La
nuova tappa verso l’agognata meta (marzo 2026) delle due rappresentazioni del
ciclo completo del Ring arriva ora alla Seconda giornata (Siegfried). Ieri la prima
rappresentazione, in un teatro affollato ma non troppo, ecco.
Prima
dell’inizio, a luci in sala già spente, sul sipario rigido vengono proiettate
scritte con il NO alla guerra e il SI alla pace, con il nobile, ecumenico appello di... Simon Boccanegra. Servirà a qualcosa?
Ma naturalmente si potrebbe anche associare la quadripartita forma del Ring alle quattro stagioni: partendo dal Rheingold visto come il crudo Inverno dell’Universo; passando poi a Walküre come la promettente Primavera; quindi a Siegfried, la calda Estate; e per finire con Götterdämmerung, l’Autunno che prefigura il ritorno alla stagione fredda, dove tutto lentamente muore per prepararsi ad un nuovo ciclo di vita…
E, perchè no, a proposito di vita, anche alle fasi dell’esistenza di ogni creatura vivente, che viene faticosamente alla luce, poi si sviluppa, quindi esprime il massimo delle sue potenzialità, per poi lentamente avviarsi al suo inevitabile tramonto, con prospettive consolanti o disperanti…
È ovvio che questi raffronti lasciano il tempo che trovano, se non altro perché le dimensioni stesse del mostro wagneriano impediscono di poterne cogliere l’intero panorama in un sol colpo d’occhio e in una sola esperienza, nemmeno mettendosi per 15 ore consecutive ad ascoltarlo da cima a fondo… e peggio ancora quando le quattro parti sono messe in scena separatamente e a distanza di mesi (o anni!) E poi, la stessa materiale estensione temporale della composizione del tutto rende inevitabili piccole o grandi mutazioni nello stile compositivo di Wagner.
Resta comunque possibile, prendendo a testimone Verdi, individuare anche in Wagner quella che il Peppino definiva come la tinta di ogni sua opera. E da questo punto di vista certamente si può concludere che Siegfried sia, musicalmente, davvero un’opera solare.
E quindi: come ce l’ha proposta, la simpatica Simone Young? Una confortante testimonianza tecnologica ci venive dallo scorso Festival wagneriano, dove la Young ha esordito - dopo decenni di gavetta - proprio con la direzione del Ring, con cast (quasi del tutto) diverso da quello scaligero. Ieri la Direttrice aussie mi è parsa apprezzabile nell’approccio all’agogica, e un po’ sopra le righe nelle dinamiche, spesso fin troppo invadenti. Il che ha messo in risalto la splendida forma dell’Orchestra, facendo uscire dalla buca travolgenti fiumi sonori (memorabile il corno di Giovanni Emanuele Urso!); suoni che hanno magari penalizzato le voci, ecco.
Michael Volle, è stato ancora una volta un Wotan all’altezza del ruolo: gli anni si fanno sentire, ma la voce… pure, in senso positivo, ovvio!
Siegfried è Klaus Florian Vogt, che canta benissimo con la sua voce di tenore… lirico. Chi si aspetterebbe il classico Heldentenor magari storce il naso. Ma ci dobbiamo accontentare e forse pure abituarci.
Benissimo la Camilla Nylund, una convincente Brünnhilde, capace sempre di emozionarci: per la sua trasformazione nella Walküre e qui per la sua sofferta, ma alla fine convinta, accettazione del suo status di donna.
Ottima ancora la prestazione di Wolfgang Ablinger-Sperrhacke, un Mime esemplare per canto e presenza scenica. Il fratello cattivo Alberich è un Ólafur Sigurdarson che (come in Rheingold) è eccessivamente caricaturale, ma vocalmente apprezzabile.
Onesta la prestazione del drago Fafner, un Ain Anger un po’… leggero da vivo, con i tritoni poco efficaci, ma meglio da moribondo, quando torna al classico diatonismo.
Bene anche la Erda di Christa Mayer, che resiste come può agli strapazzi di cui la fa bersaglio l’ingrato Wotan.
Piacevole sorpresa l’uccellino di Francesca Aspromonte, voce penetrante (e non… pigolante) che peraltro il regista ha sempre fatto cantare ben in primo piano e non, come accade spesso, appollaiata in qualche remoto angolo della torre scenica.
Per tutti i musikanten alla fine solo applausi, ovazioni e trionfo pieno.
Nel primo atto la stamberga di Mime è assolutamente realistica, con la forgia, il mantice e tutti gli attrezzi necessari, il che ci permette di seguire perfettamente tutto il complesso processo di rifusione e ricostruzione della spada. Un paio di trovate sono da segnalare: Mime che si traveste da megera quando deve spiegare a Siegfried di essergli anche madre, oltre che padre (poi si abbiglierà da regina al momento di esultare per la prossima riuscita del suo piano). Poi la veste di Sieglinde che lui mostra a Siegfried quando gli descrive la sua nascita; veste che poi Wotan – alla seconda domanda che indirizza a Mime - ritrova e stringe al petto in commosso ricordo della figlia!
Nel secondo atto la scena è più spoglia (un paio di alberi e poco più) per accogliere Alberich, vestito da sovrano spodestato che trascina un carretto con le sue povere cose, inclusa una corona dorata; e Wotan che arriva per organizzare la pantomima con Fafner. Scena che poi si svuota proprio all’uscita del drago, una specie di enorme ragno teschiuto manovrato da comparse, finchè è vivo. Poi, trafitto al cuore da Siegfried, si ritira sul fiondo e al suo posto compare… Ain Anger a far la figura del… moribondo. L’uccellino è un gallinaceo-giocattolo, a volte manovrato dalla Aspromonte e altre fatto svolazzare qua e là da una comparsa munita di lunga pertica: come detto, ciò consente alla cantante di farsi ben udire da tutti.
Nel terzo atto la scena si riduce alla presenza di un globo terracqueo dietro al quale compare Erda per il suo confronto con il padre delle sue numerose figlie… Poi la scena viene quasi totalmente chiusa da una grande quinta che lascia solo intravedere un ambiente infuocato. Wotan e Siegfried si incontrano, e scontrano, solo al proscenio. Per la terza e conclusiva scena tornano l’enorme testa supina di Erda e la manona (una delle tre comparse nel Rheingold) che nella Walküre era servita come letto su cui adagiare Brünnhilde. Che ora viene svegliata dai ripetuti baci di Siegfried per dar poi luogo al travologente finale, con lucente amore e ridente morte.
Insomma, una messinscena che personalmente tendo ad apprezzare, come onesto compromesso fra un frusto tradizionalismo e tante astruse ambientazioni moderne. Qui il pubblico si è diviso fra applausi e qualche contestazione. Ma in complesso direi che questa tappa del lungo viaggio sia stata un buon… passo avanti.