugno, 2013

Un po’ di Bayreuth a Milano (1)


Dopo il primo, andato in scena dal 17 al 22, ecco al via il secondo ciclo del Ring scaligero.

Nell’ambito delle varie iniziative collaterali e di supporto all’offerta teatrale, le quattro giornate sono precedute da conferenze introduttive, ospitate nella prestigiosa sala dell’Auditorium Giacomo Manzù presso il Centro Congressi Fondazione Cariplo, a due passi dal teatro. A tenerle, accompagnandosi al pianoforte, è Elisabetta Fava, che ieri in meno di un’ora ha percorso le quattro scene del Rheingold con grande chiarezza ed efficacia: un’iniziativa davvero lodevole.

In teatro (il Piermarini presentava qualche posto vuoto) le cose sono andate discretamente bene: non certo per merito della regìa di Cassiers, di cui si sapeva e si era visto tutto, quindi al riguardo nessuna sorpresa, solo la persistente considerazione: la classica montagna (di quattrini!) che partorisce un topolino.   

Accettabile nella media la prestazione musicale: sopra la media Barenboim (cui magari avrei chiesto più… fretta) e l’orchestra, cui l’allenamento intensivo pare abbia giovato assai, e la coppia Johannes Martin Kränzle (Alberich) e Stephan Rügamer (Loge). Nella media il Wotan di Michael Volle (dopo una falsa-partenza…) la Fricka di Ekaterina Gubanova e il Fasolt di Iain Paterson. Un po’ sotto tutti/e gli/le altri/e.
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Dovendo rivedere (o meglio… risentire) il film di questa vigilia, citerei la cupa immobilità dell’attacco dei contrabbassi prima dell’arrivo delle ondate degli otto corni, che sono tanto mirabilmente vergate in partitura, quanto sempre difficili da rendere al meglio: dopo le prime due esposizioni disgiunte del tema (corni 8 e 7) abbiamo l’accavallarsi (a canone) delle onde, con quattro corni (da 8 a 5) che espongono le quattro battute del motivo (i primi 7 armonici naturali, tutte note della triade fondamentale di MIb, dalla tonica alla mediante due ottave sopra) sfalsati fra loro di due battute; quindi gli altri quattro corni (da 4 a 1) che cominciano ad entrare una battuta e mezza dopo il corno 5 e sfalsati fra loro di una sola battuta; infine la mutazione del tema (con la salita alla dominante superiore) per prima nel corno 8 (poi nel 4, nel 6, poi 3, 7, quindi 2, 5 e 1) e la successiva discesa. Ecco, essendo otto linee a canone, ma tutte costituite dalle note della triade, è persino difficile percepire – con tutto il rispetto per gli strumentisti! – se le successive entrate vengano eseguite precisamente come scritte… e anche ieri sera l’orecchio (il mio, quanto meno) non ne è rimasto pienamente appagato.    

Da incorniciare invece tutta la prima scena, con punte di grande emozione nella serenata di Flosshilde (Wie deine Anmuth mein Aug’ erfreut…) e nella blasfema quanto drammatica esternazione di Alberich (Erzwäng’ ich nicht Liebe…) fino all’impressionante So verfluch’ ich die Liebe! che segna la fine all’Eden e l’inizio della tragedia dell’umanità.

Qualche disagio all’entrata di Wotan (Vollendet das ewige Werk) chiusa da un affrettato e stentato hehrer herrlicher Bau! E anche Fricka non (mi) ha emozionato più di tanto, in quella perla che è herrliche Wohnung, wonniger Hausrath. I due si sono ripresi nel seguito, in specie Wotan, che ha acquisito più… autorevolezza (smile!)

Impressionante invece l’entrata dei giganti, dove timpani e tuba hanno letteralmente fatto tremare il teatro! Ben esposte le ansie amorose di Fasolt, un po’ meno le brutali maniere di Fafner.

Fantastica, proprio da sbudellamento, l’introduzione degli archi al racconto di Loge (So weit Leben und Weben) ed altrettanto mirabile la chiusa, con il fiorire di Freia e la stupefacente cadenza dell’oboe.

Dopo una parte finale non proprio brillantissima della seconda scena, efficace la transizione verso Nibelheim, dove abbiamo ritrovato un Alberich davvero convincente e un Mime piuttosto insipido. Efficacissimi i ritorni del trionfo di Alberich e musicalmente riuscite le sue due trasmutazioni, fino alla cattura, con il tema dell’anello che si avvita su se stesso…

La scena conclusiva ha – per sua natura – qualche momento di… caduta di tensione, dopo la liquidazione di Alberich e la sua drammatica (e splendidamente resa) maledizione. Da incorniciare però il meraviglioso ritorno – a canone – del tema delle Goldnen Äpfel che introduce l’aria (per così dire) di Froh, Wie liebliche Luft, che personalmente avrei gradito un po’ meno… letargica (smile!)

Sempre emozionante il momento dell’apparizione di Erda (qui era meglio chiudere gli occhi, causa Cassiers, che la trasforma in uno spaventapasseri…); un po’ tirato via l’Hedà-Hedò di Donner (fra l’altro non mi è parso di udire il singolo colpo di martello che lo chiude) e un filino coperto dagli ottoni lo sfavillare delle sei arpe che accompagnano la vista del ponte-arcobaleno.

Grandiosa l’entrata della tromba sulla Spada e strappalacrime il lamento finale delle Figlie del Reno. Un pochino in ombra la tubette nella poderosa cadenza finale, sovrastate dal peso degli altri ottoni.    
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In definitiva: un promettente primo movimento di questa colossale sinfonia che va sotto il nome di Ring.

Pubblico generosissimo di applausi e bravi! per tutti.

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