Ieri sera l’immenso Pala DeAndré – ma con capienza ridotta rispetto al passato - ha ospitato la prestigiosa Budapest Festival Orchestra, guidata dal suo fondatore Iván Fischer, per un concerto di quelli davvero tosti.
Orbene, come tutto ciò non si traduca in totale anarchia e disordine, ma produca risultati a dir poco mirabili è il miracolo che Fischer riesce a ripetere ad ogni concerto, e che si è puntualmente ripetuto anche ieri.
Concerto che presentava nella prima parte la Terza di Johannes Brahms (qui una recente incisione, che bene esalta il rigoroso approccio interpretativo del direttore magiaro e dei suoi professori). Grande portamento e seriosità nell’iniziale Allegro con brio; serena contemplazione nel variegato Andante; crepuscolare e pudica la visione del celeberrimo Allegretto; perfetto l’equilibrio del multiforme Allegro conclusivo, con il suo sotterraneo agitarsi, la sua eroica perorazione e il ritorno finale all’atmosfera dell’inizio della sinfonia, degradante verso la sognante conclusione.
Un difetto in tutto ciò? Sì, quello di averci risparmiato il da-capo dell’esposizione nel movimento iniziale!
Poi ecco la straordinaria Scheherazade di Rimski, interpretata dal… violino di Tamàs Major. Qui è davvero il festival dei colori, del rubato, delle mille e una sfaccettature di cui il mago Rimski ha infercito e arricchito questo autentico gioiello. E qui davvero sono emerse le caratteristiche somatiche dell’Orchestra, dove le parti solistiche (primo violino a parte) abbondano e dove tutti, dai corni al fagotto all’arpa, ma proprio tutti si sono messi in luce.
Meritatissimi gli applausi e le ovazioni che hanno salutato la Principessa che si infila languidamente, senza tema di… ritorsioni, sotto le lenzuola accanto al Sultano, ormai neutralizzato.
E il successo clamoroso è ripagato da due bis, chiusi dal Brahms della Danza ungherese n°6.
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