XIV

da prevosto a leone
Visualizzazione post con etichetta fabio ceresa. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta fabio ceresa. Mostra tutti i post

16 aprile, 2018

La furia di Orlando in Laguna


Ieri pomeriggio il piccolo ma glorioso Malibran ha ospitato la seconda recita di Orlando furioso di Antonio Vivaldi. Si tratta di un allestimento che fu presentato con gran successo la scorsa estate al Festival di Martina Franca, e di cui è ascoltabile in rete l’audio (pessimo, ahinoi, poichè piratescamente ripreso con mezzi di fortuna) grazie ai peripatetici melomani de L’impiccione viaggiatore.

Ultima delle tre opere dedicate da Vivaldi al soggetto ariostesco, si inserisce in pieno nella tradizione del barocco, sia dal punto di vista della grandiosità dello spettacolo, che da quello della struttura della parte musicale. Questa produzione di basa sull’edizione critica dello specialista Federico Maria Sardelli, che la coppia regista-concertatore (Fabio Ceresa - Diego Fasolis) ha poi liberamente rimaneggiato, attraverso qualche taglio (doloroso per la soppressione di alcune arie; meno critico, ma sempre dannoso per la coerenza del tutto, per quella di robusta parte dei recitativi) accompagnato a diversi arbitrari spostamenti di numeri all’interno della struttura del dramma. Lo spettacolo si riduce (per così dire...) a meno di tre ore lorde (20‘ di intervallo) rispetto alle più di 3 ore nette di un’esecuzione completa (come questa francese). In appendice un elenco dei principali numeri e della relativa ristrutturazione compiuta per questo allestimento: tra spostamenti di arie ed espunzioni (di arie e recitativi) sono il secondo ed il terzo atto ad essere pesantemente manipolati rispetto all’originale.   

La trama dovuta a Grazio Braccioli - da Ariosto, ma estremamente contorta - serviva (ai tempi) più che altro a giustificare le mirabolanti trovate sceniche (ippogrifi, mostri, naufragi, viaggi spaziali...) e le innumerevoli arie che consentivano agli interpreti di mettere in mostra le loro qualità di gorgheggiatori, oltre che di attori. Vi troviamo un quadrilatero e un triangolo sentimentali, rispettivamente rappresentati dai diversamente assortiti legami affettivi che a cascata collegano, da un lato, Bradamante<>Ruggiero<>Alcina<>Astolfo; e dall’altro Medoro<>Angelica<>Orlando.   

L’allestimento è piacevole e intelligente: non si perde alcunchè del classico clima dell’opera barocca, grazie alle scene di Massimo Checchetto, assai efficaci pur nella relativa essenzialità: la luna di Orlando, il mondo incantato e sexy di Alcina, l’ippogrifo di Ruggiero e il naufragio di Medoro... Insomma, un simpatico revival delle atmosfere che nel primo ‘700 caratterizzavano i teatri musicali. Il tutto impreziosito dai coloratissimi e raffinati costumi di Giuseppe Palella e ravvivato dalle luci di Fabio Barettin. Essenziali anche le coreografie di Riccardo Olivier.
___
Sul piano musicale, doverose lodi a Diego Fasolis, che ha fatto valere la sua indiscussa esperienza in questo repertorio, accompagnando personalmente ad uno dei due cembali e trascinando strumentisti e coristi della Fenice a confermare a loro volta la dimestichezza con il barocco, raggiunta anche grazie alle esecuzioni monteverdiane di questi ultimi anni.

Le voci si sono dimostrate tutte all’altezza del compito. A partire dall’Alcina di Lucia Cirillo e dall’Angelica di Francesca Aspromonte. Subito dietro collocherei la Bradamante di Loredana Castellano e la protagonista Sonia Prina, che ho personalmemte apprezzato spesso in Auditorium a Milano con laBarocca di Jais, ma che ieri non mi è parsa al meglio (incassando anche un eccessivamente severo buh nel second’atto).  

Apprezzabili il Medoro di Raffaele Pe, il Ruggiero di Carlo Vistoli e autorevole l’Astolfo di Riccardo Novaro.

Pubblico non oceanico e freddino negli applausi a scena aperta dopo le arie (ha fatto eccezione Sol per te, grazie soprattutto all’accompagnamento del magico traversiere, collocato in un palchetto). Anche alla fine applausi calorosi ma... centellinati.

Comunque uno spettacolo sicuramente da consigliare.
___
Struttura dell’opera in questa edizione-produzione

I
Ang Un raggio di speme
Alc Alza in quegli occhi
Ast Costanza tu m’insegni
Bra Asconderò il mio sdegno
Orl Sorge l’irato nembo (da atto II) sostituisce Nel profondo, cieco mondo, spostato in atto II
Ang Tu sei degli occhi miei
Orl Troppo è fiero il nume arciero (espunto)
Med Rompo i ceppi (Nel libretto originale: Se tacendo, se soffrendo)
Rug Sol per te mio dolce amore (flauto traverso)
Alc Amorose ai rai del sole

II
Alc Vorresti amor da me?
Ast Benchè nasconda la serpe in seno
Bra Taci, non ti lagnar
Rug Piangerò sinchè l’onda del pianto (assente nel libretto originale)
(Orl Sorge l’irato nembo, spostato in atto I)
Med Qual candido fiore
Ang Chiara al pari di lucida stella (spostata poco avanti)
Orl Nel profondo, cieco mondo (da atto I)
Rug Come l’onda (da atto III) sostituisce Che bel morirti in sen, espunto
Bra Io son ne’ lacci tuoi (da atto III) sostituisce Se cresce un torrente, espunto
Cor Al fragor de’ corni audaci
Cor Gran madre Venere
Cor Diva dell’Espero
Ang-Med Belle pianticelle (espunto)
Ang-Med Sei mia fiamma - Sei mia gioia
Alc Così potessi anch’io (spostato qui da prima del duetto Ang-Med)
Orl Ah sleale, ah spergiura

III
Ast Dove il valor combatte
Alc L’arco vuò frangerti
Alc Che dolce più (espunto)
Ang Poveri affetti miei (espunto)
 (Bra Io son ne’ lacci tuoi, spostato in atto II)
Alc Non è felice un’alma (espunto)
(Rug Come l’onda, spostato in atto II)
Med Vorrebbe amando il cor (espunto)
Orl No no ti dico no
Alc Infelice, ove fuggo
Alc Anderò, chiamerò
Cor Con mirti e fiori (Nel libretto originale: Vien dal cielo in noi l’Amore)

27 aprile, 2015

Teste rotonde a Torino


Ieri pomeriggio, tornato l’inverno (!) il Regio torinese ha ospitato l’ultima recita (di 8) de I Puritani.



Lo spettacolo riprendeva il recente allestimento fiorentino di Fabio Ceresa (quello della… relatività allargata) sul quale avevo già a suo tempo riversato sufficienti improperi, e quindi non vi infierisco oltre.

Qui invece abbiamo avuto un apparato musicale completamente diverso (salvo il… Bruno): infatti la sezione suoni torinese era imperniata su una famigliola marchigiana (lui di Pesaro, lei immigrata russa, smile!) che di tanto in tanto riesce a ricongiungersi in qualche teatro d’opera:  


Ieri pomeriggio addirittura la famiglia si è allargata anche a mamma-e-papà-Mariotti, seduti al centro della fila 11 dell’anfiteatro torinese. 

Quanto ai contenuti… materiali dell’ultima opera di Bellini, ne esiste(va) una sola versione pubblicata, quella di Parigi (dove fu data la prima nel 1835) già fatta oggetto da Bellini in persona di tre corposi tagli rispetto al manoscritto originale. Che riguardano il Cantabile nel terzetto del primo atto (Se il destino a te m’invola); il Largo di mezzo, sezione centrale del duetto Elvira-Arturo (Mi credevi di spergiuro?) a metà del terz’atto; e infine il duetto Elvira-Arturo (Ah sento, o mio bell’angelo) che chiude l’Opera.

Sappiamo poi che Bellini lavorò ad una successiva versione (pro-Malibran) prevista per Napoli, ma mai pubblicata e mai andata in scena prima del 1985, che cambia assai le carte in tavola, e fra altre corpose innovazioni (tipo il Riccardo promosso a tenore e la cassazione della Tromba) riserva alla protagonista Elvira la cabaletta finale (Ah sento, o mio bell’angelo) invece del duetto con Arturo.

Ne consegue che in ogni allestimento o incisione dell’Opera il Direttore si diverta come un bambino con il meccano (smile!) tagliando o riaprendo tagli, e persino mescolando Parigi e Napoli, con motivazioni che vengono spacciate per artistico-estetiche, ma che in realtà spesso e volentieri nascondono semplicemente interessi di bassa lega (o di… famiglia!)

