percorsi

da stellantis a stallantis

31 maggio, 2013

I Sassoni con Thielemann sommergono di suoni la laguna


La Sächsische Staatskapelle e il suo carismatico Kapellmeister sono stati ieri ospiti di Venezia per un grande concerto wagneriano (con intermezzo… contemporaneo). Era l’ultima tappa del tour del compleanno, che ha prima toccato Parigi e Vienna, altre città-chiave nella vita (non solo artistica) di Wagner.  

Ma il programma era interamente dedicato a Dresda, per evidenti ragioni… geopolitiche: tutte musiche che in quella città, e proprio con i trisnonni dei musicisti di oggi, videro la luce (Rienzi, Holländer, Eine Faust Ouverture, Tannhäuser) o musiche che in quella città furono concepite (Lohengrin). In mezzo, un omaggio a Hans Werner Henze, che Thielemann aveva voluto come Compositore in residenza presso la Staatskapelle e che purtroppo ci ha lasciato prima di poter completare il suo Isoldes Tod. A completare il quadro, la presenza… ingombrante (stra-smile!) di Johan Botha, che si è cimentato in tre famose arie di quelle stesse opere (Holländer escluso).

Una Fenice con più di una poltrona vuota ha assistito ad una straordinaria prestazione dei sassoni, un’orchestra che – in questo repertorio soprattutto – ha pochi rivali. Come pochi ne ha Thielemann, che la guida con il suo gesto misurato, poco appariscente, ma evidentemente efficacissimo. Segno che dietro c’è un duro lavoro di prova e di amalgama, che poi in concerto dà i suoi frutti quasi da solo.

Il programma era ben congegnato, con l’Ouverture dell’Holländer ad aprire sontuosamente la serata. È l’opera che anche in questo anno di ricorrenze inaugura il Festival di Bayreuth, il 25 luglio. E Thielemann evidentemente sta rientrando in quell’atmosfera: qui ha preferito la chiusa in pianissimo sul tema della redenzione, omettendo il rumoroso accordo finale.

Ecco poi Eine faust Ouverture, forse l’unico pezzo sinfonico di Wagner che mantiene stabilmente un posto nei programmi concertistici. Und so ist mir das Dasein eine Last,/ Der Tod erwünscht, das Leben mir verhaßt, perciò l’esistenza è per me un fardello, la morte augurabile, la vita odiosa. Questi i due versi di Goethe posti programmaticamente da Wagner in calce alla partitura, che vide la luce ai tempi dell’Holländer (di cui mutua le atmosfere cupe) e fu poi rivista quando si affacciava da lontano un tale Tristan… Ecco come la interpretava Toscanini. E Thielemann non è da meno: fa proprio venir fuori tutto il pessimismo che la pervade, appena appena rischiarato dalla conclusione serena (tipo Tristan, in effetti).

Quindi la prima comparsa di Botha, per interpretare la straordinaria Allmächt’ger Vater dal quinto atto del Rienzi. Per la verità qui il tenore sudafricano non mi è parso troppo all’altezza del compito: solo il modo con cui ha tirato via i gruppetti che caratterizzano i versi Du stärkest mich e Du liehest mich (e poi Mein Herrsenke dein Auge) la dice lunga su una certa approssimazione. (Qui il pur discusso Kaufmann fa assai meglio…) Per fortuna ci pensa subito dopo Thielemann, dirigendo l’Ouverture, a rimettere le cose al giusto posto: un’esecuzione letteralmente superlativa, accolta da acclamazioni entusiastiche.

Dopo l’intervallo una nuova accoppiata strumenti-voce: dapprima il Preludio di Lohengrin, altra autentica perla della serata, dove gli archi (i violini innanzitutto, come è ovvio) cavano una purezza di suono incomparabile. Poi arriva Botha per l’immancabile In fernem Land, corredata – come ormai costume, almeno in concerto o nelle incisioni, come questa di Kaufmann (e speriamo che non lo diventi in teatro!) - di quei 20 versi aggiuntivi che letteralmente distruggono tutto il bello e il buono di ciò che li precedeva, soprattutto se privati (come qui, per evidenti ragioni) degli interventi del coro, gli unici che in qualche modo li nobilitano. E non per nulla Wagner ordinò perentoriamente a Liszt di espungere l’intera sezione già alla prima rappresentazione di Weimar! Botha anche qui non (mi) incanta: emissione affannata, poco legato, insomma una mezza delusione.

Di Hans Werner Henze viene poi eseguita Fraternitè, composta per Kurt Masur e la New York Philharmonic Society nel 1999. Bellissimo pezzo di questo gigante della musica contemporanea, che evidentemente concepiva la musica come arte mossa dall’ispirazione, e non come freddo vaniloquio.

In chiusura altra coppia canto-orchestra. Tocca per primo a Botha proporre la massacrante aria finale di Tannhäuser (Inbrunst im Herzen): qui il tenore mi pare riscattarsi e fa emergere efficacemente tutta la drammatica potenza dello sfogo del personaggio maledetto da tutti. Meglio comunque fa ancora Thielemann con l’Ouverture, un vero gioiello, di suoni e anche di interpretazione, davvero calata fino in fondo nello spirito alto-tedesco del soggetto.

Trionfo assicurato e contraccambiato con il bis più… ovvio: il Preludio all’Atto III di Lohengrin.

Beh, almeno per quanto mi riguarda, è valsa la pena – e la spesa - di una trasferta sotto il diluvio (che per fortuna ha risparmiato proprio Venezia): capita poche volte, in Italia, di ascoltare orchestre ed esecuzioni di così alto livello.  

Nessun commento: