A partire dal 7
giugno La
Gioconda torna alla Scala per la quarta produzione dal
dopoguerra (le precedenti risalgono al ’48, ’52 e ’97).
È noto che le difficoltà di allestire Gioconda risiedono principalmente nella necessità di mettere insieme un cast vocale di quantità (oltre che qualità) assai robusta: si tratta di sei protagonisti e deuteragonisti che coprono altrettante (quindi tutte le) tessiture vocali, dal soprano al basso.
Toccherà al poliedrico 61enne Frédéric Chaslin concertare il cast che include nei sei ruoli principali: Saioa Hernandez (chiamata a sostituire l’indisposta Yoncheva) che ebbi l’occasione di udire nel ruolo di Gioconda nell’aprile del 2018 a ReggioE; Daniela Barcellona che torna alla Scala come Laura; Anna Maria Chiuri che impersona la Cieca (in passato ha cantato anche Laura...); Fabio Sartori (Enzo); Roberto Frontali (Barnaba) e il redivivo Erwin Schrott che sarà Alvise.
Oltre ai 4 comprimari (Beggi, Valerio, Pittari e Bussolini) si esibiranno i cori dei grandi e dei piccoli, diretti da Alberto Malazzi, mentre le coreografie per le Ore (ed altro) saranno affidate a Frédéric Olivieri e agli allievi dell’Accademia.
L’allestimento è affidato ad un ospite ormai quasi fisso nelle stagioni della Scala, Davide Livermore, coadiuvato dal suo team (Giò Forma, Mariana Fracasso, Antonio Castro e D-WOK) dai quali è lecito attendersi uno spettacolo di alto livello. In occasione della sua Tosca scaligera, il regista ne aveva rispettato quasi alla lettera l’ambientazione, sostenendo che la Roma dell’anno 1800 era troppo centrale per il soggetto da non poter sopportare mutamenti di luogo e tempo. Beh, lo stesso si potrebbe anche dire di Gioconda, tutta immersa nella Venezia del ‘600: staremo a vedere.
Miei commenti seguiranno dopo
ascolto-visione dal vivo. Per intanto ripropongo qui alcune
mie note sull’opera scritte originariamente quattro anni fa proprio in
occasione di una rappresentazione al Valli.
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