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23 marzo, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.16

Dopo il programma americano di due settimane fa, la stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano è ripresa ieri con il 16° Concerto, tutto dedicato alla Spagna. Sul podio Enrico Lombardi, cui laVerdi tempo fa ha affidato la guida dell’Orchestra JuniorLo avevo visto lo scorso 17 agosto al ROF, arrivare in fretta e furia a dirigere l’Adelaide al posto del titolare Lanzillotta, e devo dire che mi aveva ben impressionato.

Dei quattro brani in programma solo il secondo è di autore iberico, gli altri rappresentano la Spagna come vista e vissuta da compositori francesi e russi.

Si inizia quindi con Emmanuel Chabrier e la sua España, Rapsodia per orchestra. In Appendice un sintetico excursus sul brano. Brano che serve davvero a scaldare i motori e… il pubblico. Che non manca di accogliere entusiasticamente la performance dei ragazzi.
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Ora ecco il brano di autore spagnolo, Manolo Sanlúcar, il più famoso compositore di Flamenco, purtroppo da poco scomparso. Di lui abbiamo ascoltato un estratto dalle musiche del balletto Medea (1987) interpretato dal celebre virtuoso Pepe Romero, che fu già ospite qui nel 2019 suonando il Concierto de Aranjuez

Dei 15 numeri del balletto, questa Suite ne comprende 6 (quelli dove la chitarra è in primo piano) come qui sotto evidenziato:

01. Obertura
02. Fiesta
03. Amargura
04. Reencuentro y desencuentro
05. Seducción
06. Riña
07. Saqueo
08. Soledad
09. Conjuro
10. Fiesta II
11. La ofrenda
12. Alboreá
13. La venganza
14. Tiempo del dolor
15. ...Y amén

Ispirato, come suggerisce il titolo, al dramma di origine mitologica (Euripide) poi sviluppato da Seneca, evoca alcuni passaggi cruciali della vicenda della madre tradita che sacrifica i suoi figlioletti.

Purtroppo il bilanciamento fra l’esile suono dello strumento solista e l’orchestra è sempre di difficile calibratura, e ciò si è avvertito anche ieri. Il che non ha impedito di apprezzare la struggente bellezza delle melodie di Sanlúcar e la grande maestrìa di Romero, che l’ha interpretata con grande pathos e tempi sempre appropriatamente sostenuti.

Poi ci ha ringraziato della calorosa accoglienza riproponendo il bis del 2019, la Fantasia cubana del padre Caledonio!
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È Claude Debussy ad aprire la seconda parte del concerto, con Ibéria, da Images terza serie.

Trattasi di un trittico incastonato in un altro trittico più ampio (fra Gigues e Rondes de Printemps). Debussy impiega qui la tecnica definita come puntillismo, da una scuola pittorica vicina all'impressionismo, i cui adepti usavano dipingere quadri coprendo la tela, anziché di pennellate tradizionali, di una miriade di puntini (una specie di anticipazione manuale dei pixel dei moderni monitor!) In effetti la partitura di Images è ricchissima di piccoli dettagli di colore, che creano uno straordinario effetto d'insieme.

Il primo brano (Par les rues et par les chemins) ha un tempo ternario (3/8, da seguidilla, per intenderci) con i clarinetti ad esporne il tema principale. Sembra proprio di sentire suoni (e polifonie) che escono da case e locali di un tipico ambiente spagnolo, o semplicemente il brusio della gente che passa o i rumori del traffico. Al centro del brano c'è una sezione più lenta in 2/4 (ma suddivisi in 12/16, quattro terzine) quasi una pausa per la siesta o l'inoltrarsi su stradicciole fuori mano. Qui c'è ampio impiego di rubato, prima del ritorno del tempo 3/8, che ci riporta ad una certa concitazione urbana, fino alla chiusura su una mirabile cadenza, che preannuncia il crepuscolo.

Il secondo brano (Les parfums de la nuit) è una cosa davvero strepitosa, un'evocazione di sensazioni che si provano guardando il cielo stellato, ascoltando un usignolo lontano, o inspirando i profumi che emanano dai giardini fioriti. Qui arpa, celesta e xilofono, assieme alle campane che emergono nel finale, vengono sapientemente usati per creare l'atmosfera notturna, una notte dove si fa però risentire anche il tema del primo brano, ad evocare il giorno passato ed anticipare quello che si appresta a sorgere.

Ed infatti il terzo brano (Le matin d'un jour de fête) si apre in modo ancora sonnolento, poi le campane annunciano la festa, che si scatena in ogni dove. C'è anche un intermezzo quasi comico, col violino che improvvisa un bizzarro assolo, disturbato due volte dai sordi colpi del tamburo basco prima che il tutto precipiti verso una esilarante conclusione in SOL, che suscita grandi applausi del pubblico per l'orchestra e per Lombardi.
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A chiudere la serata è stato Nikolaj Rimski-Korsakov con il suo celeberrimo Capriccio spagnolo. (Qui un mia sommaria analisi).

Vibrante e travolgente l'esecuzione dei ragazzi, accolta con entusiasmo da un pubblico tutt’altro che oceanico, ma prodigo di applausi ritmati. 

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Appendice. España

Sono circa 6 minuti di musica davvero sfrenata e inebriante, una cosuccia in FA maggiore, come modestamente la minimizzava il suo Autore. 

Seguiamo l’esecuzione parigina della simpatica Zahia Ziouani. La figura sottostante riporta le battute iniziali dei 7 motivi principali del brano.

1’19” Introduzione. 28 battute che impongono il ritmo principale della rapsodia, sul tempo costante di 3/8.

1’39” Ecco il Tema-A esposto dapprima da trombe e fagotti, quindi ripreso dai corni e ancora (2’03”) a piena orchestra e pieno volume, seguito da 7 battute di transizione.

2’19” Corni e fagotti espongono il Tema-B.

2’26” Segue il Tema-C nei fiati, poi propagato all’orchestra.

2’40” Ecco nei fagotti il Tema-D.

2’51” Ora i violini attaccano il Tema-E, in staffetta con clarinetti e fagotti. Tema subito riproposto anche dai flauti con il rinforzo orchestrale.

3’15” È ora il turno del Tema-F, esposto dapprima dagli archi e via via ripreso dall’intera orchestra. Raggiunto il climax (3’41”) segue una lunga transizione che comporta una modulazione da FA a REb maggiore.

