XIV

da prevosto a leone
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06 giugno, 2015

Orchestraverdi 14-15 – Concerto n° 37


Marius Stravinskij torna inaspettatamente sul podio dell’Auditorium per rimpiazzare il venerabile Aldo Ceccato in un concerto (quasi) interamente dedicato a Scriabin. Il quale sembrerebbe un nome che tira poco, a giudicare dagli ampi spazi vuoti dell’Auditorium.   

Ad aprire il programma è però la Russia di Campogrande (omaggio EXPO). Ciò che si riconosce dell’inno è una specie di parodia, forse di quelle che Putin impiegava come colonna sonora per le burlesque che organizzava nella sua dacia per Berlusconi (stra-smile!)

Si comincia a far sul serio con un altro aficionado de laVERDI, Benedetto Lupo, che si presenta a proporci il Concerto op.20. Che a prima vista parrebbe Rachmaninov innestato su Chopin, ma in realtà mostra la spiccata personalità di Scriabin, specie nel centrale Andante. Spesso è l’orchestra a dettare i temi, con il pianoforte che ci arabesca sopra in piena libertà. Lupo dà però il meglio nel conclusivo Allegro moderato, dove c’è più dialogo con l’orchestra: in particolare nella sezione cantabile, interpretata con grande sensibilità. Due bis dello stesso autore suggellano la sua pregevole prestazione.
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La seconda parte del concerto è la Terza sinfonia, sottotitolata Poema divino. In realtà di Sinfonia propriamente detta ha poco o nulla, la struttura essendo assai libera, una cosa fra il poema sinfonico e la fantasia, composta da un’Introduzione e tre episodi indicati come Luttes, Voluptés e Jeu divin.

Il programma filosofico dell’opera, steso dalla compagna del compositore (a posteriori, si noti bene) ci dice trattarsi del faticoso emanciparsi dell’uomo: dall’animalesco essere cavernicolo credulone in dèi antropomorfi, fino al superuomo di stampo nietzschiano, dio di sé medesimo. Evabbè. 

A testimoniare della pretenziosità della Sinfonia basterà citare alcune indicazioni di agogica e di espressione disseminate sulle pagine della partitura: divino, grandioso, mistico, con sconcerto e terrore, misterioso, tragico, più audace, trionfante, con tragico terrore, slancio gioioso, con impeto ed ebbrezza, venato, oppresso, con stanchezza e languore, romantico e leggendario, fiero e sempre più trionfante, mostruoso e terrificante, fosco, trafelato, voluttuoso, con ebbrezza strabocchevole, limpido, in deliquio, slancio divino, affannosamente alato, gioia sublime estatica

Domanda: sono gli stati d’animo che l’esecutore deve assumere mentre suona, o le caratteristiche del suono che deve produrre lo strumento? Beh, sulla seconda ipotesi ci sarebbe da discutere assai (smile!)
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L’Introduzione si apre con il motto che caratterizzerà la Sinfonia, esposto da tutti gli strumenti gravi:

 
Tema che si muove fra gli estremi (REb-LA) di un tritono, tanto per iniziare il discorso dal… diavolo, in attesa di mettersi in marcia verso il soprannaturale. Subito dopo lo suggella la tromba.

L’Introduzione è assai breve e sfuma verso l’Allegro di Luttes, un simulacro di forma-sonata, aperto da un tema agitato dei violini in DO minore, chiaramente derivato dal motto:


Tema che si sviluppa fino a lasciar posto ad una sezione più elegiaca, che sfocia in un altro motivo, di piglio eroico, in Mib maggiore, che tornerà spesso a farsi sentire:


Dopo aver raggiunto il climax, con un passaggio in cui qualcuno vede il Dresden Amen, ecco un nuovo motivo di stampo virile:


che viene successivamente ripreso in forma più mossa e che porta alla riproposizione, due volte, del motto. Qui si chiude quella che possiamo definire l’esposizione.