Ad esempio possiamo ascoltare una versione ibrida dell’Opera in versione Parigi col solo taglio del Cantabile nel terzetto, ma con il ripristino del Largo di mezzo e con il finale-Malibran: è quella del 1975 di un’altra famosa coppia del melodramma: Sutherland-Bonynge. Risposta alla domanda degli ingenui (perché non ripristinare anche il Cantabile?): ma perché lì non vi avrebbe comunque cantato la Joan!

All’estremo opposto (more Serafin-ico) si comportò Beltrami a Firenze (nell’allestimento trasferito qui a Torino) mantenendo tutti i tre tagli d’autore e in più accorciando qua e là…

Michele Mariotti qualche anno fa a Bologna aveva riaperto due dei tre tagli di Bellini, il primo e il terzo. Perché? Perchè lì vi cantava un tenore, che a Bologna era tale J.D.Florez! Qui a Torino ha invece riproposto dei tre tagli soltanto il duettino finale: anzi no, ha riproposto la cabaletta in versione Malibran! Perché?: ma perché la cantava sua moglie!

A parte questi aspetti piuttosto prosaici e francamente miserelli, devo dire che la direzione di Mariotti mi è parsa di livello dignitoso: qualche eccesso di decibel avrebbe potuto essere evitato, ma in complesso i suoni usciti dalla buca erano più che godibili.

Dmitry Korchak non se l’è cavata male come Arturo: devo dire che mi sembra stia continuamente migliorando, il che testimonia di serietà professionale e di duro lavoro di studio. Oltre alla voce che ha per dono di natura (senza bisogno di toccare quel FA da baraccone messo lì dal compositore per Giovanni Battista Rubini) il tenore russo ha acquisito anche una notevole sensibilità interpretativa: per me, il migliore del cast.  

Olga Mariotti (nata Peretyatko) ha mostrato alti e bassi: la voce, si sa, non è da soprano drammatico, ma per questo personaggio ci può anche stare. Però il timbro vetroso e gli acuti (e sovra-) sparati alla sperindio non le fanno onore. Poi, nella ripresa della cabaletta (Vien diletto) ha presentato degli abbellimenti (???) da obbrobrio e pure mal cantati: se glieli ha messi su il marito, peggio per lui…

Nicola Ulivieri (Valton, Sir) ai miei orecchi ha meritato assai: voce non propriamente da basso grave, come forse richiederebbe la parte, ha però mostrato grande portamento e sensibilità.

Nicola Alaimo era Riccardo: alti e bassi, con prevalenza per i… bassi (ahilui). A cui non basta un velleitario SOL acuto (sul tenero amor) per alzare la media.

Fabrizio Beggi (Valton, Lord) senza infamia e senza lode, il che significa la sufficienza.

Samantha Korbey è stata un’Enrichetta ridicola, oltre che inudibile. Per di più Mariotti ha infierito su di lei, coprendola implacabilmente (o forse l’ha fatto apposta per risparmiarcela?)

Saverio Fiore, unico superstite di Firenze, ha continuato a navigare in acque mediocri, qui sul Po come là sull’Arno…

Sempre apprezzabile il Coro di Claudio Fenoglio. 

Pubblico assai folto e ben predisposto, a giudicare dalla positiva accoglienza per tutti (leggo che quello dello stadio era invece un filino meno… accomodante).

02 febbraio, 2015

A Firenze suona la tromba di Einstein

 

Ieri pomeriggio il nuovo - e tuttora incompiuto, manca solo qualche decina di milioni… pinzillacchere – Teatro dell’OF ha ospitato la terza dei Puritani, cantata da quello che in gergo si definisce secondo cast.

Ma parlo subito della regìa, anche per spiegare il titolo del post. Partendo da una definizione, diciamo così, casereccia, scovata in rete, delle onde gravitazionali:

Le onde gravitazionali, previste dalla relatività generale del solito Albert Einstein, sarebbero un’increspatura che si propaga nello spazio-tempo, come uno squillo di tromba è un’onda che si propaga nell’aria.

Ecco, nei Puritani (finale atto II) c’è il celebre suoni la tromba, che quindi richiama la relatività generale del buon Einstein. Direte: ma che minchia(*) c’entra tutto ciò con la cronaca di un pomeriggio all’opera? (*) doveroso omaggio alla terra del nuovo Presidente.

