laVerdi ha avuto il privilegio
quest’anno di fare - in un sol colpo - una doppia inaugurazione: quella,
normale per così dire, della propria stagione
in abbonamento, e quella davvero speciale del Festival Milano Musica, quest’anno dedicato a Luca Francesconi (che - dopo l’anteprima-giovani di martedi scorso -
domani sarà ancora protagonista alla
Scala con la ripresa della sua Quartett del 2011).
E Francesconi è al centro del Concerto,
diretto dal giovane Michele Gamba (ascoltato con piacere settimane fa proprio alla Scala nell’Elisir, dove sarà anche questa sera) con due suoi
brani scortati, in certo qual modo, da altrettante brevi composizioni di Gustav Mahler.
Devo ammettere e confermare che la musica di Francesconi purtroppo non
riesce a convincermi. Per carità, massimo rispetto per la libertà di
espressione e quindi lungi da me liquidare la questione impiegando l’ormai
famosa espressione usata dal mitico Fantozzi a proposito della Corazzata
Potiomkin, ma mi limiterò a prendere a prestito quella politically correct che - a suo tempo - proprio Gustav Mahler usò
nei confronti della musica atonale di Arnold
Schönberg (del
quale peraltro difendeva a spada tratta il sacrosanto diritto ad esprimersi
come meglio credeva): La sua musica
non la capisco...
Ecco: se cerco di capirla, individuandone una
qualche narrativa (o programma interno che dir si voglia, per
i brani strumentali) non arrivo quasi a nulla (colpa mia, immagino...); e nel
caso di testi musicati (come il Baudelaire
di Etymo) non riesco proprio a trovare dei seri razionali che spieghino la
connessione fra suono e parole. Queste opere mi paiono costruzioni magari
genialoidi, ma piuttosto fredde (come le tecnologie che impiegano) troppo artefatte
o eccessivamente volte all’effetto
più che... all’affetto, ecco. E infatti
meglio non va se provo a fruirne passivamente come si farebbe con un walzer di Strauss o un numero di balletto di Ciajkovski: zero stimuli, per dirla con Mourinho...
Adesso però sfido Ruben Jais
(Direttore Generale nonchè Artistico de laVerdi)
a smentire che l’impaginazione del concerto (Mahler1 - Francesconi1 /pausa/
Francesconi2 - Mahler2) sia stata dettata dalle stesse intenzioni che già 45
anni fa animavano i programmi concertistici scaligeri di Abbado: un famoso
pezzo classico-romantico di apertura seguito dal brano contemporaneo (che il
pubblico così era costretto ad
ascoltare) e poi - dopo la pausa - un altro big
dell’800. Assai più onesta l’impaginazione di un concerto cui assistetti negli
anni ’80 a Monaco: Meerestille di
Mendelssohn, Concerto per violino di
Beethoven e, dopo la pausa, una sinfonia del Direttore-Autore Kurt Graunke. Residenz gremita qual uovo nella prima parte e letteralmente
svuotatasi all’intervallo!
Ho sempre pensato anche che i primi entusiasti di musica come questa siano
gli interpreti chiamati ad eseguirla. Sì perchè, oltre a poter sciorinare
funambolismi tecnici che lasciano a bocca aperta, possono stare assolutamente
certi che nessuno fra il pubblico (forse nemmeno il compositore in persona...)
potrà mai prenderli in castagna per aver suonato/cantato un SI bemolle al posto di un SI bequadro! (Oh, dopodichè do per
scontato che i ragazzi dell’Orchestra, il funambolo Jay e la bella Juliet non
abbiano sbagliato una sola nota, sia chiaro.)
___
Il Concerto per violoncello (tre movimenti canonici) che è stato
eseguito per la prima volta in Italia (esordì circa 2 anni fa a
Lucerna con lo stesso interprete, Jay
Campbell) è intitolato Das Ding singt (la cosa canta, qualunque sia il riferimento
alla cosa...) ma curiosamente proprio
sul sito del compositore è presentato invece (quasi in Stabreim) come das Dingt singt, espressione guarda
caso (!) priva di senso compiuto (Dingt non è sostantivo, ma forma verbale di Dingen, che significa mercanteggiare, o
assumere): a meno di significanze recondite, parrebbe proprio un errore di stompa, il che però non fa
onore a Francesconi, che evidentemente nemmeno controlla accuratamente ciò che pubblica (o
che qualcuno gli pubblica) in web...
Fossimo in ambito tonale, dovremmo parlare di un Concerto in SOL: nel primo movimento (fino a 7’31” nella citata
registrazione) il solista (con sei altri celli schierati intorno, a tenergli
bordone) esplora in sostanza la terza corda, una nota ostinatamente tenuta
sulla quale cominciano a piovere svolazzi diversi che via via si intensificano e
acutizzano fino a formare lingue di fuoco che fuggono verso l’alto (oh, questo
ce lo vedo io, sia chiaro...) Il movimento centrale chiama in causa dapprima
arpa e celesta, a creare atmosfere sognanti (su un sottofondo di LA) nelle
quali il solista getta i suoi ghiribizzi, accompagnati da scrosci e urti delle
percussioni. Si ascoltano per la verità anche alcune frasi melodiche e slanci
lirici. A 13’52” ecco il movimento conclusivo, che ci riporta al
sottofondo di SOL, dove il solista si produce in una cadenza liberamente presa
(se lo dice l’Autore, bisogna credergli!) da una delle prime composizioni per
violoncello, la Chiacona per basso solo
di Giuseppe Colombi (metà del ‘600).