Inizia ora uno sviluppo del primo tema dell’Allegro, innalzato di una quinta, a SOL minore. Conseguentemente innalzato a SIb maggiore anche il secondo tema eroico. Si arriva poi ad una sezione drammatica, dove il primo tema riappare assai dilatato, negli ottoni, sezione che porta ad un tremendo schianto dell’orchestra. Ora il primo violino espone una melodia implorante, in LAb:

 
Motivo che viene sviluppato portando infine ad una nuova grandiosa perorazione del motto. Inizia adesso una lenta transizione che porta a chiudere lo sviluppo e alla ripresa del primo tema nel DO minore canonico. Dopo che esso è stato adeguatamente sviluppato, tornano anche il secondo e il terzo motivo, fino alla ricomparsa truculenta del motto. Qui però non si chiude ancora, ma pare di avere un nuovo sviluppo, con il primo tema che torna in SOL minore; arriviamo invece ad un’oasi bucolica, con il violino solo che canta una nuova melodia mentre gli strumentini imitano il cinguettare di uccelli…

Un improvviso irrompere di una nuova cellula, che sembra venire direttamente dalla quarta di Ciajkovski, ci porta finalmente alla conclusione dell’episodio, con la proterva reiterazione del motto e un successivo rarefarsi dell’atmosfera.

Attacca quindi il secondo episodio, Voluptés, in MI maggiore, con l’esposizione da parte dei flauti del suo primo e principale tema, che è chiaramente mutuato da quello del violino della precedente sezione:


Il quale viene sviluppato in modo assai ampio, in tutte le sezioni dell’orchestra. Si arriva quindi ad un nuovo squarcio bucolico, con trilli e svolazzi degli strumentini, dove è il violino solista a riesporre languidamente il tema, in SI maggiore. Un crescendo orchestrale ispessisce il colore della scena, ma senza turbarla. Ancora il violino riprende la sua melopea, poi si continua quasi all’infinito con abbandoni degli archi e pesanti interventi degli ottoni, finchè irrompe la trombetta ad attaccare il Jeu divin:

Per tutta la prima parte, in DO, abbiamo un continuo abbandonarsi a languidi motivi, quasi una melodia infinita senza precise connotazioni tematiche, con gli ottoni e la tromba ad intervenire con i loro richiami (la tromba insiste sull’inciso con cui aveva risposto al motto, nell’Introduzione).

Ecco però una sorpresa: riappare in MI minore il tema della Lutte, subito zittito da poderosi interventi dei fiati, che portano ad un nuovo ritorno: quello – enorme, soprattutto nelle trombe – del tema delle Voluptés.

Come tutti ormai si aspettano, è la ricomparsa del motto a condurre alla retorica, enfatica e pretenziosa conclusione.
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Devo dire che l’attacco iniziale (tromboni e tuba in particolare) non mi ha soddisfatto: tutto in legato, quando invece sono chiare le forchettine indicanti il marcato. Però in seguito le cose sono assai migliorate e complessivamente la prestazione di tutti è stata di buon livello: acclamato giustamente Alessandro Caruana che, soprattutto nell’ultima sezione deve davvero spomparsi fino all’esaurimento.

Stravinskij, probabilmente arrivato con poco preavviso, ma sempre con l’aplombe da funzionario di banca, ha fatto del suo meglio per renderci il meno indigesto possibile questo velleitario intruglio: e il pubblico ha speso i suoi applausi di stima per lui e per i ragazzi, non credo per il compositore…

28 febbraio, 2015

Orchestraverdi 14-15 – Concerto n° 23


Ancora un concerto di Mozart è posto in apertura del programma settimanale de laVERDI, diretto da Marius Stravinskij (o Stravinskas) 35enne kazako trapiantato in Albione, che sostituisce all’ultimo momento l’indisposto ibero-crucco Pedro Halffter Caro.

Il Concerto di Mozart (il 23°, K488) vede alla tastiera la ex-bambina-prodigio, oggi graziosa 27enne, Lise de la SalleProviamo a seguirlo in questa registrazione fatta in studio da Horowitz con l’orchestra della Scala guidata da Giulini nel 1988.
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A dispetto dell’apparente leggerezza e semplicità, il concerto ha una struttura assai articolata che presenta non poche innovazioni. Il primo movimento è un Allegro in LA maggiore, in forma sonata.

È la sola orchestra a presentare la prima delle due esposizioni. Il primo tema è suonato dapprima dagli archi e poi (15”) da tutti i fiati (l’organico prevede flauto, clarinetti, fagotti e corni, niente oboi né trombe) che ne variano la chiusura. A 30” segue una transizione in cui la tonalità svaria a RE minore, MI minore per poi approdare a MI maggiore. Questa sarebbe (e sarà…) la tonalità del secondo tema. Ma qui (51”) esso viene presentato ancora nella tonalità principale (LA maggiore) prima dai soli archi, poi (1’06”) anche dal resto dell’orchestra. A 1’18 abbiamo la chiusura della prima esposizione, con motivi che passano dal RE minore a maggiore, poi LA maggiore, quindi la relativa FA# minore e quindi ancora a LA maggiore, finchè (1’47”) una codetta conclude questa sezione.

