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19 maggio, 2016

La Fanciulla (ormai) definitiva di Chailly-Carsen (2)

 

Eccomi a riferire della quinta recita di questa Fanciulla dalla vita assai stentata e travagliata (proprio come quella della protagonista dell’originale di Puccini!) Dato che dalla fabbrica non arriverà più l’ultimo componente standard dello spettacolo (la Westbroek, che ha definitivamente buggerato tutti) è e sarà sempre Barbara Haveman a sostenere stoicamente il ruolo della Fanciulla, di cui lei ha dovuto studiare in fretta e furia le (due) parti che nessun soprano conosce, essendo assenti dalle edizioni dell’opera che circolano nei teatri e nelle sale di incisione.

La ripresa televisiva della terza recita aveva permesso di farci un’idea abbastanza precisa dell’allestimento di Carsen: la visione in teatro accentua ancor più (se possibile) le caratteristiche di eccessiva spettacolarizzazione di quest’opera che è forse la più verista uscita dalla penna di Puccini, e che qui invece scade spesso e volentieri nel musical, per quanto di buona fattura. Ma alla fine si sfiora davvero il Kitsch... Il fatto che – sul piano musicale – la Fanciulla abbia fatto scuola nel western venuto dopo di lei non giustifica il retrofitting di alcuni discutibili stilemi di quest’ultimo nell’opera. 
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Ciò che le riprese video e audio potevano per definizione soltanto surrogare è invece la prestazione musicale, che si può compiutamente valutare con l’ascolto dal vivo.

Chailly parlava (a proposito della strumentazione originale di Puccini) di una Fanciulla più tenera e sfumata (rispetto a quella appesantita da Toscanini per il MET ma poi universalmente adottata). Beh, confesso di faticare a cogliere queste sottili distinzioni: saranno pure 1000 gli interventi sulla partitura, ma credo che anche orecchi preparatissimi fatichino a cogliere una sfumatura legata ad un mancato raddoppio di corni in tre battute, ecco. Detto ciò, tanto di cappello all’interpretazione del prossimo Direttore musicale, che mi è parsa curatissima su ogni dettaglio, compresi i dovuti fracassi che – raddoppi o meno – sono parte irrinunciabile dell’opera. E l’Orchestra ha risposto al meglio, dalle possenti cavate dei contrabbassi agli ottoni squillanti, ai legni sempre morbidi e per finire alle percussioni, parte fondamentale in questa partitura che ancor oggi lascia di stucco per innovatività e genio.

Ottima la prestazione dei ragazzi del coro di Casoni, messi a dura prova anche dall’esigente regìa di Carsen. Toccante in particolare il finale lamentoso del mai più.  

Le voci forse non sono il massimo di ciò che si richiederebbe per Fanciulla, ma è già qualcosa che abbiano almeno superato il minimo, ecco. Su tutti metterei Roberto Aronica, che ha sfoggiato una bella voce corposa e squillante, forse mancando un filino nei passaggi che richiedono maggiore espressività: comunque una prestazione di buon livello.

La Haveman, che ascoltavo dal vivo per la prima volta, non mi ha certo entusiasmato: la voce è deficitaria nell’ottava bassa e un poco stimbrata in alto, anche se gli acuti spinti le riescono abbastanza efficaci. In complesso, per lei una chiara sufficienza, ma non molto di più.

Claudio Sgura proprio non mi ha convinto, sorry: tanto autoritario nella presenza scenica (e qui di sicuro da Carsen deve aver imparato parecchio) quanto deficitario in quella vocale, caratterizzata da sgradevole timbro e da schiamazzi sguaiati ogni volta che saliva sopra il DO. Credo che Jack Rance si meriti molto di meglio.

A Carlo Bosi va un plauso per la voce più penetrante udita in teatro. Tutti gli altri su standard accettabili.

Teatro con svariati vuoti e poco entusiasmo: quattro clap dopo i primi due atti e moderati applausi alla fine.
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(2. fine)

Ieri pomeriggio il Piermarini era aperto anche per la presentazione ufficiale della stagione 16-17 (del resto già ampiamente anticipata nelle scorse settimane). Alex Pereira ha tenuto banco (senza banco, ma con leggio da... Kapellmeister) con la sua consueta verve (un misto di affabilità e di spocchia) magnificando le sue scelte come nemmeno il più immaginifico venditore di piatti e pentole saprebbe fare: si vede che lui è proprio un uomo di teatro marketing!

Dopo La Fanciulla come nemmeno Puccini ascoltò mai avremo La Butterfly come Puccini ascoltò solo una volta, alla disastrosa prima alla Scala, per poi rimaneggiarla da cima a fondo. Filologia o masochismo? Lo giudicheremo il prossimo 127. Quasi stesso discorso per il DonCarlo in 5 atti in italiano, versione che Verdi si limitò a tollerare: anche qui la filologia a buon mercato non manca, con la riapertura del cambio d’abito (Elisabetta-Eboli) e del Lacrymosa.

Personalmente sbavo per i Meistersinger, che finalmente tornano qui con Gatti, e aspetto con interesse il Freischütz, Hänsel, Gazza e Tamerlano. Tramontata (definitivamente?) la primizia di Kurtág, vedremo in cambio cosa ci propinerà la coppia Sciarrino-Flimm.  

Chiusa l’auto-incensante presentazione, Pereira ha lasciato spazio a domande. E subito una signora ha vivacemente contestato il famigerato 20% di prelazione per il rinnovo degli abbonamenti, ricevendo una risposta gattopardesca a dir poco (del tipo: io detesto quel 20%, e lo abolirò... a babbo morto). Al proposito mi sono sempre stupito della scarsa propensione al business che anima i tesorieri del Teatro: che senso ha aprire il 18 maggio il rinnovo degli abbonamenti, quando la prelazione garantisce all’abbonato il suo posto fino al 16 settembre? Chi è quel masochista che corre subito a rinnovare, sganciando somme importanti, quando sa che può aspettare altri 4 mesi senza perdere il suo posto? Anche un neofita in economia e finanza sa che uno scaglionamento nel tempo della percentuale dovuta come diritto di prelazione (es: 5 entro maggio, 10 entro giugno, 15 entro luglio e 20 entro la scadenza finale) incentiverebbe molti ad anticipare il rinnovo, facendo affluire in cassa un po’ meno quattrini sì, ma fin da maggio, invece che più quattrini ma concentrati a settembre... Oh già, che ingenuo, dimenticavo che siamo alla Scala!

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