XIV

da prevosto a leone
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22 luglio, 2022

Muti chiude il Ravenna-Festival con la sua Cherubini

L’ultimo appuntamento del Ravenna-Festival 2022 (poi ci sarà la stagione operistica autunnale) è stato riservato al consorte della padrona di casa (aka Riccardo Muti) reduce dall’ormai tradizionale puntata delle Vie dell’Amicizia che quest’anno lo ha portato a Lourdes e a Loreto con la sua Cherubini e – doveroso rispetto all’attualità e al gemellaggio Ravenna-Kiev del 2018 – a componenti di Orchestra e coro dell’Opera Nazionale Ukraina, con un programma significativamente imperniato su Vivaldi-Mozart-Verdi ma con inserti ukraini e baschi nelle due tappe.

Ieri Muti si è invece esibito – al PalaDeAndré con la sola Cherubini (cui si sono aggiunti due strumentisti dell’Opera di Kiev, il primo oboe Dmytro Gudyma e la violinista Oleksandra Zinchenko) - in un concerto di insolita ma interessante impaginazione. Ha infatti aperto la serata la Sinfonia in DO maggiore di George Bizet, battezzata Roma perché colà composta in occasione della permanenza nella città eterna del vincitore del Prix-de-Rome del 1857. Rispetto a quella più sbarazzina del 1855, rivelata al pubblico a Bizet ormai scomparso da tempo, questa è un’opera più pretenziosa e cerebrale, che anticipa nella forma e nel contenuto il più famoso e posteriore Aus Italien di Strauss (brano prediletto dal giovane Muti in odore di… Scala): vi si evocano Roma (una caccia nella foresta di Ostia), Venezia, Firenze (una processione) e (proprio come Strauss) Napoli (carnevale).

Chissà se è l’ignoranza del pezzo ad aver portato il pubblico ad applaudirne regolarmente anche i tre primi movimenti. Va in ogni caso riconosciuto a Muti e ai suoi ragazzi di aver fato di tutto per… indorare la pillola, ecco!
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Dopo l’intervallo ecco un siparietto dedicato ad una premiazione: il Festival ha voluto così offrire un pubblico riconoscimento a Silvia Lelli che da 40 anni (con il compagno Roberto Masotti) fotografa artisti ed in particolare musicisti. Fra questi anche Muti, da lei seguito fin dai primi passi ed in particolare nei suoi anni di presenza alla Scala. Così il Maeschtre non ha perso l’occasione per suggerire al teatro che lo cacciò in malo modo di impiegare il materiale fotografico della Lelli per farci una mostra permanente…  
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Un brano che di solito apre la serata concertistica è stato invece qui eseguito per aprire la seconda parte del concerto: si tratta del brevissimo schizzo sinfonico (meno di 8 minuti, 82 battute in tutto) di Anatoli Ljadov, titolato Il lago incantato (ma anche Leggenda). Arabeschi dell’arpa e della celesta accompagnano le ondeggianti semicrome dei violini mutuate dal wagneriano Waldweben in un’atmosfera che non presenta nemmeno una piccola increspatura, terminando proprio come era iniziata e lasciando francamente perplesso l’ascoltatore che si aspettasse almeno un sussulto, non dico un temporale.

Anche qui facciamo i complimenti all’Orchestra per la raffinatezza e la trasparenza del suono, ingredienti indispensabili per non far scadere il pezzo nella banalità.
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Ha chiuso il concerto il celebre poema sinfonico di Liszt Les Preludes. Del quale ripropongo una succinta analisi pubblicata anni fa in occasione di un concerto de laVerdi.

Muti si è mantenuto fedele al suo approccio originale all’opera, approccio assai sostenuto e severo, come possiamo constatare in questa registrazione del 15 agosto 2012 a Salzburg con i Wiener. Ieri se possibile Muti mi ha dato l’impressione di calcare ancor più la mano in fatto di prosopopea e retorica.

Tanto per confrontare il suo approccio con uno assai diverso (che si materializza in quasi 2 minuti di durata in meno, su più di 17…) ecco come ci propose il brano Zubin Mehta con i Berliner, nel lontano 1995. Un’analisi più puntuale delle differenze mostra che esse non si distribuiscono uniformemente su tutta la durata del brano, il che porta a concludere che l’approccio di Mehta sia – nell’agogica quanto meno – assai più ricco di contrasti rispetto a quello di Muti.