Ecco, la risposta ce la dà il regista Fabio Ceresa, che per i Puritani si è inventato una drammaturgia tutta sua, prendendo sul serio e alla lettera un’innocente battuta di Elvira che nel terzo atto, re-incontrando Arturo dopo la di lui fuga con Enrichetta, gli dice: questi tre mesi mi son parsi tre secoli: in pratica, un’espressione che ciascuno di noi usa almeno un paio di volte la settimana, quando aspetta (avendo una fretta blu) un autobus che ritarda, o quando non vede l’ora che l’arbitro fischi la fine della partita che la sua squadra sta conducendo per 1-0 ma giocando in 9 contro 11, o in mille altri casi analoghi dove anche un minuto ci pare un’eternità.

Ceresa tira in ballo proprio Einstein e la teoria della relatività, compreso il famoso paradosso dei due gemelli (uno che dopo aver vagato nello spazio alla velocità della luce per due anni rientra a casa e trova l’altro invecchiato di ottanta…) per poi imbarcarsi in teorie sulla sfericità del tempo (passato=presente=futuro) e sulla curvatura dello spazio. Ne trae come conseguenza una sua personale versione del libretto dell’opera, dove Riccardo all’inizio (Per sempre, per sempre io ti perdei) piange sulla tomba di Elvira (presente=futuro) e tutti i suoi guerrieri sono disperati per la dipartita della giovane. Poi si passa al presente=passato, rivivendo le vicende della fuga di Arturo e della pazzia di Elvira. Infine si arriva al futuro=futuro (terzo atto) dove sono appunto passati secoli, come dimostrano alcune rovine di edifici visti nel primo atto e una specie di nuvola da esplosione atomica; futuro che però sarà diverso da come lo si era visto nel… passato, grazie al perdono di Riccardo per Arturo, che cambia (curvandolo, come spiega Einstein) il corso del tempo e provocando il miracoloso lieto-fine.

Apperò… Intanto dico subito che la drammaturgia di cui sopra la comprende solo chi legga le note di regìa sul programma di sala: sfido chiunque a dedurla da ciò che si vede in scena e ovviamente meno ancora da ciò che si ode (che sarebbe poi il libretto originale di Pepoli, sul quale Bellini ha composto la sua mirabile musica). Comunque il danno non è poi così grave, perché per fortuna sulla scena non c’è e non succede praticamente nulla; i personaggi (singoli e masse) entrano, cantano le loro meravigliose parti e se ne vanno. Si dirà: quasi come fosse un’esecuzione in forma di concerto. Esatto, solo che questa costa qualcosina in più, a partire dalla parcella del fisico-teorico regista (stra-smile!)
___
Il cast, come detto, era il secondo: quindi niente Pratt, tanto per cominciare, che alla radio mercoledi scorso mi aveva fatto (ancora una volta) una grande impressione.

I due protagonisti (Maria Aleida e Jésus Léon) si son prodigati al meglio delle loro possibilità, sfoderando anche gli acuti e sovracuti previsti (non il FA da baraccone del tenore nel terz’atto) ma le loro voci sono proprio piccole di natura, ergo secondo me non proprio adattissime a due ruoli che non saranno (rispettivamente) di soprano drammatico e di Heldentenor, ma neanche di Adine e Nemorini.

Il più efficace della compagnia mi è parso il veterano Riccardo Zanellato (Giorgio) mentre Julian Kim (Riccardo) e Martina Belli (Enrichetta) non mi hanno proprio entusiasmato. Lascio senza voto (per non dare insufficienze) Gianluca Margheri (Valton) e Saverio Fiore (Bruno).

Bene il coro di Lorenzo Fratini, a cui Einstein il regista non ha chiesto molto di più che… cantare, entrando da sinistra per uscire a destra, e viceversa.

Matteo (ormai non solo a Firenze è un nome vincente!) Beltrami era sul podio dell’Orchestra del Maggio. Ha impiegato la partitura, diciamo così, tradizionale (senza seguire quindi le novità presentate dall’ultima edizione critica di Fabrizio Della Seta) alla quale ha apportato pochi e abbastanza soliti tagli. In generale devo dire che mi ha abbastanza convinto, compensando con un bel-suono qualche carenza di bel-canto presente in palcoscenico: lui è un (relativamente) giovane che merita di fare strada. 

Applausi per tutti (a scena aperta dopo le principali arie e poi all’uscita finale) in un teatro piacevolmente affollato. Spettacolo che in Aprile si trasferirà a Torino, protagonisti Mariotti&consorte.