A 1’55” ecco entrare il solista per la seconda esposizione: il primo tema viene presentato due volte, poi ecco (2’20”) la transizione iniziata dall’orchestra e ripresa dal solista con grandi volate di semicrome, fino ad arrivare all’esposizione nel pianoforte del secondo tema (2’49”) ora nella canonica dominante di MI maggiore. Il tema è ripreso (3’03”) dall’orchestra, poi (3’16”) è ancora il pianoforte a condurre le danze con grandi virtuosismi, finchè (3’55”) l’orchestra gli subentra con poche battute di transizione che portano inaspettatamente ad una sospensione (4’05”) che in pratica costituisce il confine tra l’esposizione e lo sviluppo.

Il quale (4’07”) mantenendosi inizialmente sulla tonalità di MI maggiore, invece che sviluppare i due temi dell’esposizione – e questa è davvero una genialata di Mozart, che sembra farsi baffo delle sacre convenzioni - si fonda su di un nuovo tema esposto dai violini e poi abbellito (4’17”) dal pianoforte. Manipolazioni di questo tema, in continuo colloquio fra solista e orchestra, ci portano (4’30”) a MI minore, poi (4’36”) a DO maggiore, quindi (4’43”) a LA minore, ancora (4’46”) a FA maggiore e da qui (4’50”) a RE minore!

Ma non è finita: clarinetto e flauto, percorrendo a canone il circolo delle quinte (RE-SOL-DO-FA/SI-MI-LA) sulle insistenti semicrome del pianoforte, ci riportano (5’07”) a LA minore dove il terzo tema viene nuovamente elaborato fino ad una specie di cadenza (5’24”) che conduce poi al MI maggiore per la conclusione dello sviluppo.

A 5’40” ecco la ricapitolazione, con il primo tema, poi (6’05”) la transizione che il solista ancora impreziosisce di grande virtuosismo, prima di attaccare (6’31”) il secondo tema, adagiatosi alla tonica LA in pieno rispetto delle convenzioni. Tema ripreso (6’46”) dall’orchestra e poi (7’03”) dal solista che ne propone la chiusura sfociante (7’28”) nella coda, aperta dal terzo tema che il solista sviluppa da par suo, chiudendolo con tremolo sul quale (8’06”) si apre una codetta costituita dal motivo di transizione fra i due temi principali.

A 8’17” torna il terzo tema (finalmente in LA maggiore!) che porta rapidamente alla fermata (8’31”) per la cadenza solistica, questa scritta proprio da Mozart (ma il presuntuoso Horowitz qui suona quella di Busoni!) A 9’45” l’orchestra riprende per condurre a termine il movimento richiamando la chiusa della prima esposizione. (Anche le cinque battute finali suonate da Horowitz non sono di Mozart, ma di Busoni, uno dei tanti che pensavano di dare valore aggiunto al Teofilo…)

Il centrale Adagio è nella tonalità relativa di LA, FA# minore, tempo 6/8 di siciliana. Il solista (10’19”) lo apre con la prima parte del primo tema, cui segue (10’33”) la sua seconda porzione. A 11’00” sono clarinetti e violini, poi fagotto e quindi flauto, ad esporre il secondo tema, cui ne segue un terzo (11’25”) nel pianoforte.

A 12’15” ecco il flauto sostenuto dai clarinetti aprire la sezione centrale del movimento, esponendo un nuovo tema in LA maggiore, ripreso dal solista a 12’26”. Una codetta (12’40”) introdotta dal corno e caratterizzata dalle biscrome del pianoforte chiude questa sezione.

A 13’09” una brevissima transizione (2 battute) ci riporta a FA# minore, dove (13’16”) si apre la ripresa, con il solista che ripropone il primo tema. A 14’12” il secondo tema viene ripresentato come nella prima esposizione. Il solista (14’39”) lo riprende variandolo, sullo sfondo degli archi, finchè si arriva ad una coda (15’05”) dove i violini suonano in sincope, mentre il solista smozzica spezzoni di melodia sulle note discendenti dei fiati. A 15’34” ancora il secondo tema si ode nel flauto, per tre volte, contrappuntato dalle note ribattute del pianoforte, fino alla mesta conclusione.

