XIV

da prevosto a leone
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21 agosto, 2017

ROF-XXXVIII live. La pietra del paragone


Ritorno sotto le enormi valve dell’Adriatic Arena (parecchie anche ieri le poltroncine vuote, peraltro) per l’ultima recita de La pietra del paragone, la settima opera che portò al ventenne Rossini il successo e la notorietà sulla piazza milanese. In quel 1812 la Scala aveva in cartellone due opere che avevano avuto un discreto, se non grande, successo: il Ser Marcantonio del Pavesi e Le bestie in uomini del Mosca, che non erano proprio da buttar via, almeno a giudicare da qualche frammento recuperabile anche in rete (la Sinfonia del Pavesi e una scena-e-aria con corno obbligato del Mosca) che sembrano anzi dei modelli di riferimento per il Gioachino. Eppure la Pietra eclissò totalmente le due concorrenti: e il pubblico milanese in quell’autunno non volle più ascoltare altro che Rossini!

Su un libretto di Luigi Romanelli, assai raffinato nella forma quanto inverosimile nel contenuto (basti pensare ai due speculari travestimenti di Asdrubale e Clarice) Rossini compose quasi tre ore di musica che scorre via senza cadute di tensione o rilassamenti, una vera e propria abbuffata di numeri: cavatine, arie, duetti, terzetti, quartetti, quintetti, cori, un temporale e ovviamente i due concertati finali. Non mancano anche qui gli auto-imprestiti (in e out): dall’Equivoco stravagante (sua terza opera, che aveva fatto fiasco a Bologna) arrivano – rielaborati dal compositore - tre numeri della Pietra (coro di cacciatori, quintetto e aria di Clarice-Lucindo); la Sinfonia venne invece presa di peso e trasportata al Tancredi veneziano, il terzetto del duello andrà nella Gazzetta, il Temporale nell’Occasione e successivamente nel Barbiere. A testimonianza della disinvoltura (ma anche dell’acume e dell’intelligenza) che Rossini impiegava nel disporre della sua propria musica.

Compagnia di canto giovane, con parecchi ex-accademici che hanno mostrato le loro promettenti qualità, già emerse alla prima e all’ascolto radiofonico. Ma i mattatori della serata sono stati i due buffi: Paolo Bordogna che ha confermato (come Pacubio) la sua gran classe e ha strappato applausi, non solo con la bizzarra e parodistica Missipipì; con lui un ottimo Macrobio di Davide Luciano, autore di una prova maiuscola, per spiegamento dei suoi potenti mezzi naturali, oltre che per caratterizzazione del personaggio.

Maxim Mironov e Aya Wakizono (tenore e contralto, coppia di potenziali amanti certo meglio assortita – musicalmente – di quella Asdrubale-Clarice che invece godrà del lieto-fine) mi son parsi degni di apprezzamento: lui, ormai alla terza presenza al ROF (dopo 2006 e 2015) non è più da scoprire ed anzi pare fare progressi col passar degli anni, così ha sciorinato una splendida aria nel second’atto. Lei è alla prima presenza nel cartellone principale (fece da accademica il Viaggio nel 2014, prima di passare ad un’altra accademia, quella scaligera) e ha mostrato voce ben impostata e accenti adeguati al ruolo. Ad entrambi si può peraltro imputare la mancanza di qualche decibel, che ha un filino penalizzato le loro prestazioni.
   
A Gianluca Margheri era affidato il ruolo (Asdrubale) di grande impegno e difficoltà: che il nostro ha cercato di superare non senza qualche affanno, in specie nei virtuosismi cui Rossini chiama il protagonista, tuttavia mi sentirei di dargli un voto nettamente positivo.

Detto che William Corrò è stato un onesto Fabrizio, restano le due pettegole arriviste della compagnia: come già alla prima radiofonica, Marina Monzó e Aurora Faggioli non mi hanno particolarmente impressionato: comunque un filino meglio la prima, discreta nella sua arietta e meno... vetrosa e urlacchiante della seconda.

Il Coro (maschile, ieri) del Ventidio Basso di Giovanni Farina, impegnato in misura corposa, ha ancora sfoggiato affiatamento, precisione di attacchi e belle sonorità.

Per l’OSN-RAI non si possono ripetere che elogi ed apprezzamenti: con una partitura che non a caso viene definita tedesca (per la strumentazione lussureggiante, scritta per un’orchestra – quella della Scala del 1812 - agguerrita come le compagini del Nordeuropa) i nostri radiofonici vanno evidentemente a nozze. Daniele Rustioni li ha guidati con perizia e rigore: Orchestra e Direttore torneranno martedi a chiudere (in bellezza, c’è da esserne certi) questo ROF-38 con lo Stabat Mater.
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Pier Luigi Pizzi ha ripreso, con parecchi aggiornamenti, il suo simpatico allestimento che tre lustri non hanno per nulla invecchiato, anzi! La storiella improbabile di Romanelli si può perfettamente ambientare in spazio e tempo qualsivoglia, rappresentando a suo modo un archetipo di certa società benpensante e di ceti parassitari presenti sotto ogni latitudine e in ogni epoca.

Quello di quest’anno si ricorderà come il ROF-delle-passerelle: dopo Padrissa e Martone, anche Pizzi ne ha fatto uso (peraltro in modica quantità) come appendice alla sua scenografia riproducente un villino con piscina, ispirato al regista proprio da una sua casa al mare. Regista che si è presentato baldanzosamente sul palco a raccogliere applausi e ovazioni, meritati per lo spettacolo e insieme per la sua interminabile carriera.

