XIV

da prevosto a leone
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30 maggio, 2016

Ancora una fiaba a Torino


Al Regio torinese va in scena in questi giorni l’ultima delle tre fiabe musicali che hanno costellato la stagione 15-16: Pollicino di Hans Werner Henze (che compirebbe quest’anno 90 anni). Dopo la diretta su Radio3 della prima di sabato, ieri pomeriggio è stata la volta della seconda recita, cui ne seguono oggi e domani altre tre in special modo riservate ai piccoli. 

La composizione risale agli anni ’79-80, quando Henze stava per lasciare la direzione del suo Cantiere internazionale d’arte di Montepulciano, dove sabato 2 agosto 1980 (data per il resto infausta – la strage di Bologna) l’opera andò trionfalmente in scena per la prima volta.

Il soggetto è una libera rivisitazione della celebre fiaba, curata da Giuseppe Di Leva, che in particolare ha pensato (ma forse lo pensò Michele Risso) un nuovo finale, dove una combriccola di 7 coppie di bambini, ormai evidentemente emancipati dopo il loro percorso iniziatico, culminato nella traversata del fiume in piena, se ne va coraggiosamente a scoprire il mondo, invece di tornare a casa da mamma e papà a fare i bamboccioni. Oltre al percorso di iniziazione, non manca nel soggetto qualche riferimento esoterico (tipo flauto magico) visto che in scena abbiamo tre gruppi (bambini, bambine e animali) di sette elementi ciascuno.

E proprio per dare totalmente fiducia ai giovani, l’opera fu realizzata in origine impiegando complessi di musicisti in erba, primo dei quali il Concentus Politianus, allora guidato dall’attuale Direttore artistico del Regio, Gastón Fournier-Facio, che all’epoca fu in pratica l’agente promotore dell’impresa. L’Orchestra prevista dalla partitura – assai diversa da quella del melodramma classico - ha il seguente organico:

 
Qui a Torino è stata in pratica assemblata all’uopo l’Orchestra giovanile “Il Pollicino”, mettendo insieme giovani di ben cinque Conservatori, cui si sono aggiunti alcuni bambini (Compositori in erba) della scuola di Villanova d’Asti. L’organico prevede un notevole rinforzo degli archi, per far fronte alle dimensioni della sala del teatro, assai più ampia di quella del Poliziano di Montepulciano. Per le stesse ragioni il pavimento della buca è sollevato di un buon metro e mezzo rispetto al normale.

Il cast canoro è costituito da 21 voci bianche del Teatro e del Conservatorio torinesi, cui si sono aggiunte le quattro voci adulte (i genitori di Pollicino e i suoi... futuri suoceri!) Tutti guidati da Claudio Fenoglio, per l’occasione sceso in... semi-buca armato di bacchetta con la quale ha guidato i ragazzi con grande autorità e sicurezza.

Insomma, un’iniziativa fatta proprio nel lodevole spirito che animò 37 anni orsono Henze e i suoi collaboratori nella realizzazione dell’originale. E di ciò va reso merito al Regio e in particolare al suo Direttore artistico.  
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Henze e Di Leva hanno strutturato l’opera in un atto unico suddiviso in 12 Scene, precedute da una Sinfonia e inframmezzate da 5 Interludi strumentali, collocati in corrispondenza degli altrettanti mutamenti di ambiente:

scena
ambiente
personaggi



Sinfonia


1
casa
Madre, Padre, Pollicino, 6 Fratelli
2
esterno casa
Madre, Padre, Pollicino
3
esterno casa
Pollicino
4
verso il bosco
Madre, Padre, Pollicino, 6 Fratelli
Interludio I


5
bosco
Pollicino, 6 Fratelli
Interludio II


6
casa
Madre, Padre, 6 Fratelli
7
casa
Madre, Padre, Pollicino, 6 Fratelli
Interludio III


8
bosco
Pollicino, 6 Fratelli
9
bosco
Pollicino, 6 Fratelli, Animali
Interludio IV


10
casa Orco
Orco, Moglie, Pollicino, 6 Fratelli
11
casa Orco
Orco, Moglie, Pollicino, 6 Fratelli, Clotilde, 6 Sorelle
Interludio V


12
fiume
Pollicino, 6 Fratelli, Clotilde, 6 Sorelle

Henze impiega per lo più musica quasi tonale, in specie per accompagnare il canto, mentre si spinge su terreni più impervi in alcune parti dell’accompagnamento (violino e pianoforte) dove troviamo spunti squisitamente espressionistici. Gli interludi ed altri brani puramente strumentali includono una pastorale per chitarra, una marcia, una poliritmia di percussioni (à-la-Stravinski) e una passacaglia con base di 6 battute ripetute 11 volte più la coda.

