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28 maggio, 2016

laVERDI 2016 – Concerto n°19

  
Il redivivo Gaetano D’Espinosa sale sul podio dell’Auditorium per dirigervi un concerto che accosta un autore italiano ancor oggi quasi sconosciuto ad un suo contemporaneo che invece conoscono anche nel Burkina-Faso (con tutto il rispetto). 

Dopo la Seconda sinfonia proposta da Francesco Attardi un anno e mezzo fa, la Sgambati-renaissance de laVERDI prosegue con la presentazione di ben due lavori del compositore romano. Il quale aveva solo 8 anni meno di Brahms e precisamente uno meno di Ciajkovski, quindi (pur essendo campato fino al 1914) è da considerare come un figlio del più romantico ‘800. E Brahms e Ciajkovski lui ebbe modo di conoscerli bene, quanto Liszt (di cui fu allievo a Roma) e Wagner (che lo introdusse all’editore Schott): ciò si può benissimo dedurre ascoltando il suo Concerto per pianoforte, che pare volersi ispirare ai modelli più famosi del suo tempo (Liszt, in primis). Purtroppo capita spesso che l’ispirazione degradi a imitazione, e questo lavoro sa di velleitari scimmiottamenti: un succedersi di enfasi, retorica e affettazione, teatralità a buon mercato, virtuosismi del solista fine a se stessi, da cui si salvano a stento il tema contemplativo del Moderato iniziale e la centrale Romanza. Insomma, gli si addicono vecchie sentenze: effetti senza causa, cominciamenti che non portano da nessuna parte, o se si preferisce: molto fumo e poco arrosto, ecco.

L’apertura del Moderato-maestoso ha la pretesa di imitare Chopin (1° concerto) con il solista lasciato inoperoso ad aspettare che l’orchestra esegua da sola l’intera esposizione tematica, prima di dare la parola il suono al pianoforte. Solo che Sgambati... non è Chopin, ahilui, e il risultato lascia alquanto a desiderare. Come detto, la Romanza è più digeribile, forse anche perchè assai breve! Anche il finale Allegro animato non riscatta le magagne precedenti, a dispetto degli ammiccamenti all’ungherese. Insomma, ci sono valide ragioni per spiegare perchè il Concerto sia finito nel dimenticatoio.

La croata Martina Filjak (una... gran gnocca che nasconde benissimo i suoi 38 anni - accipicchia, pare una ragazzina, ieri poi si è presentata come una caramella avvolta in carta dorata sberlucicante!) ha cercato di indorare la pillola proponendocelo con grande piglio e tecnica sopraffina. Anche per lei si tratta di un pezzo ancora da mandar bene a memoria (si è portata dietro tanto di spartito e assistente volta-pagine...) e chissà se mai deciderà di metterlo stabilmente in repertorio. Così si è rifatta con un applauditissimo bis bach-lisztiano (lei ha fatto solo il preludio).
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Il concerto si era però aperto con la prima italiana di un altro lavoro di Sgambati: un Cantabile per archi (con nove parti reali) che è in effetti una ricostruzione (fedele non si sa quanto) fatta da Roberto Fiore di una composizione andata perduta. Devo dire che (forse grazie al ricostruttore!) si tratta di 10 minuti di musica gradevole e... ispirata, che si può ascoltare qui, diretta proprio da Fiore in occasione della prima in Polonia.

Questa volontà de laVERDI di promuovere la riscoperta del dimenticato Sgambati, così come la recente riproposta di lavori di Malipiero, ha di sicuro molti meriti, compreso quello di evidenziare l’oggettiva distanza che separa le opere di questi compositori da quelle dei loro coevi, ecco.  
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Ha chiuso il concerto la Quarta di Brahms, nelle ultime stagioni già comparsa qui sotto le bacchette di Ceccato, Xian, Axelrod e dello stesso D’Espinosa. Che ne ha dato un’interpretazione severa, a partire dall’Allegro non troppo, dove lui ha calcato la mano sul non troppo, comunque senza mai perdere nerbo e tensione. Accattivanti le diverse, impercettibili, cesure che lui ha introdotto qua e là (ma non certo a caso, bensì in punti strategici della partitura) che dimostrano se non altro il coraggio di esprimere la propria sensibilità interpretativa. L’Orchestra ha risposto come sempre alla grande, e grande è stata l’accoglienza di un pubblico non particolarmente numeroso, che però si è fatto sentire con reiterate grida di bravi! in aggiunta ai calorosi applausi.

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