Una nuova produzione del Regio di Torino (che ultimamente ha
rinnovato tutto il vertice, dal Sovrintendente al Maestro del Coro) Les
Pêcheurs de perles, ha visto ieri pomeriggio andare in scena
la seconda recita.
Allestimento
interamente nelle mani della coppia Julien
Lubek / Cécile Roussat che propongono programmaticamente una lettura
(detto senza offesa) da teatro-dei-piccoli,
proprio innocente e scevra da ogni possibile dietrologia che da sempre è nata
attorno al soggetto. Allestimento al risparmio (almeno spero!): scena
praticamente fissa e spoglia (basse scogliere marine) arricchita (si fa per
dire) da qualche quinta di palma e da un tronetto di Brahma-tricefalo nel terzo
atto. Colori che più sgargiante non si può, inclusi quelle delle luci, e
costumi più o meno improbabili. I cori sono sempre ben piantati sul posto, così
da garantire ai coristi il massimo confort per il canto; movimenti dei
protagonisti sempre misurati e un po’ anche impacciati. Qualche modesta
coreografia, a supporto dei passaggi strumentali e corali. Appropriata, perchè in funzione didascalica, la
sporadica presenza di una controfigura di Leïla. Insomma, nessun velleitarismo, ma allo stesso
tempo nulla che distragga lo spettatore dal godersi questa musica che va giù
proprio come un rosolio.
Qui alcune note sull’opera, che ho
proposto anni fa. La versione qui presentata è sedicentemente quella originale
(1863) come pazientemente ricostruita negli ultimi anni, dopo che per un secolo
e più, dalla fine dell’800, erano circolate in tutto il modo versioni spurie, nate
addirittura in Italia e poi codificate in Francia (Benjamin Godard). In particolare, il finale non è quello davvero
stravolto da tante produzioni creative.
Però, tanto per mettere un granello nell’ingranaggio, ecco che il libretto,
pubblicato nel programma di sala, presenta ancora per il duetto Zurga-Nadir del
primo atto la versione spuria (che riprende Oui, c’est elle! C’est la déesse) al posto
dell’originale (Amitiè
sainte) che per nostra fortuna è però regolarmente cantato... E a
proposito di canto, come già per la prima
del 3, Zurga non è interpretato dal titolare Capitanucci, ancora indisposto, ma
dal sostituto Pierre Doyen, che vien dal Belgio.
___
Sul podio il 37enne
americano Ryan McAdams,
al quale potrei rimproverare qualche eccessiva dose di zucchero in alcuni
passaggi strumentali, che già ne sono abbastanza ricchi di loro, ma in generale
la sua concertazione mi è parsa più che efficace e la risposta dell’Orchestra
del tutto soddisfacente.
Benissimo anche il coro
di Andrea Secchi, che nell’opera
rappresenta il quinto protagonista, tale è la sua presenza in scena.
E fra i protagonisti
chi mi è piaciuto di più è la... riserva: Pierre
Doyen ha una voce corposa che, fosse anche un filino più morbida, ne farebbe
un baritono con i fiocchi. In ogni caso la sua è stata una prestazione fra il
discreto e il buono, con punta di diamante l’aria dell’accorata invocazione a Nadir,
nel terz’atto.
Hasmik
Torosyan è stata una Leïla
più che dignitosa: una non eccelsa immedesimazione nel personaggio e qualche
vetrosità sugli acuti in mezzo-forte, oltre ad una potenza di voce non
straordinaria le impediscono di guadagnarsi, sul mio personalissimo cartellino (copyright Rino Tommasi) più di un 7, ecco. Apprezzabili
i suoi delicati vocalizzi sulla barcarola del coro in chiusura del primo atto.
Il francesino Kévin Amiel è stato un Nadir così-così (a
lui qualcuno ha indirizzato un paio di ululati...): la parte è difficile, se
non proprio proibitiva, e certi ricordi che tornano all’orecchio (Kraus, per citarne uno...) fanno da
termine di paragone piuttosto duro. Ma lui è giovane e non può che migliorarsi.
Buono anche lo standard
di Ugo Guagliardo nei panni di Nourabad,
parte sostenuta con sufficiente autorevolezza e buon portamento.
___
Ecco, una produzione senza grandissimi nomi e
senza sfoggio (e dispendio!) di potenti mezzi, che ha però pienamente
soddisfatto un pubblico assai folto, che ha tributato lunghi e convinti
applausi a tutti: quale differenza rispetto ai modesti applausi di cortesia che
un Piermarini semideserto ha riservato sabato sera alla prima di Quartett. L’impietoso
confronto la dice più lunga di tanti paludati studi di sociologia della musica!
Nessun commento:
Posta un commento