Dopodichè Henze infila simpaticamente nel suo racconto musicale svariate citazioni, o meglio reminiscenze, da musiche classiche e popolari; fra le più facilmente riconoscibili citerei: nella Scena 10 ‘Na gita a li castelli (So’ meio de la sciampagna li vini de ‘ste vigne... canta l’Orco ubriacone) che Henze doveva conoscere benissimo, avendo casa proprio a Marino! Nella Scena 11 ecco nientemeno che il povero Rigoletto (compresa la tonalità di MI minore!) sul buffo però-però dell’Orco che rientra in camera per mangiarsi qualche bambino. La chiusura della Scena 12 e dell’opera è cantata dai 14 bambini (ormai fattisi adolescenti) su una celebre canzone toscana (qui l’indimenticabile Narciso Parigi).
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L’allestimento di Dieter Kaegi è perfettamente funzionale al soggetto, ma anche all’impostazione originariamente data dagli autori: scene (di Italo Grassi, come i simpatici costumi) assai sobrie, pannelli mobili che chiudono gli ambienti domestici e poi svelano il bosco; proiezioni (di Mauro Matteucci) sul velario al proscenio a supportare gli interludi e luci (di Andrea Anfossi) sempre appropriate ai diversi ambienti in cui si svolge la fiaba. Molto efficaci i movimenti scenici di tutti i grandi e piccini; significativa la finale discesa in buca e risalita in platea dei 21 ragazzi, quasi a conferma della raggiunta emancipazione.

Ecco, ancora una proposta intelligente oltre che interessante del Teatro torinese, che il pubblico (ieri non oceanico, ma piacevolissimamente composto da giovanissimi) ha salutato con grande entusiasmo, distribuendo applausi ed ovazioni indistintamente a tutti i protagonisti di questo eccellente spettacolo.

31 maggio, 2013

I Sassoni con Thielemann sommergono di suoni la laguna


La Sächsische Staatskapelle e il suo carismatico Kapellmeister sono stati ieri ospiti di Venezia per un grande concerto wagneriano (con intermezzo… contemporaneo). Era l’ultima tappa del tour del compleanno, che ha prima toccato Parigi e Vienna, altre città-chiave nella vita (non solo artistica) di Wagner.  

Ma il programma era interamente dedicato a Dresda, per evidenti ragioni… geopolitiche: tutte musiche che in quella città, e proprio con i trisnonni dei musicisti di oggi, videro la luce (Rienzi, Holländer, Eine Faust Ouverture, Tannhäuser) o musiche che in quella città furono concepite (Lohengrin). In mezzo, un omaggio a Hans Werner Henze, che Thielemann aveva voluto come Compositore in residenza presso la Staatskapelle e che purtroppo ci ha lasciato prima di poter completare il suo Isoldes Tod. A completare il quadro, la presenza… ingombrante (stra-smile!) di Johan Botha, che si è cimentato in tre famose arie di quelle stesse opere (Holländer escluso).

Una Fenice con più di una poltrona vuota ha assistito ad una straordinaria prestazione dei sassoni, un’orchestra che – in questo repertorio soprattutto – ha pochi rivali. Come pochi ne ha Thielemann, che la guida con il suo gesto misurato, poco appariscente, ma evidentemente efficacissimo. Segno che dietro c’è un duro lavoro di prova e di amalgama, che poi in concerto dà i suoi frutti quasi da solo.

Il programma era ben congegnato, con l’Ouverture dell’Holländer ad aprire sontuosamente la serata. È l’opera che anche in questo anno di ricorrenze inaugura il Festival di Bayreuth, il 25 luglio. E Thielemann evidentemente sta rientrando in quell’atmosfera: qui ha preferito la chiusa in pianissimo sul tema della redenzione, omettendo il rumoroso accordo finale.

Ecco poi Eine faust Ouverture, forse l’unico pezzo sinfonico di Wagner che mantiene stabilmente un posto nei programmi concertistici. Und so ist mir das Dasein eine Last,/ Der Tod erwünscht, das Leben mir verhaßt, perciò l’esistenza è per me un fardello, la morte augurabile, la vita odiosa. Questi i due versi di Goethe posti programmaticamente da Wagner in calce alla partitura, che vide la luce ai tempi dell’Holländer (di cui mutua le atmosfere cupe) e fu poi rivista quando si affacciava da lontano un tale Tristan… Ecco come la interpretava Toscanini. E Thielemann non è da meno: fa proprio venir fuori tutto il pessimismo che la pervade, appena appena rischiarato dalla conclusione serena (tipo Tristan, in effetti).