Ma l’importante è che la Cherubini abbia confermato le sue ottime qualità (su quelle del Direttore-Fondatore non si discute…) che il folto pubblico non ha mancato di apprezzare distribuendo applausi e bravo! a tutti.

Altro intervento maieutico di Muti, che ha ricordato con colorite espressioni l’insipienza con la quale i nazisti impiegarono il tema principale dell’opera per farsi propaganda bellica… dopodichè ci ha lasciato con l’Intermezzo della Fedora, non senza una punta di bonaria polemica con i romagnoli, sedicenti esperti verdiani che però ignorano questa non disprezzabile musica di uno che veniva da… Foggia.
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Oggi sulle spiagge romagnole la vita riprende con il solito, sonnolento tran-tran: nessun sintomo (ancora) dell’apocalisse che si prevede scatenarsi sull’ingrato Paese reo di aver cacciato il suo magnifico quanto disinteressato benefattore…

12 marzo, 2022

laVerdi 21-22. Concerto 20

Questa settimana laVerdi propone un appuntamento particolare, sia pure nel solco di una tradizione consolidata: un’opera di teatro musicaleLa voix humaine di Francis PoulencSul podio il versatile Giuseppe Grazioli.  

La parte introduttiva del concerto è però affidata alle due Suite dell’Arlésienne di Bizet. Curiosamente i soggetti dei due lavori in programma (di Alphonse Daudet e di Jean Cocteau, rispettivamente) hanno in comune un drammatico epilogo: un suicidio! Entrambi provocati da disillusioni amorose: nella pièce di Daudet il protagonista del gesto è un giovane, che si getta dal tetto della casa; in quella di Cocteau è una signora a strangolarsi con il filo del telefono...

L’Arlésienne. I due estratti dalle musiche di scena per L’Arlésienne furono approntati dall’Autore (prima Suite) e dal solito Ernest Guiraud (seconda Suite) lo stesso che predispose anche i recitativi della Carmen, alla morte prematura dell’Autore.

Oltre alle Suite, esiste anche una ricostruzione-orchestrazione dell’intero corpus delle musiche per il dramma di Daudet, predisposta da Dominique Riffaud, che si può ascoltare in rete ed ha la struttura mostrata in Appendice insieme a quella delle due Suite (evidenziate in rosso e blu). Entrambe le Suite si articolano in 4 numeri, che non rispettano necessariamente la sequenza degli avvenimenti narrati da Daudet: la loro durata complessiva supera di non molto i 30’, circa la metà della durata dell’insieme delle musiche di scena.

Va notato che il terzo numero della seconda Suite (quella di Guiraud) non proviene dall’Arlésienne, bensì dall’opera La jolie fille de Perth. Si noti infine come in entrambe le Suite il triste finale della storia venga accuratamente ignorato, per far posto ai brani più accattivanti e di grande effetto.

E Giuseppe Grazioli ne ha cavato un’interpretazione a dir poco entusiasmante, valorizzando al massimo livello tutti i tesori nascosti nelle due partiture, che davvero meritano di essere eseguite insieme, e non a spizzichi e bocconi come capita spesso di sentire.

Direttore e suonatori hanno quindi ricevuto dal pubblico (sempre pochi-ma-buoni, con i tempi che corrono...) un meritatissimo riconoscimento di applausi e ovazioni.
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Ecco quindi il piatto forte della serata: La voix humaine di Francis Poulenc, interpretata dalla trentenne Alexandra Marcellier e con l’allestimento semi-scenico di Louise Brun.

Il monodramma di Cocteau è tutto recitato dalla protagonista al telefono (i cui trilli sono emessi dallo xilofono): la donna parla (a parte interferenze di centralinista ed estranei, fra il ridicolo e il grottesco, spiegabili con lo scenario ancora pionieristico di quel tipo di comunicazione) ad un uomo evidentemente a lei legato da passati vincoli d’amore, amore presumibilmente sfumato. Ecco la registrazione del 1959, anno della prima, protagonista Denise Duval (con Georges Prêtre).

Poulenc ha vergato a fronte della partitura alcune note di interpretazione, indirizzate al soprano e al direttore:

1. L’interprete deve essere giovane ed elegante;
2. Lei deciderà (con il direttore) come gestire le innumerevoli corone puntate che costellano la partitura;
3. I passaggi di canto senza accompagnamento devono avere un tempo assai libero, muoversi repentinamente dall’angoscia alla calma e viceversa;
4. L’intera opera dovrà caratterizzarsi per la massima sensualità orchestrale.

Beh, mi sento di dire che tutte le prescrizioni dell’Autore siano state ampiamente rispettate, a cominciare dalla prima! La bella Alexandra da Perpignan, ora accovacciata dietro una semplicissima struttura (una specie di lungo schedario a fisarmonica) e accanto ad uno scatolone pieno di lettere e fogli di spartito musicale, ora in piedi, sempre con in mano la cornetta (e il filo!) è stata protagonista di una prestazione davvero coinvolgente. E Grazioli ha fatto di tutto per realizzare quella sensualità orchestrale evocata da Poulenc.

Successo strepitoso per la Marcellier, per Grazioli, Orchestra e per la Brun.         
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Appendice: l’Arlésienne e le due Suite.

Acte I 

1. Ouverture (Suite I-1 Prélude)
2. Mélodrame
3. Mélodrame
4. Mélodrame
5. Chœur et Mélodrame
6. Mélodrame et Chœur Final

Acte II 

Premier Tableau
7. Pastorale (Entr'acte et Chœur) (Suite II-1 Pastorale)
8. Mélodrame
9. Mélodrame
10. Mélodrame
11. Chœur - Mélodrame
12. Mélodrame
13. Mélodrame
14. Mélodrame

Deuxième Tableau
15. Entr'acte (Suite II-2 Intermezzo)
16. Final

17. Intermezzo (Suite I-2 Minuetto)

Acte III 

Premiere Tableau
18. Entr’acte, Carillon (Suite I-4 Carillon)
19. Mélodrame (2a parte: Suite I-3 Adagietto)
19. Mélodrame
20. Mélodrame
21. Farandole (Suite II-4 Farandole-b)

Deuxième Tableau
22. Entr'acte
23. Chœur (Suite II-4 Farandole-a)
24. Chœur (Suite II-4 Farandole-c)
25. Mélodrame
26. Mélodrame
27. Final. 

(Suite II-3 Menuetto dall’opera La jolie fille de Perth, N°17 duetto Mab - Duca di Rothsay)

28 gennaio, 2022

laVerdi 21-22. Concerto 14

Il settimanale appuntamento con laVerdi - Claus Peter Flor ancora sul podio - ci riserva una Carmen tutta speciale.     

Prima di un Bizet arrangiato è però la 50enne tulipana Quirine Viersen (tornata in Auditorium dopo quasi tre anni) a proporci il Primo Concerto per violoncello di Haydn. (Qui la sua incisione discografica.)

Brano (apparentemente?) facile che la simpatica Quirine ci porge con un rigore che confina con la freddezza. Ma, a parte che Haydn non è... Schubert, questa è evidentemente una sua dote innata, confermata anche dal seriosissimo bis che ci regala: il Bach della Sarabanda dalla prima Suite in SOL maggiore BWV1009. 
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Il compositore russo Rodion Shchedrin è l’autore di una particolarissima Suite della Carmen. In origine (fine anni ’60) era musica destinata ad accompagnare un balletto sulla sigaraia rubacuori, di cui era coreografo il cubano Alberto Alonso e protagonista sulle scarpine la moglie del compositore, la star Maya Plisetskaya.

La particolarità del brano sta nell’impiegare esclusivamente archi in misura... smisurata (ma chi mai ne ha 70? Flor ne dispone di metà) e una batteria sterminata di percussioni (percosse da 4 strumentisti) oltre a 5 caldaie di timpani:

Shchedrin fece un (sapiente?) taglia-e-cuci sulla partitura di Bizet, ricavandone tredici numeri di balletto. Del quale si può apprezzare qui un’edizione cubana (con replay...) I protagonisti sono, ovviamente, i vertici del triangolo: Carmen, DonJosè ed Escamillo. Al fianco dei quali compaiono Zuniga (capo del Don) e un personaggio nero: il destino.

La sequenza degli eventi diverge poco o tanto da quella dell’opera originale e di conseguenza anche la musica salta avanti e indietro (e persino fuori!) rispetto alla partitura di Bizet (si veda più sotto uno schematico sunto della struttura del brano con riferimenti all'esecuzione citata): due numeri (8-Bolero e 10-Torero-e-Carmen) vengono rispettivamente da L’Arlesienne (Farandole) e da La jolie fille de Perth (Danse bohemienne). A parziale giustificazione per questa escursione extra-moenia di Shchedrin va ricordato che quei due numeri furono pubblicati nella partitura edita da Choudens nel 1877 (due anni dopo la prima, a Bizet ormai nella tomba) come parte di un balletto (!) in tre parti da inserire all’inizio dell’Atto IV: al numero 25 (Coro À deux cuartos) erano stati appesi tre numeri presi da altre opere di Bizet e arrangiati da Ernest Guiraud: 25B (Farandole); 25C (Coro di Vaccarès, a bocca chiusa, sempre da L’Arlesienne); e 25D (Danse bohemienne).

Che dire: musica di sicuro effetto, ci mancherebbe. Ma personalmente mi sento di affermare che, eseguita senza la coreografia, perde un po’ del suo fascino. Per carità, non voglio sostenere che avessero ragione i censori sovietici che ne decretarono l’ostracismo con l’accusa di lesa-maestà nei confronti di Carmen e di Bizet... ma insomma è musica che si finisce sì per gustare (data l’indubbia maestrìa con la quale Shchedrin l’ha confezionata) ma a livello epidermico o poco più.

Naturalmente vanno elogiati i ragazzi de laVerdi per aver ancora una volta mostrato tutte le loro qualità, e il pubblico (davvero scarsino, ahinoi) non ha mancato di salutarli con applausi e ovazioni.
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Balletto Carmen

(*) L’Arlesienne
(**) La jolie fille de Perth

10 dicembre, 2021

laVerdi 21-22. Concerto 9

Fra la prima (TV) e la prima (in abbonamento) del Macbeth scaligero ecco infilarmisi il nono concerto stagionale de laVerdi, reduce da un ponte di due settimane.

É il redivivo Wayne Marshall (con qualche... libbra in più) ad occupare interamente la scena, nella duplice veste di direttore e solista all’organo. Programma classicamente articolato in: 1. Pezzo breve di introduzione; 2. Concerto solistico e 3. Sinfonia. Tutto in lingua (musicale) gallica.

Il primo brano in programma è Cortège et Litanie di Marcel Duprè. Ne esistono tre versioni:

1. Per pianoforte solo (1921, secondo dei Quatre pièces, con Étude, Chanson e Ballet);

2. Per organo solo (1923);

3. Per organo e orchestra (1925).

Qui un’esecuzione all’organo solo dello stesso autore. Sulla sua scia, Marshall ci propina la seconda delle tre versioni.

Le 142 battute sono strutturate su tre sezioni, sempre in 2/4, Très modéré:

a) Cortège, in MI maggiore, 36 battute;

b) Litanie, nella relativa DO# minore, 66 battute;

c) Cortège+Litanie, MI maggiore, 40 battute.

Quindi un brano con i due gruppi tematici (solenne il primo, Cortège; mosso e ostinato il secondo, Litanie) presentati dapprima separatamente e poi sovrapposti: una specie di forma-sonata tronca (esposizione e sviluppo).

Brano assolutamente diatonico ed orecchiabile, di carattere religioso e quindi assai appropriato per questo periodo di... Avvento (e di pandemia). Che il pubblico non oceanico (chissà, il programma inconsueto o i primi freddi e nebbioline di stagione calati su Milano?) accoglie comunque con calore. 
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Ecco poi Marshall tornare alla tastiera per il Concerto per organo, orchestra d'archi e timpani in Sol minore di Francis Poulenc. Lo aveva già eseguito e diretto qui nel 2013 e rimando quindi al mio post di allora per alcune note sulla composizione.
Come allora Marshall porta come personale valore aggiunto una lunga cadenza solistica all’attacco del Largo conclusivo e poi, per ricambiare gli applausi del pubblico, ci suona una sua impertinente BWV 565 con... appendice!
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La chiusura è riservata a Georges Bizet e alla sua deliziosa Sinfonia n. 1 in Do maggiore, udita qui ultimamente (2017) dalla bacchetta di Fournillier.

Propongo una storica esecuzione di un giovane (e un po’ anche... gigione) Georges Prêtre con la gloriosa Scarlatti di Napoli della RAI, introdotta da un altrettanto glorioso Roman Vlad, ai tempi in cui la musica classica occupava un posto di primo piano nei programmi radio-televisivi.

Marshall, che prima dell’intervallo aveva suonato indossando un camiciotto nero, si ripresenta vestendo un’improbabile giacca-smoking in vigogna color... mosto. Ma senza bacchetta. Ci regala comunque un Bizet pieno di verve e di freschezza schubertiana. Sugli scudi l’intera Orchestra, in cui ha spiccato l’oboe di Emiliano Greci, protagonista del mirabile Adagio, un’oasi contemplativa all’interno di questa festa della primavera e della joie de vivre.

08 luglio, 2021

laVerdi tutta spagnola

Dopo la maratona pedatoria di martedi, riecco la Spagna per il primo dei due appuntamenti de laVerdi agli Arcimboldi (l’Auditorium è in... riabilitazione) che vede un programma tutto iberico con il ritorno del 45enne direttore Manuel Coves, già ospite dell’Orchestra per un’altra spagnolata nel marzo 2019. Componente innovativa del concerto è lo spettacolo, costituito dalla presenza del grande Jesús Carmona, che illustra la musica della Carmen con la sua personalissima arte danzatoria.    

Si parte con la Sinfonía Sevillana di Joaquín Turina Pérez, composta nel 1920, quando il 38enne compositore, nativo di Siviglia, rientrato da anni in Spagna dopo una lunga permanenza a Parigi, era tornato a vivere a Madrid. É un brano in realtà vicino, come ispirazione, al poema sinfonico (un po’ un Respighi iberico, ecco) e per almeno due motivi: innanzitutto per l’esplicito riferimento alla città natale (ma in realtà anche alla capitale che lo ospitava); e poi perchè Turina vi introduce un elemento di natura per così dire letteraria: l’evocazione di una storia d’amore fra un sivigliano e una madrilena (ecco i riferimenti alle due città care al compositore) che nasce e si sviluppa a Siviglia e dintorni, fra gite in battello e feste popolari in sobborghi del capoluogo andaluso.

Naturalmente sono le forme e i ritmi musicali iberici (castigliani e andalusi in-primis) a farla da padrone nei tre movimenti in cui è suddivisa l’opera. Di cui possiamo apprezzare i contenuti seguendone (sulla traccia lasciata dall’Autore medesimo) l’esecuzione dell’Orchestra della Radiotelevisione spagnola con Enrique García Asensio sul podio.

N°1. Panorama. É un movimento in forma-sonata: Introduzione, Esposizione, Sviluppo,  Ricapitolazione e Coda.

24”. L’Introduzione si apre con 12 battute in Andante, 3/4, LA minore, dove l’Orchestra crea un’ambientazione languida (rotta dall’oboe a 45”). A 1’16” ecco apparire (4 battute in Allegretto, 2/4) la prima forma assai semplificata del motivo della madrilena, un caratteristico chotis. A 1’25” altre 4 battute di Andante in 3/4 chiudono l’Introduzione.

1’42”. L’Esposizione presenta, in Allegro molto moderato, 2/4, RE minore/maggiore, il primo tema andaluso, esposto dai flauti e poi sviluppato dall’orchestra. Ecco poi (2’10”, Più vivo, 6/8, RE maggiore) gli archi esporre il secondo tema (ritmo di Tanguillo) poi ampiamente sviluppato dall’orchestra (si noti a 2’20” l’intervento del clarinetto e a 2’48” quello dell’oboe solo) e chiuso da una battuta di pausa.

3’01”. Attacca con un accordo generale il corposo Sviluppo (Allegretto tranquillo, 2/4) dove i temi vengono rielaborati liberamente e con continui cambi di atmosfera: dopo un intervento dell’oboe (3’30”, RE minore) che sviluppa il primo tema, ecco a 4’02” un Allegro (RE maggiore, secondo tema); poi (4’15”) un nuovo motivo il SOL maggiore e quindi in FA maggiore; ancora a 4’42” Più vivo, 6/8 il secondo tema in DO maggiore; a 4’59” Allegretto quasi andantino, 6/8, FA minore; a 5’34” Lentamente, con l’intervento dei corni; e infine a 5’52” Allegretto è il violino solista a portare - con il motivo chotis - alla chiusura dello Sviluppo sul RE tenuto, che sfuma in un RE#.

6’05”. Siamo arrivati quindi alla Ricapitolazione dei temi. Ecco il primo (Allegro) in RE minore e poi (6’32”, Più vivo, 6/8) il secondo, in maggiore. A 6’49” il flauto introduce una modulazione del secondo tema a LA maggiore. Ancora, a 7’05” gli archi modulano fugacemente a DO maggiore, poi tornano a LA maggiore.

7’33”. Infine una Coda (Allegro) porta il movimento a spegnersi (7’57”, Andantino) per poi chiudere (8’05”) con un fortissimo accordo generale di LA maggiore.

N°2. Por el rio Guadalquivir. Il secondo movimento è in forma di Lied in 5 parti. Evoca un’escursione in battello dal centro di Siviglia verso sud, fino al sobborgo di Aznalfarache (che sarà teatro del terzo movimento). Vi matura l’idillio fra la madrilena e il sivigliano, in un’atmosfera di canti dei marinai e musiche che accompagnano balli di gente sulla riva del fiume.

8’28”. In tempo Andante, 6/8 il violino solista introduce l’atmosfera con due recitativi in FA minore inframmezzati dall’orchestra. Ora (9’27”) si passa a FA maggiore con l’esposizione da parte del corno inglese della prima sezione, una petenera sivigliana (è il protagonista maschile del poema). La nobile melodia viene poi accompagnata dal violino solista, vira momentaneamente a FA minore e poi è ripresa in FA maggiore (10’37”) dal corno inglese.

La seconda sezione inizia a 10’59” con l’affacciarsi (2/4) dell’impertinente anticipo del motivo femminile (la madrilena) che si materializza a 11’15” con un Allegretto in MI maggiore in oboi e violini, dove lo chotis si muta in falseta, assai più vivace. La sezione si ripete a 11’46”, con l’attacco sul REb e poi con il tema chotis (12’02”) in FA maggiore.

E sempre in FA maggiore (terza sezione, 12’29”) si riode nel corno inglese la petenera, ora con sottili variazioni e diversa orchestrazione, in cui spicca (13’10”) un nuovo intervento del violino solista.

Il quale chiude sul DO e a 13’32” (Vivo, 3/8) porta alla quarta sezione, dove si odono le note (DO maggiore) di seguidillas cantate e ballate sulla riva del fiume in una festa popolare. Un Andantino mosso in 6/8 (14’15”) simula il perdersi lontano dei suoni provenienti dalla riva e ci introduce alla quinta sezione del movimento.

Qui (14’35”) torna lo chotis madrileno (Andante) introdotto dai violoncelli divisi. L’idillio è ormai sbocciato completamente e a 15’03” il violino solo espone il motivo con dolce passione in FA maggiore e poi (15’24”, 2/4, dopo un fugace intervento dei flauti) lo chiude con un FA superacuto.     

N°3. Fiesta en San Juan de Aznalfarache. Il vaporetto da Siviglia, prima di proseguire verso il mare, il cui profumo già si sente nell’aria, ha fatto sosta in questo paesotto ai confini meridionali del capoluogo andaluso. E qui è ambientato l’ultimo movimento della Sinfonia, manco a dirlo in una gran festa dove si balla e si canta in continuazione: in qual miglior ambiente due novelli innamorati potrebbero augurarsi di arrivare per vivere il loro momento magico?

La struttura del brano è quella di una fantasia in tre parti. A 16’02” inizia la prima (Allegro vivo, 3/8, RE maggiore) al ritmo di sevillana, che prepara l’arrivo di un tanguillo (16’40”, Siempre vivo, 6/8) che poi (16’59”, 2/4) sviluppa un nuovo motivo, sempre in RE maggiore e ancora (17’19”, 6/8) in minore nell’oboe. Gli archi (Andante, 2/4) prendono un attimo di respiro, ma subito (18’02”, Vivo) torna il ritmo di sevillana, che prepara adesso una nuova comparsa dello chotis (18’34”, Andante) dapprima in SOL minore sfociante nella relativa SIb maggiore dove il tema si espande per essere poi chiuso dall’intervento finale del violino solista.

A 19’40” (Allegretto. Tempo di garrotín lento, FA minore) inizia la seconda parte: è un Garrotín-farruca introdotto da una fanfara e dove si distinguono tromba, fagotto e oboe, che introduce enfaticamente (21’00”, Andante) un nuovo idillio (chotis) in FA maggiore.

Eccoci alla terza parte (21’33”, Vivo, 6/8, RE maggiore): è il tanguillo che torna alla ribalta con interventi di trombe, oboe e clarinetto e poi (22’08”, 2/4) con il secondo motivo, che rallenta (22’18”, Meno vivo) per far posto (in SIb) a una delle varianti del primo tema comparsa nello sviluppo del primo movimento.

Infine, a 22’34”, Andante, ecco la Coda conclusiva, con i motivi dello chotis (grandioso) e della petenera a unirsi per una spettacolare conclusione in RE maggiore.
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É un brano poco conosciuto, ma che meriterebbe di essere eseguito più di frequente: credo che laVerdi fosse al primo incontro con quest’opera, e devo dire che l’ha subito digerita e assimilata alla perfezione, grazie a Manuel Coves che da nativo andaluso questa musica deve averla nel sangue. Sugli scudi i fiati (in particolare Paola Scotti al corno inglese) e il pacchetto dei celli, guidato da Mario Shirai Grigolato, oltre al violino di Dellingshausen.
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Ecco quindi Georges Bizet e le sue musiche dalla Carmen, un estratto delle due Suite sinfoniche approntate da Ernest Guiraud (il curatore della prima edizione dell’opera) dopo la prematura morte dell’Autore:

- Preludio Atto I (prima parte, in Allegro gioioso)

- Preludio Atto I (seconda parte, in Andante moderato)

- Entr’acte (3° - 4° atto, Aragonaise)

- La garde montante (1° atto)

- Habanera (1° atto)

- Entr’acte (2° - 3° atto)

- Marche des Contrabandiers (3° atto)

- Chanson du Toreador (2° atto)

- Les Dragons d’Alcala (Entr’acte 1° - 2° atto)

- Danse Bohème (2° atto)

Jesús Carmona entra sul proscenio con un ampio scialle che gli serve subito per interpretare la seconda parte del Preludio (tema del destino). Ai due lati alcuni grossi proiettori lo illuminano di taglio con luci di diversi colori (rosso, giallo, blu...) a seconda dell’atmosfera. Ovviamente indossa stivaletti zapatos, con i quali comincia a sottolineare i ritmi di flamenco.  

Strepitoso il suo assolo di zapateado (due minuti a orchestra muta, prima della conclusiva Danse bohème): un intero branco di cavalli scalpitanti non avrebbe potuto ottenere quell’effetto! E chiude quindi in bellezza con Les tringles des sistres tintaient, accolto da un uragano di applausi.

Così, come bis, ci viene riproposta l’Aragonaise.

Davvero una serata da incorniciare, che avrebbe meritato qualche spettatore in più nel catino dell’Arcimboldi. Ma questa sera si replica e gli assenti di ieri possono ancora rimediare.

07 ottobre, 2019

Pescatori a Torino


Una nuova produzione del Regio di Torino (che ultimamente ha rinnovato tutto il vertice, dal Sovrintendente al Maestro del Coro) Les Pêcheurs de perles, ha visto ieri pomeriggio andare in scena la seconda recita.

