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01 giugno, 2013

Orchestraverdi – concerto n.36


Aldo Ceccato continua la sua presentazione a ritroso delle Sinfonie di Dvorak: siamo arrivati al sesto appuntamento, quindi alla… Quarta.

Le prime quattro sinfonie erano state dall’Autore tenute nel cassetto e nemmeno destinate alla pubblicazione (avvenuta postuma) perché considerate poco più che degli studi, primi tentativi di affrontare un genere impegnativo come quello sinfonico. Probabilmente influì su questa decisione anche l’esempio di Brahms, che solo dopo infiniti tergiversare si era deciso al gran passo. E infatti ben quattro delle ultime cinque sinfonie di Dvorak verranno composte dopo l’esordio sulla scena sinfonica dell’amico e protettore amburghese. 

Questa Quarta però mostra ancora e chiaramente l’influsso wagneriano e bruckneriano (che poi si disperderà, proprio in conseguenza del rafforzarsi del sodalizio di Dvorak con l’anti-Wagner-Bruckner istituzionale) e anche un certo tasso di enfasi e di affettazione. Ne è prova lampante l’impiego dei timpani, una sorta di obbligato: salvo pochi momenti di quiete (soprattutto nel secondo movimento) non fanno che imperversare in modo invadente, tanto che lo strumentista addetto è probabilmente il più impegnato fra tutti i suoi colleghi!
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L’iniziale Allegro in RE minore, in 3/4, è strettamente strutturato in forma-sonata. Su un sommesso pedale degli archi, sospeso fra tonica e sensibile, i legni espongono un’introduzione marziale (che dal RE minore fa una divagazione al FA maggiore) prima di dare spazio al tema principale (Grandioso) canonicamente di piglio maschio ed eroico:

Tema che sfocia in una conclusione simile a quella dell’introduzione, ma qui in LA maggiore Da dove si modula verso il secondo tema che, sempre nel rispetto delle regole codificate fin dai tempi di Haydn, è elegiaco e cantabile, in SIb maggiore:

Il tema svaria al FA maggiore, poi viene reiterato con maggiore cipiglio (e un’ottava più in alto, come da consuetudine!) in SIb e chiude modulando abbastanza arditamente sul MI, dominante di LA. A proposito di regole, l’esposizione prevede anche il segno di da-capo per il classico ritornello: in questo caso il LA serve a preparare il ritorno al RE minore per la ripetizione. Al secondo passaggio, inizio dello sviluppo, riudiamo l’inciso marziale dell’introduzione che dal MI si sposta a DO#, poi a FA#, per modulare ulteriormente al SI maggiore (!) dove ritroviamo direttamente il secondo tema, che nello sviluppo la fa da padrone, contrapponendosi, più che al primo tema, al motivo marziale dell’introduzione. Nella ricapitolazione riudiamo il primo tema assai sviluppato e modulante (soprattutto su LA) e il secondo che ricompare canonicamente trasposto nel modo maggiore della tonalità d’impianto. È ancora il primo tema a riprendere i sopravvento e a chiudere enfaticamente, dopo un ritorno dell’inciso marziale, il movimento.

L’Andante sostenuto e molto cantabile si apre con… Tannhäuser (contrappuntato da Bruckner!) È comunque il movimento più ispirato della sinfonia, con le sue atmosfere cullanti, che sfociano nella bellissima cadenza finale.

Lo Scherzo (Allegro feroce, RE minore) è il movimento che ha reso (relativamente famosa) la Sinfonia, ma è anche il più enfatico ed affettato: è il 6/4 ma dopo l’esposizione iniziale:

il tema torna in RE maggiore con un ritmo binario, marziale, e con gli schianti sul tempo debole, invero pacchiani.

Il Trio (DO maggiore, 2/4) ha un tema se possibile ancora più dozzinale e fracassone:


Poi ha un ripiegamento più intimistico, prima di sfociare nella ripresa dello Scherzo (RE minore) che sbocca poi in un crescendo fino alla Coda che è percorsa ancora enfaticamente dal tema del Trio, ora in RE maggiore, prima di incupirsi nuovamente fino allo schianto conclusivo in RE minore.

Il finale è un Allegro con brio (2/4) in RE minore, che si apre con un tema ancora duro e marziale. Il secondo, in RE maggiore, è invece assai cantabile e sereno:


La chiusa richiama vagamente quella della Fantastica di Berlioz.
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Vibrante ma non pacchiana l’esecuzione di Ceccato, che mi pare aver smussato gli aspetti più… plateali dell’opera, mettendone in evidenza più i tratti boemi che quelli germanici. Bravi tutti i ragazzi, con la rediviva Viviana ai timpani giustamente chiamata per prima da Ceccato all'applauso singolo.

Adesso l’atmosfera trascolora lentamente da Dvorak (complice una variazione al programma originario, che prevedeva il suo concerto per violoncello, poi cancellato) a Brahms, del quale vengono eseguite otto Danze ungheresi: dapprima cinque (17-21) orchestrate da Dvorak e per chiudere le tre più famose (la 1 orchestrata dallo stesso Brahms e le 5 e 6 da Martin Schmeling). Qui una storica e trascinante esecuzione di Antal Dorati.

Ceccato si permette (a quasi 80 anni tutto gli è concesso, soprattutto con musica come questa!) di fare il gigione: nella n°6 raggiunge l’apice con un’estremizzazione dei tempi (sostenuto-vivace) davvero al limite della macchietta, e dando gli attacchi con urletti da circo. Ma il pubblico va giustamente in delirio. Così la n°1 viene ripetuta come bis, prima che il Maestro gridi un viva la musica! che manda tutti a casa felici e contenti.      

Il penultimo concerto sarà diretto dal redivivo (e Direttore Principale Ospite di fresca nomina) Gaetano d’Espinosa.
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Con l’occasione allego un paio di documenti riguardanti Dvorak, pubblicati tempo fa su Musica&Dossier:

- un corposo dossier di Paolo Maurizi, del settembre 1991 e

- Dvorak in USA di Aldo Nicastro, del marzo 1987.

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