Seconda
puntata del ciclo dispari delle
sinfonie di Mahler: tocca a Claus Peter Flor dirigere l’ipertrofica Terza del boemo.
Che il
direttore tedesco, reduce dalla… vacanza in Malesia, rende ancor più iper di quanto già non sia, tanto da
decidere – cosa assai rara – di introdurre un regolare intervallo di 25 minuti
dopo il movimento iniziale (vien persino da pensare che Flor abbia preso una
stecca dal gestore del bar, giga-smile!)
Che una pausa fosse necessaria lo si era intuito già prima dell’inizio,
dall’assenza del coro in scena (il contralto di norma entra in tempo per il suo
intervento, o se ne sta seduta buona buona ad aspettare). Però un intervallo in
piena regola avrebbe dovuto essere annunciato in locandina, o sul programma di
sala (come avvenne anni fa per un Requiem verdiano che Ceccato spezzò in due,
ma giustificato dallo stesso… Verdi).
Invece la
cosa ieri sera ha assunto aspetti tragicomici: dopo lo schianto di FA maggiore
che chiude lo sterminato movimento iniziale, qualcuno del pubblico ha
applaudito (capita spesso anche questo) ma Flor se n’è rimasto lì, senza
girarsi né far alzare l’orchestra; così si è rifatto silenzio in sala e a
questo punto il direttore… se n’è andato via, col broncio, girandosi poi per
chiamare con sé un impacciato Santaniello, mentre gli orchestrali si alzavano a
loro volta per andarsene. Insomma, una scenetta piuttosto indecorosa!
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Ciò che
avevo da segnalare in merito a questa adorabile mappazza lo avevo scritto un
paio d’anni fa, in occasione dell’ultima (ora penultima) esecuzione de laVERDI, con la cinesina sul podio.
Quanto a
ieri sera, se si escludono alcune perdonabili e isolate pecche (inevitabili, in
un’opera di tal fatta!) i ragazzi, così come le signore di Erina Gambarini e i ragazzini/e di Maria Teresa Tramontin si sono ben distinti e portare in porto una
fatica simile è già un grande risultato. Maria
José Montiel si è fatta apprezzare nel notturno nietzschiano.
Ecco, a
parte le modalità piuttosto bizzarre impiegate per introdurre l’intervallo,
devo dire che Flor non mi è poi dispiaciuto, avendoci accompagnato in questo lungo
viaggio - che parte dal prosaico per raggiungere… l’eternità – con appropriatezza
di accenti, fino al mirabile Adagio conclusivo.
Ovazioni per
tutti, con il pacchetto dei corni di Giuseppe Amatulli e quello dei tromboni di Rizzotto in testa,
e passerella anche per il remoto Caruana
che ci ha incantato da dietro le quinte con la sua cornetta (non proprio da postiglione…)
Insomma, laVERDI
ha dato un’altra bella dimostrazione di forza e di maturità.
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