Allestimento interamente nelle mani della coppia Julien Lubek / Cécile Roussat che propongono programmaticamente una lettura (detto senza offesa) da teatro-dei-piccoli, proprio innocente e scevra da ogni possibile dietrologia che da sempre è nata attorno al soggetto. Allestimento al risparmio (almeno spero!): scena praticamente fissa e spoglia (basse scogliere marine) arricchita (si fa per dire) da qualche quinta di palma e da un tronetto di Brahma-tricefalo nel terzo atto. Colori che più sgargiante non si può, inclusi quelle delle luci, e costumi più o meno improbabili. I cori sono sempre ben piantati sul posto, così da garantire ai coristi il massimo confort per il canto; movimenti dei protagonisti sempre misurati e un po’ anche impacciati. Qualche modesta coreografia, a supporto dei passaggi strumentali e corali. Appropriata, perchè in funzione didascalica, la sporadica presenza di una controfigura di Leïla. Insomma, nessun velleitarismo, ma allo stesso tempo nulla che distragga lo spettatore dal godersi questa musica che va giù proprio come un rosolio.

Qui alcune note sull’opera, che ho proposto anni fa. La versione qui presentata è sedicentemente quella originale (1863) come pazientemente ricostruita negli ultimi anni, dopo che per un secolo e più, dalla fine dell’800, erano circolate in tutto il modo versioni spurie, nate addirittura in Italia e poi codificate in Francia (Benjamin Godard). In particolare, il finale non è quello davvero stravolto da tante produzioni creative. Però, tanto per mettere un granello nell’ingranaggio, ecco che il libretto, pubblicato nel programma di sala, presenta ancora per il duetto Zurga-Nadir del primo atto la versione spuria (che riprende Oui, c’est elle! C’est la déesse) al posto dell’originale (Amitiè sainte) che per nostra fortuna è però regolarmente cantato... E a proposito di canto, come già per la prima del 3, Zurga non è interpretato dal titolare Capitanucci, ancora indisposto, ma dal sostituto Pierre Doyen, che vien dal Belgio.
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Sul podio il 37enne americano Ryan McAdams, al quale potrei rimproverare qualche eccessiva dose di zucchero in alcuni passaggi strumentali, che già ne sono abbastanza ricchi di loro, ma in generale la sua concertazione mi è parsa più che efficace e la risposta dell’Orchestra del tutto soddisfacente. 

Benissimo anche il coro di Andrea Secchi, che nell’opera rappresenta il quinto protagonista, tale è la sua presenza in scena.

E fra i protagonisti chi mi è piaciuto di più è la... riserva: Pierre Doyen ha una voce corposa che, fosse anche un filino più morbida, ne farebbe un baritono con i fiocchi. In ogni caso la sua è stata una prestazione fra il discreto e il buono, con punta di diamante l’aria dell’accorata invocazione a Nadir, nel terz’atto.

Hasmik Torosyan è stata una Leïla più che dignitosa: una non eccelsa immedesimazione nel personaggio e qualche vetrosità sugli acuti in mezzo-forte, oltre ad una potenza di voce non straordinaria le impediscono di guadagnarsi, sul mio personalissimo cartellino (copyright Rino Tommasi) più di un 7, ecco. Apprezzabili i suoi delicati vocalizzi sulla barcarola del coro in chiusura del primo atto.

Il francesino Kévin Amiel è stato un Nadir così-così (a lui qualcuno ha indirizzato un paio di ululati...): la parte è difficile, se non proprio proibitiva, e certi ricordi che tornano all’orecchio (Kraus, per citarne uno...) fanno da termine di paragone piuttosto duro. Ma lui è giovane e non può che migliorarsi.

Buono anche lo standard di Ugo Guagliardo nei panni di Nourabad, parte sostenuta con sufficiente autorevolezza e buon portamento.  
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Ecco, una produzione senza grandissimi nomi e senza sfoggio (e dispendio!) di potenti mezzi, che ha però pienamente soddisfatto un pubblico assai folto, che ha tributato lunghi e convinti applausi a tutti: quale differenza rispetto ai modesti applausi di cortesia che un Piermarini semideserto ha riservato sabato sera alla prima di Quartett. L’impietoso confronto la dice più lunga di tanti paludati studi di sociologia della musica!