Dopo
tre ospitate ad altrettante Orchestre italiane, è tornata sul palco - insieme
al Direttore Emerito Claus Peter Flor - la padrona di casa in un Auditorium
ancora pieno come un uovo a dimostrazione del successo che il Festival sta riscuotendo,
in particolare fra i giovani, numerosi anche oggi in sala.
In programma c’era oggi la colossale, smisurata Terza Sinfonia, che ci porta, come scriveva il compositore nelle note esplicative (poi ritirate), dalla Terra al Cielo, o anche per-aspera-ad-astra, o ancora, volgarmente, dalle-stalle-alle-stelle! Un programma non diverso da quello individuabile in altre Sinfonie mahleriane, a partire dalla Seconda (dalla-morte-alla-resurrezione). Ma in senso lato presente anche nella Quinta Sinfonia: due movimenti iniziali apparentati dal carattere funebre seguiti da uno di natura giocosa e da un altro di tono lirico prima del finale in gloria. E pure la Settima pare ispirata a questo schema: due tempi estremi, il primo cupo, l’ultimo trionfalistico ed esilarante, inframmezzati da due serenate e da uno spettrale scherzo.
Ma in realtà in termini di struttura
musicale dell’opera, parrebbe l’invenzione dell’acqua calda, poiché la Sinfonia
stessa, come genere musicale, si andò strutturando così fin da Haydn, come
minimo: quattro movimenti, di cui i due esterni più robusti (in Allegro,
tipicamente) e i due interni più contemplativi (Andante) e leggeri (Minuetto
o poi Scherzo).
La novità di Mahler (in buona parte
mutuata dal suo idolatrato – e riorchestrato – Schumann) risiede
principalmente nell’abbandonare il principio (Hanslick-iano, potremmo
definirlo) di costruzione dell’edificio sinfonico con materiale musicale puro per
impiegare invece una tecnica tipicamente teatrale (incluso quel teatro
in miniatura che è il Lied…) Approccio non poi troppo diverso da quello
di Ciajkovski, ma portato da Mahler alle estreme conseguenze.
L’esecuzione odierna non ha mancato l’obiettivo,
grazie alla rigorosità che Flor ha impiegato nella sua direzione, che nulla ha
trascurato e nulla ha stravolto: dal poderoso attacco degli otto corni (in
palcoscenico erano nove…) capitanati dalla coppia Ceccarelli-Amatulli; alle
leziosità del Minuetto, con Santaniello protagonista; al mirabile assolo
della cornetta-da-postiglione di Alessandro Rosi (dislocato come
richiede Mahler fuori dal palco, ma uscito alla fine a raccogliere meritatissimi
applausi) alla corposa e calda voce di Anke Vendung in Nietzsche
e poi nel Wunderhorn insieme alle piccole di Maria Teresa Tramontin
e alle ragazze di Massimo Fiocchi Malaspina; per finire con l’apoteosi
del tema beethovenian-parsifaliano che ci ha accompagnato verso il
trascendente.
Grandissima emozione, sfociata in lunghi, liberatori applausi e ovazioni per tutti.
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