Alla fine trionfo per tutti, con passerella generale accompagnata da Richard Barker al fortepiano.

11 agosto, 2017

ROF-XXXVIII. Le prime alla radio


La nuova produzione de Le Siège de Corinthe ha aperto a Pesaro il Festival rossiniano n°38. Per gli ascoltatori via etere hanno fatto gli onori di casa Guido Barbieri (da studio) e Oreste Bossini (in loco). Qualche discorso di circostanza (le doverose commemorazioni di Zedda e Gossett) poi la ormai ripetitiva auto-celebrazione di patron Mariotti-sr (il ROF come fucina di talenti canori e di innovative invenzioni registiche) e qualche sensata considerazione di Roberto Abbado sulla musica del Siège. Anche Carlus Padrissa ha avuto modo di spiegare ciò che nessuno aveva capito (!) della sua regìa, che dalle sue parole sembrerebbe piuttosto estranea allo spirito e all’estetica rossiniani... ma sarà meglio giudicare con l’approccio di SanTommaso.

Quanto alla musica, detto che si è impiegata l’edizione (critica?) di Damien Colas (che ha rispolverato da manoscritti conservati a Parigi un’estensione dell’aria di Pamira dell’atto II, un giro-extra di danze prima dell’Hymne, e ha fatto cantare nella chiusa dell’opera le donne greche) direi che Radio3 ci ha portato gradevoli sensazioni: l’OSN-RAI non si scopre oggi, mentre una buona impressione ha fatto l’esordiente coro del Ventidio Basso di Giovanni Farina, che gioca un ruolo per nulla secondario in questo grande affresco a sfondo storico-patriottico.

Luca Pisaroni si è calato in modo convincente nei panni di quel Mahomet che storicamente era un autentico flagello, mentre Rossini lo ammanta di un’aura di nobiltà, mettendone in risalto i caratteri di uomo amante delle arti e di sincero innamorato: qualità che la voce chiara e baritonale di Pisaroni ha efficacemente interpretato. Nino Machaidze (mi) ha ben impressionato, avendo fatto emergere le due facce della personalità della protagonista: donna attirata dall’amore addirittura verso il nemico mortale della sua gente, ma poi eroina e patriota esemplare, fino all’estremo sacrificio. I due tenori del campo greco (il comandante John Irvin e l’eroico Sergey Romanovsky) hanno sfoggiato belle voci (forse troppo... simili, il primo dovrebbe essere più baritenore) e tecnica apprezzabile nei (pur non esagerati) virtuosismi cui Rossini chiama i due personaggi (Romanovsky ha anche sfoggiato un sicuro RE sovracuto). Efficace anche Carlo Cigni (come Hiéros) nel suo accorato ed autorevole appello del terz’atto. Oneste le prestazioni dei tre comprimari, tutti usciti dall’Accademia rossiniana: Cecilia Molinari (apprezzabile la sua ballade dell’atto II) Xabier Anduaga, e Iurii Samoilov.

Tutto sommato, un inizio abbastanza promettente.   
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Promesse direi proprio mantenute con La pietra del paragone, questa commedia brillante dal soggetto assurdo e strampalato, che il grande Gioachino ventenne ha saputo ricoprire con musica strepitosa, ancora una volta nobilitata dall’esecuzione impeccabile dell’OSN-RAI guidata da un sempre più convincente Daniele Rustioni.

Ma anche il cast, quasi interamente di provenienza dall’Accademia rossiniana, ha ben figurato, con punte di spicco in Maxim Mironov e Aya Wakizono. Accanto a loro un efficace Gianluca Margheri e il navigato Paolo Bordogna. Un filino sotto metterei le due babbione (!) Aurora Faggioli e Marina Monzó. Completano dignitosamente la squadra Davide Luciano e William Corrò, mentre il Coro del Ventidio Basso ha confermato il suo valore.

Stando ai suoni arrivati via etere, si direbbe di un caloroso successo di pubblico.
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E Torvaldo&Dorliska ha degnamente chiuso il primo turno delle recite rossiniane. Ascoltandola ci si stupisce sempre di come sia tuttora sottovalutata e negletta: poichè trattasi invece del miglior Rossini, con arie, duetti e concertati di prim’ordine, che impegnano al massimo livello il cast delle voci.

E quella messa in campo dal ROF è davvero una squadra di tutto rispetto, composta da veterani del Festival e da giovani e giovanissimi prodotti dell’Accademia. Fra i primi spiccano Carlo Lepore e Nicola Alaimo, veri trascinatori della squadra; in cui hanno ben meritato Dmitri Korchak, anche lui ormai di casa a Pesaro, e Salome Jicia, uscita dall’Accademia non più di due anni orsono e già al secondo ROF da protagonista, dopo il battesimo con Elena nel 2016. Bene anche Raffaella Lupinacci, tornata a tre anni di distanza dalla Publia dell’Aureliano, e Filippo Fontana, che ha completato il cast.

L’Orchestra Sinfonica G.Rossini - Provincia di Pesaro-Urbino ha supportato egregiamente cantanti e Coro della Fortuna di Mirca Rosciani; tutti ben concertati da Francesco Lanzillotta, esordiente al ROF, ma anche lui ormai entrato nel gruppo dei giovani Direttori italiani di talento.
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Ernesto Palacio, Direttore artistico del Festival, ha annunciato ai microfoni di Radio3 il palinsesto principale del ROF-39: Ricciardo&Zoraide, Adina, Viaggio e Barbiere, quattro nuove produzioni per festeggiare adeguatamente il 150° anniversario della scomparsa di Rossini.