intime gioje

chiuder la prigione e buttar la chiave

27 aprile, 2015

Teste rotonde a Torino


Ieri pomeriggio, tornato l’inverno (!) il Regio torinese ha ospitato l’ultima recita (di 8) de I Puritani.



Lo spettacolo riprendeva il recente allestimento fiorentino di Fabio Ceresa (quello della… relatività allargata) sul quale avevo già a suo tempo riversato sufficienti improperi, e quindi non vi infierisco oltre.

Qui invece abbiamo avuto un apparato musicale completamente diverso (salvo il… Bruno): infatti la sezione suoni torinese era imperniata su una famigliola marchigiana (lui di Pesaro, lei immigrata russa, smile!) che di tanto in tanto riesce a ricongiungersi in qualche teatro d’opera:  


Ieri pomeriggio addirittura la famiglia si è allargata anche a mamma-e-papà-Mariotti, seduti al centro della fila 11 dell’anfiteatro torinese. 

Quanto ai contenuti… materiali dell’ultima opera di Bellini, ne esiste(va) una sola versione pubblicata, quella di Parigi (dove fu data la prima nel 1835) già fatta oggetto da Bellini in persona di tre corposi tagli rispetto al manoscritto originale. Che riguardano il Cantabile nel terzetto del primo atto (Se il destino a te m’invola); il Largo di mezzo, sezione centrale del duetto Elvira-Arturo (Mi credevi di spergiuro?) a metà del terz’atto; e infine il duetto Elvira-Arturo (Ah sento, o mio bell’angelo) che chiude l’Opera.

Sappiamo poi che Bellini lavorò ad una successiva versione (pro-Malibran) prevista per Napoli, ma mai pubblicata e mai andata in scena prima del 1985, che cambia assai le carte in tavola, e fra altre corpose innovazioni (tipo il Riccardo promosso a tenore e la cassazione della Tromba) riserva alla protagonista Elvira la cabaletta finale (Ah sento, o mio bell’angelo) invece del duetto con Arturo.

Ne consegue che in ogni allestimento o incisione dell’Opera il Direttore si diverta come un bambino con il meccano (smile!) tagliando o riaprendo tagli, e persino mescolando Parigi e Napoli, con motivazioni che vengono spacciate per artistico-estetiche, ma che in realtà spesso e volentieri nascondono semplicemente interessi di bassa lega (o di… famiglia!)

Ad esempio possiamo ascoltare una versione ibrida dell’Opera in versione Parigi col solo taglio del Cantabile nel terzetto, ma con il ripristino del Largo di mezzo e con il finale-Malibran: è quella del 1975 di un’altra famosa coppia del melodramma: Sutherland-Bonynge. Risposta alla domanda degli ingenui (perché non ripristinare anche il Cantabile?): ma perché lì non vi avrebbe comunque cantato la Joan!

All’estremo opposto (more Serafin-ico) si comportò Beltrami a Firenze (nell’allestimento trasferito qui a Torino) mantenendo tutti i tre tagli d’autore e in più accorciando qua e là…

Michele Mariotti qualche anno fa a Bologna aveva riaperto due dei tre tagli di Bellini, il primo e il terzo. Perché? Perchè lì vi cantava un tenore, che a Bologna era tale J.D.Florez! Qui a Torino ha invece riproposto dei tre tagli soltanto il duettino finale: anzi no, ha riproposto la cabaletta in versione Malibran! Perché?: ma perché la cantava sua moglie!

A parte questi aspetti piuttosto prosaici e francamente miserelli, devo dire che la direzione di Mariotti mi è parsa di livello dignitoso: qualche eccesso di decibel avrebbe potuto essere evitato, ma in complesso i suoni usciti dalla buca erano più che godibili.

Dmitry Korchak non se l’è cavata male come Arturo: devo dire che mi sembra stia continuamente migliorando, il che testimonia di serietà professionale e di duro lavoro di studio. Oltre alla voce che ha per dono di natura (senza bisogno di toccare quel FA da baraccone messo lì dal compositore per Giovanni Battista Rubini) il tenore russo ha acquisito anche una notevole sensibilità interpretativa: per me, il migliore del cast.  

Olga Mariotti (nata Peretyatko) ha mostrato alti e bassi: la voce, si sa, non è da soprano drammatico, ma per questo personaggio ci può anche stare. Però il timbro vetroso e gli acuti (e sovra-) sparati alla sperindio non le fanno onore. Poi, nella ripresa della cabaletta (Vien diletto) ha presentato degli abbellimenti (???) da obbrobrio e pure mal cantati: se glieli ha messi su il marito, peggio per lui…

Nicola Ulivieri (Valton, Sir) ai miei orecchi ha meritato assai: voce non propriamente da basso grave, come forse richiederebbe la parte, ha però mostrato grande portamento e sensibilità.

Nicola Alaimo era Riccardo: alti e bassi, con prevalenza per i… bassi (ahilui). A cui non basta un velleitario SOL acuto (sul tenero amor) per alzare la media.

Fabrizio Beggi (Valton, Lord) senza infamia e senza lode, il che significa la sufficienza.

Samantha Korbey è stata un’Enrichetta ridicola, oltre che inudibile. Per di più Mariotti ha infierito su di lei, coprendola implacabilmente (o forse l’ha fatto apposta per risparmiarcela?)

Saverio Fiore, unico superstite di Firenze, ha continuato a navigare in acque mediocri, qui sul Po come là sull’Arno…

Sempre apprezzabile il Coro di Claudio Fenoglio. 

Pubblico assai folto e ben predisposto, a giudicare dalla positiva accoglienza per tutti (leggo che quello dello stadio era invece un filino meno… accomodante).

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