La
serata di ieri ha visto l’esordio in una Scala purtroppo spopolata (e andando
ulteriormente spopolandosi nei due intervalli) del Peter
Grimes di Britten in una nuova produzione affidata al celebrato
Robert Carsen e alla direzione musicale della navigata australiana Simone
Young.
A mo’ di introduzione a questo commento e per una mia personale interpretazione del soggetto dell’opera rimando a queste mie note scritte ormai parecchi anni fa.
Parto dalla prestazione musicale, che definirei di alto livello sotto tutti gli aspetti. La Young ha saputo cavar fuori da questa difficile ma affascinante partitura tutto il meglio, con una direzione vibrante, senza un attimo di caduta di tensione. Direzione coadiuvata da un’orchestra in gran forma, che ha messo in rilievo tutta la brutalità del rapporto fra la folla (strepitoso qui il Coro di Malazzi) e il diverso (un efficace Brandon Jovanovich, che mi ha ricordato più Vickers che Pears…) Ma anche la varietà di atmosfere create dai sei Interludi, dove protagonista è la Natura, caratterizzati ora da grande lirismo (la calma del mare) o dalle esplosioni dei fenomeni più estremi (burrasche e tempeste).
E poi concertazione fra buca e palcoscenico che non ha avuto sbavature, cogliendo ogni sfumatura delle personalità dei singoli e della cieca propensione all’odio della folla del Borgo. Nicole Car è stata la trionfatrice della serata, una Ellen quasi perfetta nei suoi slanci di comprensione (e di amore?) per il bistrattato e complessato Peter e nei suoi rimproveri al popolo per i suoi pregiudizi e per la sua assurda sete di giustizia (o di vendetta). Memorabili i suoi accorati appelli alla ragionevolezza (Peter); le sue amorevoli cure per il piccolo apprendista; la sua delusione e frustrazione per il precipitare delle cose verso il baratro. Il tutto supportato da una voce calda e penetrante, e da una grande espressività nel portamento.
Brandon Jovanovich è stato un Peter di grande spessore, voce da Heldentenor (magari a Britten non sarebbe piaciuta al 100% – stessa sorte capitò a Vickers) e perfetta immedesimazione nel ruolo di questo corpo estraneo in una società ostile. Carsen ne ha accentuato i tratti più crudi persino dell’espressione del viso, illuminandolo dal basso nelle sue esternazioni più drammatiche.
Il Balstrode di Ólafur Sigurdarson mi ha un pochino deluso (e qui magari anche Carsen ci ha messo lo zampino): per me eccessivamente cinico e persino venale. E così forse il baritono islandese (ma è una battuta per giustificarlo…) ha voluto esagerare anche in qualche sguaiatezza di troppo nel canto.
Assai centrate ed efficaci le figure delle tre donne che animano il Cinghiale: la navigata Auntie di Margaret Plummer e le due (apparentemente?) svampite nipotine (Katrina Galka e Tineke Van Ingelgem).
Peter Fose è un solido Swallow, giudice dall’atteggiamento autoritario nell’iniziale interrogatorio di Peter, ma anche disposto a difenderlo in occasione del sopralluogo alla baracca del pescatore. Leigh Melrose se la cava assai bene come il furbacchione Keene, che fa favori a tutti (dalla Sedley a Peter) pur di cavarci qualche penny… Come lui anche l’Hobson di William Thomas, l’estremista Boles di Michael Colvin e il Reverendo Adams di Benjamin Hulett.
La scena di Gideon Davey (responsabile anche dei costumi, un poco attualizzati, ma non troppo…) è assai scarna, con una macrostruttura praticamente fissa, che viene poi arricchita di volta in volta da poche suppellettili. Una passerella sopraelevata ne circonda tre dei quattro lati, per accogliere gruppi o singoli personaggi.
Come sempre efficacissime le luci (di Carsen che ne è maestro, coadiuvato qui da Peter vanPraet): addirittura sfacciata la fiaccolata finale con torce abbaglianti puntate verso la sala! Will Duke ha predisposto alcuni video, prevalentemente centrati sul volto straniato di Peter, o su qualche passaggio di nuvole o vaghi riferimenti marini.
Una particolare curiosità riguarda il trattamento dei sei Interludi che costellano l’opera (due per atto). Britten li vorrebbe suonati a sipario chiuso (ci sono dei cambi-scena…) ma Carsen ci mette del suo per animarli. Così Il primo (Alba) che, senza soluzione di continuità con il Prologo, deve introdurre la vita di un nuovo giorno al Borgo, è genialmente supportato da una folla di pescatori e donne che occupano la passerella sospesa, tutti indaffarati a rammendare o sistemare reti da pesca. Il secondo (Tempesta) a metà del primo atto, viene invece animato da coreografie (di Rebecca Howell) che evocano il terrore per la burrasca imminente e poi ci mostrano il cambio-scena fra l’esterno e l’interno del Cinghiale. Il terzo Interludio (Domenica mattina) compare all’inizio dell’atto secondo, dopo l‘intervallo, che già ha consentito di predisporre il cambio di scena (siamo di nuovo all’aperto). Ecco, qui forse Carsen ha voluto strafare (cambierà idea all’inizio dell’atto terzo…) e ci mostra un’appendice del cambio scena, con spostamento di panchine ed altre attività assai prosaiche. Il quarto Interludio (Passacaglia) copre il passaggio dall’esterno all’interno della dimora di Peter. Qui Carsen ci mostra questa trasformazione facendo intervenire pescatori che trainano funi e spostano in avanti la parete di fondo, per creare l’angusto spazio del rifugio nel quale arriveranno Peter e il suo nuovo garzone. All’inizio del terz’atto (il cambio-scena è avvenuto nell’intervallo) l’Interludio (Chiaro di luna) viene invece eseguito (e direi proprio correttamente) a sipario chiuso. L’ultimo Interludio (la nebbia) è assai breve e segue l’assurda caccia che la folla (aizzata dalla Sedley) ha cominciato a dare a Peter, che si vede comparire (accompagnato poi da voci lontane e dal sordo suono della sirena) per dare sfogo a tutta la sua disperazione.
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