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04 ottobre, 2019

laVerdi-19-20 - Concerto n°1 con Milano Musica


laVerdi ha avuto il privilegio quest’anno di fare - in un sol colpo - una doppia inaugurazione: quella, normale per così dire, della propria stagione in abbonamento, e quella davvero speciale del Festival Milano Musica, quest’anno dedicato a Luca Francesconi (che - dopo l’anteprima-giovani di martedi scorso -  domani sarà ancora protagonista alla Scala con la ripresa della sua Quartett del 2011).  

E Francesconi è al centro del Concerto, diretto dal giovane Michele Gamba (ascoltato con piacere settimane fa proprio alla Scala nell’Elisir, dove sarà anche questa sera) con due suoi brani scortati, in certo qual modo, da altrettante brevi composizioni di Gustav Mahler.

Devo ammettere e confermare che la musica di Francesconi purtroppo non riesce a convincermi. Per carità, massimo rispetto per la libertà di espressione e quindi lungi da me liquidare la questione impiegando l’ormai famosa espressione usata dal mitico Fantozzi a proposito della Corazzata Potiomkin, ma mi limiterò a prendere a prestito quella politically correct che - a suo tempo - proprio Gustav Mahler usò nei confronti della musica atonale di Arnold Schönberg (del quale peraltro difendeva a spada tratta il sacrosanto diritto ad esprimersi come meglio credeva): La sua musica non la capisco...

Ecco: se cerco di capirla, individuandone una qualche narrativa (o programma interno che dir si voglia, per i brani strumentali) non arrivo quasi a nulla (colpa mia, immagino...); e nel caso di testi musicati (come il Baudelaire di Etymo) non riesco proprio a trovare dei seri razionali che spieghino la connessione fra suono e parole. Queste opere mi paiono costruzioni magari genialoidi, ma piuttosto fredde (come le tecnologie che impiegano) troppo artefatte o eccessivamente volte all’effetto più che... all’affetto, ecco. E infatti meglio non va se provo a fruirne passivamente come si farebbe con un walzer di Strauss o un numero di balletto di Ciajkovski: zero stimuli, per dirla con Mourinho...

Adesso però sfido Ruben Jais (Direttore Generale nonchè Artistico de laVerdi) a smentire che l’impaginazione del concerto (Mahler1 - Francesconi1 /pausa/ Francesconi2 - Mahler2) sia stata dettata dalle stesse intenzioni che già 45 anni fa animavano i programmi concertistici scaligeri di Abbado: un famoso pezzo classico-romantico di apertura seguito dal brano contemporaneo (che il pubblico così era costretto ad ascoltare) e poi - dopo la pausa - un altro big dell’800. Assai più onesta l’impaginazione di un concerto cui assistetti negli anni ’80 a Monaco: Meerestille di Mendelssohn, Concerto per violino di Beethoven e, dopo la pausa, una sinfonia del Direttore-Autore Kurt Graunke. Residenz gremita qual uovo nella prima parte e letteralmente svuotatasi all’intervallo!

Ho sempre pensato anche che i primi entusiasti di musica come questa siano gli interpreti chiamati ad eseguirla. Sì perchè, oltre a poter sciorinare funambolismi tecnici che lasciano a bocca aperta, possono stare assolutamente certi che nessuno fra il pubblico (forse nemmeno il compositore in persona...) potrà mai prenderli in castagna per aver suonato/cantato un SI bemolle al posto di un SI bequadro! (Oh, dopodichè do per scontato che i ragazzi dell’Orchestra, il funambolo Jay e la bella Juliet non abbiano sbagliato una sola nota, sia chiaro.)
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Il Concerto per violoncello (tre movimenti canonici) che è stato eseguito per la prima volta in Italia (esordì circa 2 anni fa a Lucerna con lo stesso interprete, Jay Campbell) è intitolato Das Ding singt (la cosa canta, qualunque sia il riferimento alla cosa...) ma curiosamente proprio sul sito del compositore è presentato invece (quasi in Stabreim) come das Dingt singt, espressione guarda caso (!) priva di senso compiuto (Dingt non è sostantivo, ma forma verbale di Dingen, che significa mercanteggiare, o assumere): a meno di significanze recondite, parrebbe proprio un errore di stompa, il che però non fa onore a Francesconi, che evidentemente nemmeno controlla accuratamente ciò che pubblica (o che qualcuno gli pubblica) in web...  

Fossimo in ambito tonale, dovremmo parlare di un Concerto in SOL: nel primo movimento (fino a 7’31” nella citata registrazione) il solista (con sei altri celli schierati intorno, a tenergli bordone) esplora in sostanza la terza corda, una nota ostinatamente tenuta sulla quale cominciano a piovere svolazzi diversi che via via si intensificano e acutizzano fino a formare lingue di fuoco che fuggono verso l’alto (oh, questo ce lo vedo io, sia chiaro...) Il movimento centrale chiama in causa dapprima arpa e celesta, a creare atmosfere sognanti (su un sottofondo di LA) nelle quali il solista getta i suoi ghiribizzi, accompagnati da scrosci e urti delle percussioni. Si ascoltano per la verità anche alcune frasi melodiche e slanci lirici. A 13’52” ecco il movimento conclusivo, che ci riporta al sottofondo di SOL, dove il solista si produce in una cadenza liberamente presa (se lo dice l’Autore, bisogna credergli!) da una delle prime composizioni per violoncello, la Chiacona per basso solo di Giuseppe Colombi (metà del ‘600). L’atmosfera si va poco a poco surriscaldando, con i sette celli a rincorrersi fino a raggiungere un orgasmo sonoro in zona sovracuta, chiuso da un ultimo svolazzo quasi beffardo.

Come spesso accade, attorno a brani come questo nascono spiegazioni teorico-filosofico-scientifiche, che però invece di aiutare a comprendere rischiano di aumentare la confusione. Sentite ciò che scrisse Johannes Knapp (allora responsabile dell’Associazione Svizzera dei Musicisti) in occasione della prima del 2017:

Nella coda, i sette celli suonano nel loro registro più alto e alla massima velocità possibile, proprio al limite della pazzia. Un “insetto elettronico” è la definizione data dal compositore a questo veemente insieme di violoncelli, che assai presto collassa in rumore. Nulla in Das Ding suggerisce alcuna formula teorica di base. Francesconi parla di proprietà del suono che si possono attribuire ad un enigmatico concetto di filosofia e psicanalisi: l’Entità. Benchè Freud, Heidegger e molti altri abbiano riflettuto su ciò, noi nulla sappiamo di concreto di questa Entità. Queste proprietà esterne e mutevoli sono le uniche cose tangibili di essa. La sua intima essenza rimane, per contrasto, impenetrabile: un vuoto totale, un simultaneo tutto-e-nulla che, dice Francesconi, “nasconde in se stesso molti pericoli”. È il caos pieno di raggiante energia al quale il compositore cerca di avvicinarsi sia concettualmente che emozionalmente. L’arte è probabilmente l’unica via per comunicare direttamente con questa Cosa misteriosa. La musica rende udibile ciò che altrimenti non potrebbe essere udito.

Beh, non molto diversamente più di un secolo fa Mahler descriveva il processo creativo del musicista (come lui lo viveva): la musica rende percepibili quelle oscure sensazioni che non sarebbero altrimenti trasferibili all’ascoltatore; al quale non resterebbe quindi che affidarsi al rapsodo...

Ecco, per dire: io, se mi affido al rapsodo Mahler, qualche oscura sensazione credo di recepirla, nel senso che le mie corde interne vanno in risonanza con quella musica; se mi affido al rapsodo Francesconi, ahimè e ahilui... le corde restano quasi immobili.      
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Com’è andata? Il trio Francesconi-Campbell-Gamba si è preso la sua buona dose di applausi - se quelli al compositore siano convinti o di circostanza è sempre da stabilire - e il trentenne californiano si è confermato davvero un fenomeno di tecnica e virtuosismo. Ma da pari gli sono stati i sei moschettieri-violoncelli dell’Orchestra!
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Dopo la pausa, ecco Etymo II, rivisitazione del 2005 (con grande orchestra) di un’opera di 11 anni anteriore (Etymo) per soprano, elettronica assortita e piccolo ensemble. La materia prima che Francesconi impiega è costituita da testi presi da Baudelaire (Le voyage, L’albatros e Carnets intimes). Come spiega l’Autore, è un cammino in tre tappe (più un congedo) che ha come oggetto la parola (i minutaggi si riferiscono alla citata edizione di Etymo-1994): 1. allo stadio pre-verbale (pura fonetica); 2. (7’00”) verbale (linguistica); 3. (14’20”) post-verbale (poetica). Il congedo in prosa (24’03”) è... la morte.

Anche qui la mia personale impressione è che si tratti di un costrutto dove la tecnica e la... tecnologia prevalgono sull’ispirazione e la cui cerebralità finisce per costituire - sempre per me - una barriera alla piena fruizione del brano.

Juliet Fraser avrebbe una bella voce, solo che ieri il precario bilanciamento fra i fracassi dell’orchestra (colpa di Gamba?) e l’amplificazione (probabilmente insufficiente) della voce medesima ne ha parecchio compromesso l’efficacia.   

Come per il brano precedente, anche qui applausi e consensi, peraltro limitati ad un paio di chiamate.
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Il brano di chiusura si riallacciava in qualche modo al Baudelaire di Francesconi: là il Voyage terminava con l’incontro con la Morte; così come il Rückert di Ich bin der Welt abhanden gekommen è il poeta che si è isolato dal mondo e dai suoi... rumori (!)

Martin Hässler ne ha dato una lettura convincente: senza mai forzare la voce più di tanto, ha ben reso il carattere introverso e serenamente pessimista del Lied, parente stretto dell’Adagietto della Quinta. Caloroso successo anche per lui.
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L’apertura aveva visto il ritorno in Auditorium (dopo quasi sei anni) di Blumine, costola rimossa dalla prima versione del Titano. Ieri è toccato alla tromba di Antonio Signorile porgerlo con grande perizia ed eleganza. Adesso Jais potrà programmare un Titano originale in 5 tempi!
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Come detto, domani sera ancora Francesconi: servirà poi un antidoto...

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