4’00” Qui il pomposo Tema-G viene esposto dai tromboni, quindi si sviluppa in contrappunto con il Tema-A, presenta anche una frase caratterizzata da poliritmia di ottoni, poi di legni e triangolo che per alcune battute suonano in 2/4 (una croma in più per battuta…) Un crescendo orchestrale porta a concludere l’esposizione dei temi ed alla loro ripresa variata, tornando a FA maggiore.

4’45” Tema-A; 4’55” Tema-B; 5’08” Tema-C; 5’21” Tema-E; 5’45” Tema-F e crescendo ad un climax; 6’21” Tema-A contrappuntato dal Tema-G (ora in FA) e colossale crescendo del Tema-G fino ad un nuovo climax.

6’51” Inizio della Coda (Tema-A); 7’08” Stretta finale.

25 giugno, 2023

A Ravenna ancora malmessa tiene duro il Festival

Lo stato della pianura attorno a Ravenna è ancora ben lontano dalla normalità, mentre la politica litiga su chi debba occuparsi del problema… (se no, che italiani saremmo?)

Il Ravenna Festival sfida tutte le disgrazie e stoicamente procede nella sua programmazione. Ieri sera l’Orchestra Cherubini (del Maeschstre co-padrone di casa) ha tenuto un gran bel concerto, sotto la direzione del 49enne Julian Rachlin (austriaco di origini lituane, che alterna la bacchetta con gli archetti di violino e viola) e con la partecipazione di Yefim Bronfman, 65enne pianista uzbeko-israeliano-statunitense.

PalaDeAndré purtroppo occupato per non più di due terzi dei posti, già in partenza fortemente ridotti rispetto alla capienza nominale…  

Programma aperto da Rimski-Korsakov, con il suo breve Preludio dell’opera (del 1905) che narra della leggendaria Kitež, la città invisibile. La versione da concerto è un poco allungata rispetto a quella che apre l’opera: sono comunque poco più di 4 minuti (101 battute) di musica evocante il mistero della nebbia dorata che avvolge, rendendola invisibile e poi improvvisamente mostrandola agli occhi spaventati degli invasori tatari, la città divenuta simbolo della resistenza russa ai nemici orientali.
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Ecco poi Bronfman proporci quello che da molti è considerato (Imperatore permettendo) il più prezioso dei 5 concerti pianistici di Beethoven: il Quarto, in SOL maggiore. Lui passa per essere un demolitore di tastiere, perchè si dice usi il pianoforte come percussione… ma con questo Beethoven quasi dimesso e introverso ha mostrato quanto sia capace di leggerezza e trasparenza di suono, calcando un po’ la mano solo nella cadenza dell’Allegro moderato. Rachlin lo ha ben supportato, salvo qualche sporadico eccesso di volume, che si può perdonare, dato l’ambiente non proprio da auditorium del PalaDeAndré.

Poi Bronfman, acclamato dal pubblico, ha però tirato fuori le unghie con due bis garibaldini (qui siamo in zona…): il Rachmaninov dell’Op.23 n°5 e il rivoluzionario Chopin dello Studio n°12 Op.10.
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La serata si è chiusa sontuosamente con la tremenda (dal punto di vista di chi la deve suonare…) Quarta Sinfonia di CiajkovskiRachlin è da elogiare anche solo per aver diretto con la partitura appoggiata… nella sua memoria, il che testimonia della cura che le ha riservato.

La Cherubini dal canto suo ha mostrato di non temere prove impegnative come questa: qualche pecca, soprattutto in alcuni non perfetti impasti di suono fra le sezioni, nulla toglie ai meriti di questi ragazzi, accolti con grande calore dal loro pubblico di casa.

18 novembre, 2022

laVerdi 22-23. 6

Conclusa a suon di trionfi la tournée ispano-olandese, l’Orchestra Sinfonica di Milano torna in Auditorium con un programma franco-russo di fine ‘800 – primi ‘900. Per la prima volta sul podio di Largo Mahler sale il figlio d’arte Emmanuel Tjeknavorian, 27enne austro-armeno nato violinista ma - seguendo le orme del padre Loris - ormai avviato stabilmente sulla strada della Direzione.

La prima sezione del concerto è tutta francese, aperta da Pavane pur une infante défunte di Maurice Ravel. Il quale, per negare al brano stretti riferimenti programmatici, ebbe a spiegare minimalisticamente e con tono dissacrante l’origine del titolo come un semplice gioco di parole, un esercizio di allitterazione (fante-funte): in realtà il minuscolo brano (6 minuti scarsi) composto nel 1899, divenne subito notissimo, tanto che 10 anni più tardi Ravel lo orchestrò da par suo (compiendo il percorso inverso rispetto a Fauré, la cui Pavane nacque per orchestra e fu poi down-gradata per la tastiera). Ed è nella versione orchestrata che ascoltiamo il brano in queste tre serate.

La struttura è di rondo assai semplice (A-B-A-C-A) di 72 battute totali, così organizzato:

A - Refrain (7+5=12 battute);

B – Couplet-1 (7+8=15 battute);

A - Refrain (12 battute);

C – Couplet-2 (10x2=20 battute);

A - Refrain (12+1 battute).

Ne si può facilmente scoprire l’impianto in questa registrazione di Alexander Tharaud al pianoforte.    

Il ritornello A (SOL maggiore, con inflessioni modali e frequente appoggio sulla sesta) è inizialmente esposto a partire dal SOL centrale. Si compone di due frasi delicate, accompagnate nella mano sinistra in atmosfera assai rarefatta e discreta.

Segue (1’08”) il primo episodio (B) che presenta un motivo più risoluto, fatto di accordi di 4 o 3 note, con note lunghe nella mano sinistra; motivo che viene ripetuto.

Il ritornello (A) viene ora esposto (2’25”) un’ottava sopra rispetto all’esordio e con accompagnamento un po’ più corposo.

Il secondo episodio (C, in SOL minore, a 3’29”) è ancora più mosso del primo e come questo prevede la ripetizione del tema.

Ultima apparizione (5’14”) del ritornello (A) dalla stessa altezza della seconda, ma con accompagnamento assai mosso e ondeggiante, che poi si stempera in una presa di respiro (pp) cui segue la conclusione decisa (ff).

Nella versione orchestrata (qui Ormandy con la Philadelphia) le diverse sfumature sopra descritte vengono realizzate e moltiplicate attraverso un sapiente (proprio… raveliano) impiego dei colori orchestrali: il ritornello è aperto dal corno, poi nella successiva apparizione (2’07”) lo troviamo esposto dagli strumentini e nell’ultima (4’29”) da violini e flauti, poi clarinetti, con l’arpa che accompagna in arabeschi. Il primo episodio (58”) è affidato all’oboe, poi ripetuto dai violini; il secondo (3’05”) al flauto, raggiunto poi dall’intera orchestra. L’arpa fa il suo timido ingresso in chiusura del primo ritornello, poi il suo contributo prenderà via via corpo, fino ad essere protagonista nel terzo e ultimo.

Come si vede, gli strumentini e l’arpa hanno qui un ruolo chiave, e gli alfieri de laVerdi (Manachino, Greci, Ghiazza e Piva, più il corno magico di Amatulli) non hanno tradito la loro fama, giustamente ovazionati alla fine, insieme all’intero complesso e al Direttore.
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A seguire ecco Claude Debussy con i tre schizzi sinfonici intitolati La Mèr. Venuta alla luce all’inizio del ‘900, quando Strauss aveva appena chiuso la sua gloriosa stagione dei Tondichtungen, la composizione di Debussy, con tanto di titolo e soprattutto di tre ben specifici sottotitoli riferiti al mare, venne immaginata da pubblico e critica come un poema sinfonico in piena regola. Dopodichè, andandola ad ascoltare con questo pregiudizio, pochi ci sentirono davvero il mare e così la considerarono un mezzo fallimento. E a poco valsero le imbarazzate e un po’ piccate spiegazioni dell’Autore, che invitava a godere di quella musica dimenticandone gli specifici riferimenti acquatici: ma allora perché non intitolarla semplicemente Tre schizzi sinfonici… sul tipo di Ouverture, Scherzo und Finale di schumanniana memoria?

Poi però nel giro di pochi anni (dalla sofferta prima del 1905 alla ripresa, diretta dall’Autore, del 1909) il tempo ha fatto piena giustizia, sia delle critiche, che di titolo e sottotitoli! E l’opera è entrata di diritto fra quelle più innovative ed ammirate del secolo scorso. E la sua fama ha finito anche, paradossalmente, per portare i critici a rivalutarne persino il programma extra-musicale! Perché – in barba a dotte analisi musicali - non ci vuol molto, semplicemente ascoltandola, ad immaginare onde che si infrangono sugli scogli, o la risacca che accarezza la sabbia, o un improvviso mulinello di vento che si forma sul mare e si disperde in pochi attimi. (Però, senza troppa fatica e con un minimo di immaginazione, potremmo invece sentirci atmosfere di montagna – stormire di fronde, svolazzi di stormi di passeri, cascatelle e rigagnoli, veloci passaggi di nuvole… - perchè no!)

Insomma, un’opera affascinante, che affascina proprio per l’inafferrabilità delle sue forme e la perenne mutazione armonica delle sue atmosfere, con i motivi che sgorgano l’uno dall’altro senza apparenti legami di causa-effetto, ma che hanno un… effetto straordinario sulla nostra percezione.

Tjeknavorian dirige con gesto a volte fin troppo scolastico, nella scansione delle battute, ma evidentemente efficace, visto l’eccellente risultato dell’esecuzione, accolta con favore dal pubblico non… oceanico dell’Auditorium. 
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La serata si è chiusa con la celeberrima Sheherazade di Rimski, che Tjeknavorian ha scelto come primo brano da incidere su CD in veste di Direttore, con l’Orchestra Tonkunstler: e si deduce che l’abbia studiata a lungo, se ha fatto rimuovere il leggio e ha diretto a memoria! Qui ha poi il vantaggio di trovare una compagine che lo conosce come le sue tasche e una spalla (Santaniello) che non ha rivali nel sapersi calare nelle… corde della principessa!

Per carità, non vorrei essere frainteso: non sto insinuando che il giovine armeno si sia limitato a seguire col gesto i suoni emessi in totale autosufficienza dai ragazzi de laVerdi… Diciamo che non gli è stato difficile fare una bella figura, e la simpatia con la quale gli stessi orchestrali lo hanno salutato alla fine dimostra che il ragazzo deve pur avere qualche interessante qualità. Il futuro è tutto dalla sua parte.

29 giugno, 2022

Ravenna stregata da Iván Fischer

Ieri sera l’immenso Pala DeAndré – ma con capienza ridotta rispetto al passato - ha ospitato la prestigiosa Budapest Festival Orchestra, guidata dal suo fondatore Iván Fischer, per un concerto di quelli davvero tosti. 

La Budapest fu immaginata (quasi 40 anni fa) da Fischer su basi innovative: invece di un insieme di professionisti agli ordini del Direttore che esprime (e impone magari) la sua volontà, è un gruppo di interpreti ciascuno dei quali porta all’esecuzione la sua propria sensibilità e il suo gusto: un po’ come nel teatro (o nel cinema) dove c’è un regista che cerca (perché vuole o deve) trarre il massimo dalle specifiche qualità di ciascun interprete.

Orbene, come tutto ciò non si traduca in totale anarchia e disordine, ma produca risultati a dir poco mirabili è il miracolo che Fischer riesce a ripetere ad ogni concerto, e che si è puntualmente ripetuto anche ieri.  

Concerto che presentava nella prima parte la Terza di Johannes Brahms (qui una recente incisione, che bene esalta il rigoroso approccio interpretativo del direttore magiaro e dei suoi professori). Grande portamento e seriosità nell’iniziale Allegro con brio; serena contemplazione nel variegato Andante; crepuscolare e pudica la visione del celeberrimo Allegretto; perfetto l’equilibrio del multiforme Allegro conclusivo, con il suo sotterraneo agitarsi, la sua eroica perorazione e il ritorno finale all’atmosfera dell’inizio della sinfonia, degradante verso la sognante conclusione.

Un difetto in tutto ciò? Sì, quello di averci risparmiato il da-capo dell’esposizione nel movimento iniziale!  

Poi ecco la straordinaria Scheherazade di Rimski, interpretata dal… violino di Tamàs Major. Qui è davvero il festival dei colori, del rubato, delle mille e una sfaccettature di cui il mago Rimski ha infercito e arricchito questo autentico gioiello. E qui davvero sono emerse le caratteristiche somatiche dell’Orchestra, dove le parti solistiche (primo violino a parte) abbondano e dove tutti, dai corni al fagotto all’arpa, ma proprio tutti si sono messi in luce.

Meritatissimi gli applausi e le ovazioni che hanno salutato la Principessa che si infila languidamente, senza tema di… ritorsioni, sotto le lenzuola accanto al Sultano, ormai neutralizzato.

E il successo clamoroso è ripagato da due bis, chiusi dal Brahms della Danza ungherese n°6.

16 marzo, 2019

laVerdi 18-19 - Concerto n°21


La seconda delle tre apparizioni stagionali del Direttore residente de laVerdi ha per oggetto un concerto di musiche nate a cavallo fra ‘800 e ‘900 (1888 - 1897 - 1911). Si tratta di tre lavori che traggono ispirazione da opere letterarie di diversa natura ed origine, tutte però con qualche riferimento a maghi e magie assortite.

Auditorium ancora pieno come un uovo, con folta rappresentanza di... minorenni, il che non può non salutarsi con grande piacere. E Bignamini&C hanno fatto del loro meglio per accontentare questo loro pubblico di ammiratori.      

L’apertura del concerto è riservata a Paul Dukas e al suo Apprenti Sorcier, composto nel 1897 e ispiratogli da una simpatica poesiola di Goethe. Solo un paio d’anni prima Richard Strauss aveva sfornato il suo Till, nel quale pare di scorgere (in grande, effettivamente, e non solo per la durata quasi doppia) il modello di questo poemetto sinfonico (scherzo lo battezzò l’autore) che a noi nati nel ‘900 fu reso famoso dalla sua presenza (arrangiamento di Stokowski) nel celeberrimo Fantasia di Disney (credo di averlo visto, al cinema dell’oratorio parrocchiale, alla tenera età di 6 anni, quando DeGasperi aveva da poco vinto le elezioni del ’48!)

A chi fosse interessato a conoscere i segreti del brano, solo apparentemente leggero e superficiale, consiglio la lettura di questo saggio del valente Christian Frattima, oltre a suggerire una pregevole esecuzione del 1961 di Pierre Monteaux con la London Symphony.

Bignamini, che mette tutto a memoria (provate a fare il conto di quante pagine di partitura d’orchestra si è immagazzinato nel cervello per questo concerto... vien da pensare che il suo sia un hard-disk nel quale a lui basta fare il download di qualche pdf dal computer!) ha condotto i suoi ex-compagni con una calma e una sicurezza che testimoniano del perfetto affiatamento che ancora ha con loro. E ciò vale per tutti i tre brani in programma.
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Ecco poi la versione tarda (1947) delle musiche del balletto Petruska che Igor Stravinski compose originariamente nel 1911 e del quale il citato Pierre Monteaux diresse la prima parigina. Va detto che la versione proposta da Bignamini si differenzia dall’originale quasi esclusivamente per l’orchestrazione più leggera (e la compagine ridotta) ma ne conserva intatta la struttura, oltre che la freschezza e la verve. Il Direttore sceglie per il finale la forma abbreviata, prevista da Stravinski per le esecuzioni concertistiche, quella che chiude l’opera sulla festa di popolo, tagliando la morte di Petruska e la vergognosa uscita di scena del Mago. 

Reitero qui una segnalazione già fatta parecchi anni fa di una benemerita iniziativa tedesca che ha avuto come oggetto il lavoro di Stravinski: una vera miniera d’oro per chi abbia voglia (e tempo...) di approfondire la conoscenza di Petruska e del suo autore. 

Propongo poi in appendice al post un bigino dell’opera, appoggiandomi a questa interpretazione di Jansons con l’Orchestra del Concertgebouw.

Tornando a ieri, strepitosa prestazione di tutti, salutata da ovazioni per Direttore e strumentisti, molti di loro chiamati a interventi squisitamente solistici e perciò ancor più apprezzabili.
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Dopo l’intervallo e a chiudere il concerto, un altro pezzo forte del repertorio dell’Orchestra, la Shéhérazade di Nicolai Rimski-Korsakov, del 1888. Questa volta il ruolo della principessa che incanta il sultano cattivone, spegnendone gli istinti omicidi, è affidato ad un altro Nicolai (Freiherr von Dellingshausen) che siede sulla sedia della spalla e deve quindi suonare le diverse parti solistiche che evocano i racconti della bella quanto astuta Shéherazade. Devo dire che non ha per nulla fatto rimpiangere Luca Santaniello (ieri seduto alle sue spalle) che fino ad oggi aveva di diritto impersonato quel ruolo.

Dopo un rigorosissimo Stravinski, Bignamini si è scatenato con un’interpretazione personalissima del lavoro di Rimski, non risparmiandosi rubati, cambi di tempo e di dinamica, magari al limite del... regolamento, ma di un’efficacia straordinaria. Memorabile, all’interno di una lettura da incorniciare, l’Andantino quasi allegretto, diretto senza bacchetta (appoggiata sul leggio di... Scarpolini): un vero diamante in un vaso di perle!

Alla fine pubblico entusiasta e trionfo per tutti.   
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Petruska

I passaggi descritti corrispondono alle indicazioni didascaliche sulla partitura.

Quadro I - La fiera di Shrovetide a Pietroburgo.

Siamo nella settimana grassa e la fiera è affollata da gente di ogni tipo: il flauto imita le grida dei venditori e l’orchestra il tumulto generale.

55” Ecco passare un gruppo di festaioli già ubriachi che ballano in modo sgangherato.

1’26” Il maestro di cerimonie attira l’attenzione dei passanti da sopra il suo banchetto; poi torna il tumulto della festa.

1’46” Un suonatore d’organetto arriva con una danzatrice.

2’08” L’organetto comincia a suonare.

2’26” la danzatrice balla accompagnandosi con il triangolo (canzonetta francese Elle avait une jambe de bois) mentre il suonatore d’organetto con una mano gira la manovella e con l’altra suona la trombetta.

2’50” Poco distante da lì un’altra ballerina danza sulla musica che esce da un carillon.

3’17” Tornano la prima danzatrice con il triangolo e il suonatore d’organetto con la trombetta.

3’33” Organetto e carillon tacciono improvvisamente: è il maestro di cerimonie che riprende il centro dell’attenzione con la sua parlantina, poi si riode il tumulto della piazza.

3’56” Ripassano gli allegri buontemponi; quindi ancora il chiasso della festa.

5’24” Due tamburini si piantano davanti al teatrino, attirando l’attenzione dei passanti con il rullo dei loro strumenti. All’interno del teatrino appare il vecchio mago.

6’00” Il mago suona il suo flauto magico.

6’41” Si apre il sipario del teatrino e compaiono tre marionette: Petruska, il Moro e la Ballerina.

7’11 Il mago anima le tre marionette toccandole col suo flauto magico. E loro si mettono a danzare la lunga e variata Danza russa, lasciando stupefatta la folla circostante.

10’02 Buio improvviso, cala il sipario. Lungo rullo di tamburo.

Quadro II - Nella stanza di Petruska.

Dal mondo reale si passa ora a quello virtuale: questo e il successivo quadro sono infatti incentrati sul rapporto fra le tre marionette, un triangolo che ricorda quello dei pagliacci del teatro dell’arte (Arlecchino t’invola Colombina... canta Canio, protagonista del triangolo con Nedda e Silvio) a sua volta mutuato però da tutti i triangoli che si materializzano nel mondo reale.

10’17 Petruska viene scaraventato in scena con un calcio.

11’21 Petruska esterna tutta la sua rabbia.

13’00 Arriva la Ballerina.

13’27 La Ballerina se ne va arrabbiata con Petruska.

14’16 Petruska resta solo e disperato. Un gran rullare di tamburi introduce il quadro successivo.

Quadro III - Nella stanza del Moro.

14’48 Atmosfera minacciosa.

15’45Il Moro comincia a ballare, sempre in uno scenario lugubre.

17’43 Arriva la Ballerina. Gran rullo di tamburi.

17’50 La Ballerina danza allegramente per il Moro, accompagnata da una trombetta. Poi si prepara a ballare con lui.

18’29 La Ballerina e il Moro danzano un walzer in due sezioni, tratte da lavori di Josef Lanner. Prima parte Lento cantabile, accompagnata da trombetta e flauto, con sottofondo del fagotto (da Steyrische tänze, qui a 1’27”). Poi (19’12) Allegretto (da Die Schönbrunner, qui a 5’22”). Da 20’05” riprende il tempo lento.

20’40” Moro e Ballerina rizzano le orecchie: sta arrivando Petruska!

21’01” Moro e Petruska si azzuffano. La Ballerina sviene.

21’33” il Moro sbatte fuori Petruska. Buio.

Quadro IV - La fiera di Shrovetide al tramonto.

21’41” Siamo tornati nel mondo degli uomini: la festa continua ormai da ore e ore. Introduzione con lungo rullo di tamburo e poi la solita animazione nella piazza.

22’47” Arrivano le balie e si mettono a ballare una lunga danza, con diversi motivi popolari.

25’24” Irrompe sulla scena anche un contadino con un orso. Fuggi-fuggi generale. Il contadino suona il suo piffero e l’orso balla sulle zampe posteriori. Poco dopo contadino ed orso se ne vanno e torna l’animazione nella piazza.

26’56” Ora un mercante festaiolo arriva con due zingare. Si diverte gettando banconote alla folla.

27’11” Le zingare ballano mentre il mercante suona la fisarmonica.

28’01” Mercante e zingare se ne vanno, sostituiti (28’07”) dal sopraggiungere di cocchieri e stallieri che cominciano a ballare.

29’09” Le balie (sul loro tema di poco prima) ballano con cocchieri e stallieri.

30’12” Arrivano anche i mimi. Quello che incarna la morte (30’32”) spinge la folla a danzare con lui.

30’46” Ecco ora una buffonata dei mimi (protagonisti capra e maiale).

31’11” Mimi e maschere danzano insieme. Tutta la gente (31’22”) si unisce alle loro danze. (Qui finisce - opzionalmente - la versione per concerto.)

31’48” Tutti continuano a ballare, mentre si odono grida dal teatrino delle marionette.

31’56” I balli cessano. Petruska corre fuori dal teatrino, inseguito dal Moro, che la Ballerina cerca di trattenere

32’16” Il Moro inferocito acchiappa Petruska e lo colpisce con la sua sciabola. Petruska cade con la testa fracassata e una folla si assiepa attorno alla marionetta.

32’48” Petruska muore, fra gemiti e lamenti. Una guardia va a rintracciare il mago. Il quale (33’26”) arriva, raccoglie e scuote la salma di Petruska.

34’10” La folla si disperde e il mago, restato solo in scena, trascina Petruska verso il teatrino.

34’39” Sopra il teatrino appare lo spettro di Petruska, minaccioso, che sporge il suo naso verso il mago. Il quale, terrorizzato, lascia cadere il fantoccio e se ne va rapidamente, gettando occhiate impaurite dietro le spalle.
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22 febbraio, 2019

La Chovanščina in arrivo alla Scala (4)


Dopo aver fatto la conoscenza con l’integrale dell’opera nella versione-Shostakovich, e prima di dare una scorsa a quella tradizionale di Rimski, prendiamo in considerazione le esecuzioni di due direttori che, come si dice in gergo, hanno lasciato il segno nella storia interpretativa dell’opera così come strumentata e completata dal grande Dimitri. Cercherò di essere il più asettico possibile, limitando al minimo personali giudizi sulle diverse (in alcuni casi diversissime) scelte dei due direttori. Ripropongo il riferimento al libretto multi-uso, che può facilitare l’ascolto, specie in presenza di tagli al testo.

Cominciamo - se non altro perchè sarà lui sul podio del Piermarini dal 27/2 - da Valery Gergiev che è da anni (almeno dal 1991, anno di uscita della sua prima incisione) un campione di questa versione, da lui già diretta alla Scala quasi 21 anni orsono.

É possibile oggi seguire in rete (con video) una sua (relativamente) recente produzione (2012) al teatro Marinski di SanPietroburgo. A parte le immancabili piccole divergenze di carattere interpretativo, questa esecuzione di Gergiev si differenzia dalla versione adottata in alcuni particolari. Il primo è di scarsa importanza: verso la fine del primo atto, allorquando Ivan Chovanskij comanda agli Strelcy di rientrare al Kremlino (si è udita una fanfara di trombe) Gergiev inserisce (da 48’30” a 48’54” della registrazione) subito prima dell’ultima invocazione di Dosifej, 12 battute di soli strombazzamenti (inesistenti in Lamm e Shostakovich) prese di peso dalla partitura di Rimski. Non è escluso che questa scelta sia stata suggerita da esigenze puramente registiche (accompagnare il corteo degli Strelcy che esce di scena); l‘inserimento è presente anche nell’edizione CD del 1991.

Altra deviazione da Shostakovich è il finale dell’Atto II: Gergiev ignora la trionfalistica fanfara di zar Pietro e si limita ad un colpo di tam-tam, facendo poi tenere (1h32’20”) agli archi il RE (su cui Šaklovityj aveva chiuso il suo intervento) in dissolvenza. Una scelta abbastanza vicina alle intenzioni dell’Autore, e anche - come vedremo - a quella di Abbado.

Gergiev poi taglia (in questa occasione, ma non nella registrazione del 1991) la filastrocca di Kuzka, accompagnata da Strelcy e mogli, dell’atto terzo: a 2h01’44” salta direttamente all’arrivo dello scrivano (questo è uno dei tanti tagli di Rimski).   

E infine ecco la differenza, questa sostanziale, che riguarda il finale dell’opera. Come si può constatare, Gergiev segue fedelmente Shostakovich (in realtà... Rimski, come abbiamo visto in una precedente puntata, esaminando i diversi finali) fino alla perorazione del coro dei raskolniki, seguita dalle invocazioni di Marfa, Andrej e Dosifej (3h15’18”). A questo punto però, invece della sequenza prevista da Shostakovich (marcia delle truppe di Pietro + motivo della foresta + coro dei moscoviti + alba sulla Moscova) il Direttore russo fa semplicemente ripetere alla sola orchestra il tema del coro, chiudendo (3h15’54”) con un lungo accordo tenuto di LAb minore. Una soluzione quindi che sconfessa Shostakovich, mentre si avvicina un pochino a quella di Stravinski, che osserveremo in dettaglio ascoltando l’esecuzione di Abbado: insieme a quest’ultima, è la soluzione per il finale che forse meglio interpreta ciò che l’Autore aveva affermato di voler realizzare. 
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E a proposito di Abbado, ha fatto storia la sua interpretazione del 1989 a Vienna, di cui esistono in rete almeno due riprese dal vivo in date diverse, con cast leggermente ma significativamente diversi. La prima è stata trasmessa in video; la seconda è incisa su CD. La base è sostanzialmente costituita dalla versione-Shostakovich, ma con alcuni tagli e soprattutto con il finale mutuato da quello composto nel lontano 1913 da Igor Stravinski (per Diaghilev). Le considerazioni (e i riferimenti temporali) che seguono si riferiscono alla versione CD.

Una prima constatazione riguarda la durata netta dell’intera opera: 2h50’. Rispetto a quella dell’edizione integrale (3h18’ sia per Tchakarov-1986 che per Gergiev-1991) ci sono ben 28 minuti di differenza! Il che ovviamente porta subito a concludere che Abbado abbia tagliato parecchio!

Una delle ragioni, diciamo così, programmatiche, dei tagli è stata esposta dallo stesso Abbado, che li ha giustificati (ma non tutti...) con il desiderio di rispettare la presunta volontà di Musorgski, deducibile dalle cancellature rinvenute sui suoi manoscritti e dalle parti di testo mancanti nel quaderno blu; tutto materiale che Lamm (e Shostakovich con lui) hanno invece tenuto in vita. Si tenga presente che la quasi totalità dei tagli di Abbado è mutuata da Rimski. Vediamo però più in dettaglio.

Primo atto. A 11’46” vengono omessi alcuni versi cantati da Šaklovityj, effettivamente pleonastici: una parte cancellata (da mano ignota) anche sul manoscritto.

A 13’54” c’è un piccolo taglio nel dialogo fra Šaklovityj e scrivano, anche questo di versi pleonastici, cancellati anche sul manoscritto. 

A 20’27” troviamo un taglio più sostanzioso, che elimina una parte del battibecco fra i moscoviti e lo scrivano; effettivamente è anche questo un passaggio pleonastico, che fra l’altro lo stesso Musorgski non riportò nel quaderno blu.

A 35’08” ecco un piccolo ma significativo taglio, nel corso del terzetto Emma-Marfa-Andrej: taglio che elimina una velata minaccia di Marfa ad Andrej, che ha un momento di paura. Tuttavia si tratta di una delle cancellature apportate sul manoscritto verosimilmente dallo stesso Autore.

Il secondo atto è quello che Abbado ha sfrondato di più (almeno un quarto d’ora di musica).

La prima grossa sforbiciata (49’50”, mutuata da Rimski) inizia con la lettura da parte di Golicyn della lettera della madre (Abbado salva pochi versi conclusivi). Il taglio ci priva del primo apparire del tema trionfante della casata di Golicyn, tema che ci viene negato anche subito dopo, a causa della cassazione totale dell’incontro tra Golicyn e il Pastore luterano (il che purtroppo ci impedisce anche di farci un’idea più precisa della personalità del principe). Abbado ha qui la scusante della mancanza di questa scena nel famoso quaderno blu, ma francamente mi pare che questo taglio presenti più contro che pro. Si passa quindi direttamente al momento in cui Varsonofev annuncia l’arrivo di Marfa.

A 1h00’21” abbiamo un piccolo taglio (mutuato sempre da Rimski) durante il battibecco fra Golicyn e Chovanskij, che ci fa sfuggire uno dei motivi di rancore del capo degli Strelcy verso il consigliere della zarevna: accusato di aver manipolato le decisioni della Duma!

Altro taglio, più o meno significativo, a 1h03’22”: Dosifej, appena arrivato, rivela di essere stato principe, prima di convertirsi all’apostolato come guida spirituale dei Vecchi Credenti. È un taglio di Rimski, e per pochi versi finali è anche una mancanza nel quaderno blu.

Ci sono infine due tagli (sempre da Rimski) che riguardano aspetti non proprio trascurabili della personalità e della storia di Chovanskij: il primo si trova a 1h04’36”: laddove Chovanskij si propone in sostanza come nuovo capo del governo, impiegando i suoi Strelcy per arrivare al potere su Mosca e sulla Russia. Il secondo (minuscolo e quasi impercettibile) si incontra a 1h07’14”: è Chovanskij che ricorda a Dosifej di averlo già in passato aiutato con idee, uomini e mezzi.

Si è già detto, trattando dei finali d’atto incompleti, come Abbado abbia di sua iniziativa ignorato la versione di Shostakovich, anticipando qui (1h11’20”) cinque battute della fine del terz’atto.

Nel quale atto terzo notiamo come Abbado abbia impiegato, per la canzone di Marfa (1h15’15”) la versione originariamente orchestrata da Musorgski (accompagnamento di archi, mentre Shostakovich aveva fatto di testa sua, accompagnando con i fiati). Poi troviamo a 1h20’45” il primo dei due tagli personali (cioè non mutuati da Rimski) di Abbado: è una piccola parte dello scontro fra Marfa e Susanna, e contiene un frase appena-appena osé: non può certo essere questa la ragione del taglio... bisognerebbe chiederlo ad Abbado!         

Per il resto, solo un altro piccolo taglio (1h24’27”, giustificato dall’assenza dei versi nel quaderno blu) di parte dello scambio di battute fra Dosifej e Susanna. Effettivamente non si tratta di cosa grave.

Nel quarto atto c’è solo da segnalare la Danza delle persiane, dove Abbado sembra fare un mix fra l’orchestrazione di Rimski (vedi impiego delle arpe) e quella di Shostakovich (esempio: la cadenza finale con scoppiettanti interventi delle percussioni).

Nel quinto atto troviamo il secondo e ultimo (e minuscolo) taglio personale di Abbado (2h36’04”): sono i primi versi dell’esternazione di Marfa, che manifesta il suo dolore per l’abbandono di cui Andrej l’ha fatta oggetto.

Ed eccoci ora arrivati al cuore della scelta drammaturgica di Abbado: il finale dell’opera. Si è già sommariamente descritto l’approccio del Direttore, consistente nell’adozione della versione 1913 di Stravinski. Seguiamo ora la musica in dettaglio, a partire dal momento (2h45’04”) in cui Marfa accende il rogo, sull’accordo di MIb maggiore che ha chiuso l’invocazione di Dosifej e fedeli dopo quella strabiliante discesa cromatica: questo è chiaramente riconoscibile come il punto dal quale la soluzione Abbado(-Stravinski) che fin lì aveva seguito sostanzialmente quella di Shostakovich(-Rimski) se ne distacca nettamente.    

E se ne distacca anche dal punto di vista della complessità dell’impianto, che sarebbe stata del tutto impensabile da parte di Musorgski, e ancor meno da parte di Rimski; lo stesso Shostakovich (arrivato 45 anni dopo Stravinski) si è ben guardato dall’introdurre nel suo finale (come nel resto dell’opera) soluzioni tanto brillanti quanto lontane dallo scenario in cui l’opera prese vita. Dopodichè non sorprende che un musicista orientato al ‘900 come Abbado si sia letteralmente innamorato di quel finale! Che - lo ammise lui stesso - è puro Stravinski, quindi nulla a che vedere con Musorgski, del quale impiega peraltro genialmente le note... (Curiosità: Stravinski enarmonicamente adotta notazioni con i diesis al posto di quelle con i bemolle usate sempre da Musorgski.)

Il coro inizia a cappella (come previsto da Musorgski) con la frase musicale dell’Autore, ma subito (2h45’22”) Stravinski introduce una nuova frase composta intrecciando il motivo scelto da Musorgski con l’altro (parte anch’esso del corale popolare fornito dalla Karmalina) che l’Autore aveva ignorato. Il tema completo di Musorgski viene esposto con accompagnamento orchestrale a 2h45’48”, e alla conclusione (2h46’15”) ecco il tema della foresta (inizio atto V) che finora era rimasto in sottofondo, uscire allo scoperto in funzione di interludio, seguito (2h46’30”) da una sequenza discendente del coro, di pura mano di Stravinski.

A 2h46’51” è Dosifej da solo a cantare il primo verso; gli rispondono (2h47’09”) Andrej e i raskolniki (RE# minore, come dire... MIb) e in sottofondo, nei bassi, si ode distintamente il tema cantato dai Monaci alla fine del secondo e poi all’inizio del terzo atto (un bell’esempio di politonalità, non c’è che dire). La cosa si ripete: 2h47’28” Dosifej e 2h47’42” Andrej e fedeli (SOL#=LAb). Un ultimo intervento del coro e dei solisti (2h47’56”) porta alla chiusa (2h48’23”) in dissolvenza, sostenuta da un insistente pedale acuto di RE# e LA#, accompagnato da cupi rintocchi di campana.
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Da ultimo ascoltiamo l’opera come apparve per la prima volta in scena nel 1886 e come è stata ovunque rappresentata fino alla metà (come minimo) del secolo scorso: la versione di Rimski, che per più di mezzo secolo è stata l’unica disponibile sul mercato. Sappiamo che Rimski, oltre a creare l’orchestrazione (del tutto o quasi assente nei manoscritti di Musorgski) aveva anche apportato pesanti modifiche all’originale, consistenti in ampi tagli e in interventi sia su melodia che su armonia. Seguiamone quindi sommariamente i contenuti ascoltando questa edizione storica del Bolshoj del 1946.

Preludio: nella chiusa (3’28”) la tonalità, dal precedente FA#, anzichè a LAb è trasposta alla sottodominante REb.

Primo atto: nella prima scena (Kuzka e due Strelcy) a 6’50” troviamo un piccolo taglio (Kuzka manda al diavolo i commilitoni). Poi, a 8’09” sono omesse poche battute di dialogo all’arrivo di Šaklovityj presso lo scrivano. A 10’56” è omessa la prima parte della dettatura di Šaklovityj (cancellata sul manoscritto di Musorgski). Piccolissimo taglio a 13’03”, parte pure cancellata sul manoscritto. Idem a 13’32”.

A 15’12” ecco il proditorio (davvero) taglio di tutta la lunga scena che coinvolge scrivano e moscoviti. Soltanto una piccola parte di essa si giustificherebbe con l’assenza dal quaderno blu. Veniamo così privati di una fondamentale componente dello scenario dell’opera, quella che descrive la condizione di vita del popolo russo. Inoltre, la scena che segue - il tripudio popolare in attesa di Ivan Chovanskij - è stata da Rimski pesantemente modificata nella linea musicale e pure nel testo. Poco dopo (coro di lode, 19’45”) ecco altri interventi di Rimski, che aggiunge delle ripetizioni (il numero di battute raddoppia!) e alcuni incisi musicali di sua invenzione.

All’arrivo di Emma, piccolo taglio (22’29”) di un botta-e-risposta fra la ragazza e Andrej. Subito dopo (23’26”) un taglio che ci priva dell’offerta di Andrej di fare di Emma la zarina! Ancora tagli piccolissimi nel seguito (23’44”, minaccia di Andrej di usare la forza). E poi (24’45”) tagliata una parte dell’intervento di Marfa a proteggere Emma. E poi altro taglio (25’08”, è una cancellatura nel manoscritto) dove Marfa chiede ad Andrej se ha dimenticato il giuramento fatto in passato e lancia una velata minaccia di denunciarlo: qui viene a mancare la prima comparsa del tema dell’amore perduto di Marfa. Modifiche anche alle tonalità del canto di Marfa e Andrej. Ultimo piccolissimo taglio a 27’51”, allorquando Andrej sfida gli Strelcy. 