L’atmosfera si va poco a poco surriscaldando, con i sette celli a rincorrersi
fino a raggiungere un orgasmo sonoro in zona sovracuta, chiuso da un ultimo
svolazzo quasi beffardo.
Come spesso accade, attorno a brani come questo nascono spiegazioni
teorico-filosofico-scientifiche, che però invece di aiutare a comprendere rischiano
di aumentare la confusione. Sentite ciò che scrisse Johannes Knapp (allora responsabile dell’Associazione Svizzera dei Musicisti) in occasione della prima del 2017:
Nella coda, i sette celli suonano nel loro registro più alto e alla
massima velocità possibile, proprio al limite della pazzia. Un “insetto
elettronico” è la definizione data dal compositore a questo veemente insieme
di violoncelli, che assai presto collassa in rumore. Nulla in Das Ding
suggerisce alcuna formula teorica di base. Francesconi parla di proprietà del
suono che si possono attribuire ad un enigmatico concetto di filosofia e
psicanalisi: l’Entità. Benchè Freud, Heidegger e molti altri abbiano
riflettuto su ciò, noi nulla sappiamo di concreto di questa Entità. Queste
proprietà esterne e mutevoli sono le uniche cose tangibili di essa. La sua
intima essenza rimane, per contrasto, impenetrabile: un vuoto totale, un
simultaneo tutto-e-nulla che, dice Francesconi, “nasconde in se stesso molti
pericoli”. È il caos pieno di raggiante energia al quale il compositore cerca
di avvicinarsi sia concettualmente che emozionalmente. L’arte è probabilmente
l’unica via per comunicare direttamente con questa Cosa misteriosa. La musica
rende udibile ciò che altrimenti non potrebbe essere udito.
|
Beh, non molto diversamente più di un secolo fa Mahler descriveva il
processo creativo del musicista (come lui lo viveva): la musica rende
percepibili quelle oscure sensazioni
che non sarebbero altrimenti trasferibili all’ascoltatore; al quale non
resterebbe quindi che affidarsi al
rapsodo...
Ecco, per dire: io, se mi affido al rapsodo Mahler,
qualche oscura sensazione credo di recepirla, nel senso che le mie corde
interne vanno in risonanza con quella musica; se mi affido al rapsodo
Francesconi, ahimè e ahilui... le corde restano quasi immobili.
___
Com’è andata? Il trio Francesconi-Campbell-Gamba si
è preso la sua buona dose di applausi - se quelli al compositore siano convinti
o di circostanza è sempre da stabilire - e il trentenne californiano si è
confermato davvero un fenomeno di tecnica e virtuosismo. Ma da pari gli sono
stati i sei moschettieri-violoncelli dell’Orchestra!
___
Dopo la pausa, ecco Etymo II, rivisitazione del 2005 (con
grande orchestra) di un’opera di 11 anni anteriore (Etymo)
per soprano, elettronica assortita e piccolo ensemble. La materia prima che Francesconi impiega è costituita da
testi presi da Baudelaire (Le voyage,
L’albatros e Carnets intimes). Come spiega l’Autore, è
un cammino in tre tappe (più un congedo) che ha come oggetto la parola (i minutaggi si riferiscono alla
citata edizione di Etymo-1994): 1. allo stadio pre-verbale (pura fonetica); 2. (7’00”) verbale (linguistica); 3. (14’20”) post-verbale (poetica). Il congedo in prosa (24’03”)
è... la morte.
Anche qui la mia personale impressione è che si
tratti di un costrutto dove la tecnica e la... tecnologia prevalgono
sull’ispirazione e la cui cerebralità finisce per costituire - sempre per me - una
barriera alla piena fruizione del brano.
Juliet Fraser avrebbe una bella voce, solo che ieri il precario bilanciamento
fra i fracassi dell’orchestra (colpa di Gamba?) e l’amplificazione (probabilmente
insufficiente) della voce medesima ne ha parecchio compromesso l’efficacia.
Come per il brano precedente, anche qui applausi e consensi, peraltro
limitati ad un paio di chiamate.
___
Il brano di chiusura si riallacciava in qualche modo al Baudelaire di Francesconi:
là il Voyage terminava con l’incontro
con la Morte; così come il Rückert di Ich bin der Welt abhanden gekommen è
il poeta che si è isolato dal mondo e dai suoi... rumori (!)
Martin Hässler ne ha dato una lettura convincente: senza mai forzare
la voce più di tanto, ha ben reso il carattere introverso e serenamente
pessimista del Lied, parente stretto dell’Adagietto
della Quinta. Caloroso successo anche per lui.
___
L’apertura aveva visto il ritorno in Auditorium (dopo
quasi sei anni) di Blumine, costola rimossa dalla prima
versione del Titano. Ieri è toccato alla
tromba di Antonio Signorile porgerlo
con grande perizia ed eleganza. Adesso Jais potrà programmare un Titano
originale in 5 tempi!
___
Come detto, domani sera ancora
Francesconi: servirà poi un antidoto...
Nessun commento:
Posta un commento