Quindi la prima comparsa di Botha, per interpretare la straordinaria Allmächt’ger Vater dal quinto atto del Rienzi. Per la verità qui il tenore sudafricano non mi è parso troppo all’altezza del compito: solo il modo con cui ha tirato via i gruppetti che caratterizzano i versi Du stärkest mich e Du liehest mich (e poi Mein Herrsenke dein Auge) la dice lunga su una certa approssimazione. (Qui il pur discusso Kaufmann fa assai meglio…) Per fortuna ci pensa subito dopo Thielemann, dirigendo l’Ouverture, a rimettere le cose al giusto posto: un’esecuzione letteralmente superlativa, accolta da acclamazioni entusiastiche.

Dopo l’intervallo una nuova accoppiata strumenti-voce: dapprima il Preludio di Lohengrin, altra autentica perla della serata, dove gli archi (i violini innanzitutto, come è ovvio) cavano una purezza di suono incomparabile. Poi arriva Botha per l’immancabile In fernem Land, corredata – come ormai costume, almeno in concerto o nelle incisioni, come questa di Kaufmann (e speriamo che non lo diventi in teatro!) - di quei 20 versi aggiuntivi che letteralmente distruggono tutto il bello e il buono di ciò che li precedeva, soprattutto se privati (come qui, per evidenti ragioni) degli interventi del coro, gli unici che in qualche modo li nobilitano. E non per nulla Wagner ordinò perentoriamente a Liszt di espungere l’intera sezione già alla prima rappresentazione di Weimar! Botha anche qui non (mi) incanta: emissione affannata, poco legato, insomma una mezza delusione.

Di Hans Werner Henze viene poi eseguita Fraternitè, composta per Kurt Masur e la New York Philharmonic Society nel 1999. Bellissimo pezzo di questo gigante della musica contemporanea, che evidentemente concepiva la musica come arte mossa dall’ispirazione, e non come freddo vaniloquio.

In chiusura altra coppia canto-orchestra. Tocca per primo a Botha proporre la massacrante aria finale di Tannhäuser (Inbrunst im Herzen): qui il tenore mi pare riscattarsi e fa emergere efficacemente tutta la drammatica potenza dello sfogo del personaggio maledetto da tutti. Meglio comunque fa ancora Thielemann con l’Ouverture, un vero gioiello, di suoni e anche di interpretazione, davvero calata fino in fondo nello spirito alto-tedesco del soggetto.

Trionfo assicurato e contraccambiato con il bis più… ovvio: il Preludio all’Atto III di Lohengrin.

Beh, almeno per quanto mi riguarda, è valsa la pena – e la spesa - di una trasferta sotto il diluvio (che per fortuna ha risparmiato proprio Venezia): capita poche volte, in Italia, di ascoltare orchestre ed esecuzioni di così alto livello.  

11 gennaio, 2010

Henze e Mahler a SantaCecilia

Poco fa Radio3 ha irradiato in diretta la seconda esecuzione (dopo la prima assoluta di domenica) di Opfergang di Hans-Werner Henze diretta da Antonio Pappano con la SantaCecilia.

Il Maestro legge un breve e poetico sunto dell'Opera, scritto proprio dal compositore, ci fa una rapida analisi del brano e poi si mette al pianoforte, che concerta con l'orchestra a supporto dei cantanti. Che dire? Difficile giudicare al primo ascolto (e probabilmente anche al secondo e terzo e quarto… come sempre accade quando ci si confronta con la tecnologia musicale dodecafonica); restano le sensazioni epidermiche di una musica che non sembra lasciare spazio alcuno a ottimismo e positività… che però emergono proprio quando la musica tace, nelle parole del cagnolino ormai passato a miglior vita: Die Liebe fängt an (comincia l'Amore).

A seguire Das Lied von der Erde di Mahler. Musicista che scopriamo oggi - grazie all'agenzia di stampa del simpatico Capezzone (detto anche la-voce-del-padrone) - aver vissuto fino alla veneranda età di 100 anni!

C'è un legame artistico-estetico fra le due opere: il concetto di morte, fisicamente imposta o serenamente prefigurata; poi anche uno biografico, impersonato da Franz Werfel, autore del testo di Opfergang e terzo marito (dopo Mahler e Gropius) di Alma Schindler.

Esecuzione davvero impeccabile dell'orchestra (non così mi è parso della ripresa audio, che spesso ha messo i legni troppo in primo piano); qualche sbavatura negli attacchi dei cantanti, comunque più che meritevoli e pulitissima l'interpretazione di Pappano, che mi è parso rispettare alla virgola la lettera e lo spirito di questa straordinaria partitura.