Ieri pomeriggio, tornato l’inverno (!) il Regio torinese ha ospitato l’ultima recita (di 8) de I Puritani.
Lo spettacolo
riprendeva il recente allestimento fiorentino di Fabio Ceresa (quello della… relatività allargata) sul quale avevo
già a suo tempo riversato sufficienti improperi, e quindi non vi infierisco oltre.
Qui
invece abbiamo avuto un apparato musicale completamente diverso (salvo il…
Bruno): infatti la sezione suoni torinese era imperniata su una famigliola
marchigiana (lui di Pesaro, lei immigrata russa, smile!) che di tanto in tanto riesce a ricongiungersi in qualche
teatro d’opera:
Ieri pomeriggio
addirittura la famiglia si è allargata anche a mamma-e-papà-Mariotti, seduti al
centro della fila 11 dell’anfiteatro torinese.
Quanto ai contenuti… materiali dell’ultima opera di Bellini, ne esiste(va) una sola versione pubblicata, quella di Parigi (dove fu data la prima nel 1835) già fatta oggetto da Bellini in persona di tre corposi tagli rispetto al manoscritto originale. Che riguardano il Cantabile nel terzetto del primo atto (Se il destino a te m’invola); il Largo di mezzo, sezione centrale del duetto Elvira-Arturo (Mi credevi di spergiuro?) a metà del terz’atto; e infine il duetto Elvira-Arturo (Ah sento, o mio bell’angelo) che chiude l’Opera.
Quanto ai contenuti… materiali dell’ultima opera di Bellini, ne esiste(va) una sola versione pubblicata, quella di Parigi (dove fu data la prima nel 1835) già fatta oggetto da Bellini in persona di tre corposi tagli rispetto al manoscritto originale. Che riguardano il Cantabile nel terzetto del primo atto (Se il destino a te m’invola); il Largo di mezzo, sezione centrale del duetto Elvira-Arturo (Mi credevi di spergiuro?) a metà del terz’atto; e infine il duetto Elvira-Arturo (Ah sento, o mio bell’angelo) che chiude l’Opera.
Sappiamo poi che
Bellini lavorò ad una successiva versione (pro-Malibran) prevista per
Napoli, ma mai pubblicata e mai andata in scena prima del 1985, che cambia
assai le carte in tavola, e fra altre corpose innovazioni (tipo il Riccardo
promosso a tenore e la cassazione della Tromba)
riserva alla protagonista Elvira la cabaletta finale (Ah sento, o mio bell’angelo)
invece del duetto con Arturo.
Ne consegue che
in ogni allestimento o incisione dell’Opera il Direttore si diverta come un
bambino con il meccano (smile!)
tagliando o riaprendo tagli, e persino mescolando Parigi e Napoli, con
motivazioni che vengono spacciate per artistico-estetiche, ma che in realtà
spesso e volentieri nascondono semplicemente interessi di bassa lega (o di…
famiglia!)
Ad esempio
possiamo ascoltare una versione ibrida dell’Opera in versione Parigi col solo
taglio del Cantabile nel terzetto, ma
con il ripristino del Largo di mezzo
e con il finale-Malibran: è quella del 1975 di un’altra famosa coppia del
melodramma: Sutherland-Bonynge. Risposta alla domanda
degli ingenui (perché non ripristinare anche il Cantabile?): ma perché lì non vi avrebbe comunque cantato la Joan!
All’estremo
opposto (more Serafin-ico) si
comportò Beltrami a Firenze (nell’allestimento
trasferito qui a Torino) mantenendo tutti i
tre tagli d’autore e in più accorciando qua e là…
Michele Mariotti qualche
anno fa a Bologna aveva riaperto due dei tre tagli di Bellini, il primo
e il terzo. Perché? Perchè lì vi cantava un tenore, che a Bologna era tale J.D.Florez! Qui a Torino ha invece riproposto
dei tre tagli soltanto il duettino finale: anzi no, ha riproposto la cabaletta
in versione Malibran! Perché?: ma perché la cantava sua moglie!
A parte questi
aspetti piuttosto prosaici e francamente miserelli, devo dire che la direzione
di Mariotti mi è parsa di livello dignitoso: qualche eccesso di decibel avrebbe potuto essere evitato,
ma in complesso i suoni usciti dalla buca erano più che godibili.
Dmitry Korchak non se l’è cavata male come Arturo: devo dire che mi sembra stia
continuamente migliorando, il che testimonia di serietà professionale e di duro
lavoro di studio. Oltre alla voce che ha per dono di natura (senza bisogno di
toccare quel FA da baraccone messo lì dal compositore per Giovanni Battista Rubini) il tenore russo ha acquisito anche una
notevole sensibilità interpretativa: per me, il migliore del cast.
Olga
Mariotti (nata Peretyatko)
ha mostrato alti e bassi: la voce, si sa, non è da soprano drammatico, ma per
questo personaggio ci può anche stare. Però il timbro vetroso e gli acuti (e
sovra-) sparati alla sperindio non le fanno onore. Poi, nella ripresa della
cabaletta (Vien
diletto) ha presentato degli abbellimenti (???) da obbrobrio e pure
mal cantati: se glieli ha messi su il marito, peggio per lui…
Nicola Ulivieri (Valton, Sir) ai miei orecchi ha meritato assai:
voce non propriamente da basso grave, come forse richiederebbe la parte, ha
però mostrato grande portamento e sensibilità.
Nicola Alaimo era Riccardo: alti e
bassi, con prevalenza per i… bassi (ahilui). A cui non basta un velleitario SOL
acuto (sul tenero amor) per alzare la media.
Fabrizio Beggi (Valton, Lord) senza infamia e senza lode, il che
significa la sufficienza.
Samantha Korbey è stata un’Enrichetta ridicola, oltre che
inudibile. Per di più Mariotti ha infierito su di lei, coprendola
implacabilmente (o forse l’ha fatto apposta per risparmiarcela?)
Saverio Fiore, unico superstite di Firenze, ha continuato a
navigare in acque mediocri, qui sul Po come là sull’Arno…
Sempre apprezzabile il Coro di Claudio
Fenoglio.
Pubblico assai folto e ben predisposto, a giudicare dalla positiva accoglienza
per tutti (leggo che quello dello stadio era invece un filino meno… accomodante).
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