Dopo l’arrivo di Dosifej e il suo accorato appello, a 34’01” Rimski aggiunge all’originale alcune battute, reiterando la fanfara degli Strelcy per accompagnarne il corteo che si muove verso il Kremlino. Un’ultima, microscopica ma significativa modifica all’originale: a 36’43” Dosifej chiude il suo invito ai fedeli - a rinunciare a questo mondo - con una terza minore discendente (RE-SI) al posto della terza maggiore (RE#-SI) dell’originale. 

Secondo atto: dopo che Golicyn ha letto la focosa quanto erotica missiva della zarevna, ecco il primo gigantesco taglio (42’33”): se ne vanno la lettura della lettera della madre e l’intera scena dell’incontro con il Pastore protestante (questa manca per la verità nel quaderno blu). Si arriva quindi direttamente alla scena con Marfa. La cui aria (quella della profezia, 44’33”) ha un’introduzione di Rimski, diversa dall’originale, oltre ad essere innalzata di un semitono (da DO a DO#) e ancora presentare tonalità diverse nel seguito (MI e SOL minore, anzichè LAb) e modifiche nell’accompagnamento. 

Dopo l’esternazione di Golicyn si arriva ad un paio di tagli abbastanza corposi, durante il battibecco fra il padrone di casa e il sopravvenuto Ivan Chovanskij. Il primo a 53’14”, quando Golicyn ricorda all’ospite come fu la Duma a varare le leggi che Chovanskij reputa lesive dei suoi diritti e privilegi. Il secondo (53’46”) quando Golicyn ricorda al suo ospite fatti che lo mettono in cattiva luce. 

Arriva Dosifej e qui c’è il lungo taglio (55’48”, solo in piccola parte giustificato dalla mancanza del testo nel quaderno blu) che riguarda il passato del santone. Poi (57’20”) altro taglio, dell’offerta di Chovanskij di fare un colpo di stato e salire al potere. Poco dopo, tagliato (58’03”) un breve battibecco fra Dosifej e Golicyn, accusato di comportamenti reprensibili. Tagliato anche (58’49”) il successivo battibecco fra Dosifej e Chovanskij, per cui si passa direttamente al canto dei Monaci Neri.

Arriva Marfa e una parte del suo racconto (1h01’37”) dell’aggressione subita è soppressa. Ecco poi Šaklovityj e il finale, che Rimski inventa (1h02’56”) riprendendo - in RE maggiore, dal preludio - il motivo dell’alba sulla Moscova.

Terzo atto: Rimski ristruttura il coro dei Monaci Neri (1h03’56”) apportando modifiche sia al testo che alla linea delle voci. Per la canzone di Marfa Rimski impiega la strumentazione di Musorgski, come si deduce dall’attacco degli archi (1h06’41”). Poi qualche modifica ai tempi.

Per lo scontro Marfa-Susanna (1h10’11”) Rimski adotta la versione accorciata (come nell’edizione di Lamm) ma introduce modifiche all’armonizzazione e alle tonalità (Marfa, 1h12’43”). Dopo l’arrivo di Dosifej ecco il taglio (1h15’54”, giustificato dalla mancanza del testo nel quaderno blu) dello scambio di battute fra il santone e Susanna. Piccolo taglio (1h18’04”) alla risposta di Marfa a Dosifej, dove la donna prevede sventure. Nell’aria di Šaklovityj troviamo due piccoli e ravvicinati tagli (1h25’01” e 1h25’25”) quando il boiaro ricorda le vicissitudini politiche della Russia.

Dopo l’ingresso in scena degli Strelcy e quindi delle rispettive mogli, ecco un altro macroscopico taglio (1h30’45”): l’intera scena della canzone di Kucka, accompagnata da Strelcy e mogli. Si passa direttamente all’arrivo dello scrivano. Piccolo taglio (1h31’33”) alle minacce degli Strelcy al povero malcapitato. Microscopico taglio (1h33’16”) ad un’esternazione delle mogli. Poi, nella scena finale con Kuzka, Strelcy e Ivan troviamo più che altro delle trasposizioni di tonalità.

Quarto atto, primo quadro: i due cori delle contadinelle appaiono variati nell’armonizzazione e nell’accompagnamento. Rimski identifica poi (1h43’26”) l’emissario di Golicyn (che per Musorgski è un tenore) con il suo assistente Varsonofev (che è però un basso) per cui ne deve abbassare la tessitura originale, oltre che alterarne l’accompagnamento.

La Danza persiana (1h45’07”) presenta due piccoli tagli (10 battute in tutto) e piccole differenze di armonizzazione. La canzone finale (1h54’14”) presenta pure differenze più o meno marcate di armonizzazione.

Quarto atto, secondo quadro: pochi gli interventi di Rimski sull’originale (accompagnamento, armonizzazioni). Durante l’appello di Dosifej, subito dopo un inciso di Marfa (2h01’18”) la frase di Dosifej alla donna è abbassata dal DO al SIb maggiore.

Per il resto sono da rilevare soltanto tre piccoli interventi. Dapprima un piccolo taglio sull’ultima esternazione di Marfa (2h08’50”) che cerca di tranquillizzare Andrej. Poi (2h09’41”) un’aggiunta (una battuta!) al coro delle mogli degli Strelcy. Infine (2h10’10”) un altro minuscolo taglio al coro degli Strelcy.

Quinto atto: l’introduzione strumentale viene accorciata della metà. Il primo intervento piuttosto corposo di Rimski riguarda l’esternazione iniziale di Dosifej: alla quale viene aggiunto di bel nuovo (2h18’25”) un altro appello ai fedeli di argomento, potremmo dire, politico. La musica impiegata qui a sostenere il testo di Rimski è la medesima che nel primo atto aveva accompagnato il richiamo dello stesso Dosifej.

Poi troviamo trasposizioni di tonalità nei cori dei fedeli, e una ristrutturazione dell’ultima parte del coro, con un taglio di implorazioni a 2h26’18”, che porta direttamente all’entrata di Marfa. A proposito della quale poco dopo (2h33’34”) troviamo l’aria che non figura nell’edizione di Lamm, ma che si è già visto come sia da considerare del tutto autentica.

Infine (2h37’01”) ecco le battute scritte da Rimski per evocare le lingue di fuoco, che introducono il coro finale in LAb minore, chiuso (2h38’16”) sulle esternazioni (aggiunte da Rimski) di Marfa, Andrej e Dosifej, prima del sopraggiungere delle truppe dello zar Pietro e della trionfalistica chiusura in modo maggiore.
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(4. fine.)