Al Regio torinese va in scena in questi
giorni l’ultima delle tre fiabe musicali che hanno costellato la stagione
15-16: Pollicino di Hans Werner Henze (che
compirebbe quest’anno 90 anni). Dopo la diretta su Radio3 della prima di sabato, ieri pomeriggio è stata
la volta della seconda recita, cui ne seguono oggi e domani altre tre in
special modo riservate ai piccoli.
La composizione
risale agli anni ’79-80, quando Henze stava per lasciare la direzione del suo Cantiere internazionale d’arte di
Montepulciano, dove sabato 2 agosto 1980 (data per il resto infausta – la strage
di Bologna) l’opera andò trionfalmente in scena per la prima volta.
Il soggetto è
una libera rivisitazione della celebre fiaba, curata da Giuseppe Di Leva, che in particolare ha pensato (ma forse lo pensò Michele Risso) un nuovo finale, dove una
combriccola di 7 coppie di bambini, ormai evidentemente emancipati dopo il loro
percorso iniziatico, culminato nella traversata del fiume in piena, se ne va coraggiosamente
a scoprire il mondo, invece di tornare a casa da mamma e papà a fare i
bamboccioni. Oltre al percorso di iniziazione, non manca nel soggetto qualche
riferimento esoterico (tipo flauto magico) visto che in scena abbiamo tre gruppi (bambini, bambine e animali)
di sette elementi ciascuno.
Qui a Torino è
stata in pratica assemblata all’uopo l’Orchestra
giovanile “Il Pollicino”, mettendo insieme giovani di ben cinque
Conservatori, cui si sono aggiunti alcuni bambini (Compositori in erba) della scuola di Villanova d’Asti. L’organico
prevede un notevole rinforzo degli archi, per far fronte alle dimensioni della
sala del teatro, assai più ampia di quella del Poliziano di Montepulciano. Per le stesse ragioni il pavimento
della buca è sollevato di un buon metro e mezzo rispetto al normale.
Il cast canoro è
costituito da 21 voci bianche del Teatro e del Conservatorio torinesi, cui si
sono aggiunte le quattro voci adulte
(i genitori di Pollicino e i suoi... futuri suoceri!) Tutti guidati da Claudio Fenoglio, per l’occasione sceso
in... semi-buca armato di bacchetta con la quale ha guidato i ragazzi con
grande autorità e sicurezza.
___
Henze e Di Leva
hanno strutturato l’opera in un atto unico suddiviso in 12 Scene, precedute da una Sinfonia
e inframmezzate da 5 Interludi
strumentali, collocati in corrispondenza degli altrettanti mutamenti di
ambiente:
scena
|
ambiente
|
personaggi
|
Sinfonia
|
||
1
|
casa
|
Madre, Padre, Pollicino, 6 Fratelli
|
2
|
esterno casa
|
Madre, Padre, Pollicino
|
3
|
esterno casa
|
Pollicino
|
4
|
verso il bosco
|
Madre, Padre, Pollicino, 6 Fratelli
|
Interludio I
|
||
5
|
bosco
|
Pollicino, 6 Fratelli
|
Interludio II
|
||
6
|
casa
|
Madre, Padre, 6 Fratelli
|
7
|
casa
|
Madre, Padre, Pollicino, 6 Fratelli
|
Interludio III
|
||
8
|
bosco
|
Pollicino, 6 Fratelli
|
9
|
bosco
|
Pollicino, 6 Fratelli, Animali
|
Interludio IV
|
||
10
|
casa Orco
|
Orco, Moglie, Pollicino, 6 Fratelli
|
11
|
casa Orco
|
Orco, Moglie, Pollicino, 6 Fratelli, Clotilde, 6 Sorelle
|
Interludio V
|
||
12
|
fiume
|
Pollicino, 6 Fratelli, Clotilde, 6 Sorelle
|
Henze impiega
per lo più musica quasi tonale, in
specie per accompagnare il canto, mentre si spinge su terreni più impervi in
alcune parti dell’accompagnamento (violino e pianoforte) dove troviamo spunti
squisitamente espressionistici. Gli interludi ed altri brani puramente
strumentali includono una pastorale per chitarra, una marcia, una poliritmia di
percussioni (à-la-Stravinski) e una passacaglia con
base di 6 battute ripetute 11 volte più la coda.
Dopodichè Henze infila
simpaticamente nel suo racconto musicale svariate citazioni, o meglio reminiscenze, da musiche
classiche e popolari; fra le più facilmente riconoscibili citerei: nella Scena
10 ‘Na gita a li castelli (So’ meio de la sciampagna li vini de ‘ste
vigne... canta l’Orco ubriacone) che Henze doveva conoscere benissimo,
avendo casa proprio a Marino! Nella Scena 11 ecco nientemeno che il povero Rigoletto (compresa la tonalità
di MI minore!) sul buffo però-però
dell’Orco che rientra in camera per mangiarsi qualche bambino. La chiusura
della Scena 12 e dell’opera è cantata dai 14 bambini (ormai fattisi
adolescenti) su una celebre canzone
toscana (qui l’indimenticabile Narciso Parigi).
___
L’allestimento
di Dieter Kaegi è perfettamente
funzionale al soggetto, ma anche all’impostazione originariamente data dagli
autori: scene (di Italo Grassi, come
i simpatici costumi) assai sobrie, pannelli mobili che chiudono gli ambienti
domestici e poi svelano il bosco; proiezioni (di Mauro Matteucci) sul velario al proscenio a supportare gli
interludi e luci (di Andrea Anfossi)
sempre appropriate ai diversi ambienti in cui si svolge la fiaba. Molto efficaci
i movimenti scenici di tutti i grandi e piccini; significativa la finale
discesa in buca e risalita in platea dei 21 ragazzi, quasi a conferma della
raggiunta emancipazione.
Ecco, ancora una
proposta intelligente oltre che interessante del Teatro torinese, che il pubblico
(ieri non oceanico, ma piacevolissimamente composto da giovanissimi) ha
salutato con grande entusiasmo, distribuendo applausi ed ovazioni indistintamente
a tutti i protagonisti di questo eccellente spettacolo.
Nessun commento:
Posta un commento