Il finale Allegro assai in LA maggiore è un Rondò in forma sonata, caratterizzato da una gran quantità di motivi, raggruppabili in almeno sei gruppi tematici o temi principali. Lo apre (16’02”) il pianoforte che espone il primo motivo del primo gruppo tematico (T1) subito ribadito (16’09”) dall’orchestra. Un secondo motivo (da 16’16”)  poi una transizione (16’38”) chiudono il primo gruppo tematico.

A 16’58” il solista entra con il secondo soggetto tematico (la seconda sezione del Rondò) sempre in LA maggiore, esponendone il tema (T2) imitato (17’06”) dai fiati. Il solista riprende il sopravvento, elaborando sapientemente il tema fino a 17’40”, dove porta la tonalità alla dominante MI.

Qui si apre una seconda parte dell’esposizione, con un primo tema (T3) che alterna maggiore e minore che è attaccato dall’orchestra e ripreso dal solista che poi (18’00”) lo sviluppa ulteriormente fino a 18’41”. Qui entra un nuovo tema (T4) sempre guidato dal solista, in MI maggiore, con i fiati a dialogare.

A 19’06” riecco il tema ricorrente del Rondò (T1) riesposto dal solista in LA maggiore e subito (19’12”) ripreso dall’orchestra. A 19’30” si può far iniziare lo sviluppo del movimento (forma sonata) e quello di un nuovo episodio (Rondò) con la presentazione di due nuovi temi, che non ricompariranno più nel seguito: il primo (T5), in tonalità bruscamente mutata a FA# minore, è sempre esposto dal solista, spalleggiato poi (19’38”) dai fiati. Il secondo (T6, a 20’00”) è in RE maggiore e viene esposto dal clarinetto e poi ripreso (20’07”) dal pianoforte e portato avanti in colloquio fra orchestra e solista fino a 20’44”, dove si torna a LA maggiore e dove possiamo posizionare la conclusione dello sviluppo (forma sonata) e l’inizio della ricapitolazione.

Rientra infatti la sezione principale del Rondò, ma con il secondo motivo del primo soggetto (T1) dell’esposizione e poi (21’01”) con il secondo tema (T2) esposto dai fiati in maggiore, quindi (21’07”) dal solista in minore ed ancora (come nell’esposizione) sviluppato e completato (da 21’31”). Il tema T4 si ripresenta (22’14”) in LA maggiore nel pianoforte, virando poi a MI maggiore.

A 22’40” inizia la Coda (forma sonata ) e l’ultimo ritorno della sezione principale del Rondò, sul tema T1, esposto ora nelle su due componenti, la prima dal solista, ripresa dall’orchestra che poi (da 22’54”) esegue anche la seconda, raggiunta dal solista. A 23’15” ecco il tema T4, stavolta in RE maggiore, poi torna (23’29”) la transizione già udita nell’esposizione e quindi (23’39”) l’orchestra avvia la definitiva conclusione del brano.
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Come si vede, un’autentica, pur piccola, cattedrale in musica! Che la biondissima Lise ci ha proposto con una tecnica che nulla ha da invidiare a Horowitz (anzi!) ed una sensibilità interpretativa davvero sorprendente. Meritatissimo il trionfo riservatole da un pubblico foltissimo, che lei ha ricambiato con… Bach.  
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Poi abbiamo avuto il piatto forte (o piuttosto una mappazza?) della serata: la Tannhäuser-suite messa insieme proprio dal direttore che ha dato forfait! Il quale ha evidentemente inteso imitare il compianto Lorin Maazel, di cui ascoltammo meno di un anno fa dalla sua allieva Xian il Ring senza parole.

In pratica è un poema sinfonico in tre movimenti, corrispondenti ai tre atti dell’opera, che riassumono le principali parti orchestrali e corali e poche melodie. Il pezzo forte della serata è stato un duetto (!) Quello fra il violoncello di Tobia Scarpolini e l’arpa di Elena Piva nella famosa Abendstern.

Che dire di Stravinskij? Lui si è presentato e ha diretto con l’aplombe di un professional della city: insomma, abito e gesto da consultant. Per essere arrivato quasi all’ultimo momento non si può che elogiarlo.


Ma gli elogi più ampi vanno a laVERDI che, dopo Ring e Tannhäuser, ormai è pronta anche per… Bayreuth!