XIV

da prevosto a leone
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24 novembre, 2024

Tjeknavorian da camera al Gerolamo.

Come riscaldamento in vista del concerto del pomeriggio, il Direttore Musicale e sette componenti della sezione degli archi dell’Orchestra Sinfonica di Milano si sono ritrovati questa mattina al Teatro Gerolamo di Milano per offrirci due celebri lavori della letteratura cameristica del primo e del tardissimo ‘800.

L’ensemble era così composto (tra parentesi i ruoli in Orchestra):

Violini:

   Emmanuel Tjeknavorian
   Luca Santaniello (spalla)
   Klest Kripa (violini II)
  
 Marco Capotosto  (violini I)

Viole:

   Miho Yamagishi (prima parte)
   Cono Cusmà Piccione 

Violoncelli:
   Tobia Scarpolini (prima parte)
   Giulio Cazzani 

Il primo brano in programma era la versione originale (1899) di Verklärte Nacht di Arnold Schönberg, che prevede un sestetto d’archi (2+2+2); quindi qui sono rimasti dietro le quinte i violini di Kripa e Capotosto. 

In questo mio commento, scritto nel 2023, si può leggere una succinta analisi del brano fatta dallo stesso Schönberg nel 1950. E come scrive l’Autore, è un brano che si può ascoltare anche senza conoscerne il testo letterario ispiratore (pure leggibile nel citato commento e che potrebbe benissimo essere assunto a manifesto dai movimenti anti-patriarcato di oggi) ma proprio come musica pura (e sublime, aggiungo io…)

E così ce l’hanno proposta i sei magnifici de laVerdi, trascinati dall’ispiratissimo Tjek!

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A seguire, andando a ritroso di 65 anni nel tempo (1825) ecco Felix Mendelssohn e il suo Ottetto per archi, composto a soli 16 anni! Sulla prima pagina del manoscritto (in alto a destra) Mendelssohn vergò l’acronimo L.e.g.G. cioè Lass es geling, Gott (Lascialo prosperare, Signore):

Ci sentiamo atmosfere protoromantiche: Felix era ammiratore – arci-ricambiato! - di Goethe, cui era stato presentato, quando aveva soli 12 anni, come un super-Mozart. Pare che l’ispirazione per lo Scherzo sia venuta al ragazzino dall’ultima quartina di versi che chiude il Sogno della notte di Valpurga (nella prima parte del Faust):


ORCHESTER (Pianissimo)
Wolkenzug und Nebelflor
Erhellen sich von oben.
Luft im Laub und Wind im Rohr,
Und alles ist zerstoben.

L'ORCHESTRA pianissimo

Cortei di nubi e veli di foschia
dall'alto si rischiarano.
Un soffio tra le foglie, canne smosse,
e tutto si dilegua.

Vi si respira la stessa atmosfera che di lì a pochi mesi pervaderà anche l’Ouverture dello shakespeariano Sogno.

Mendelssohn – sappiamo del suo amore per il barocco (e… non-solo-Bach) - cita nel finale anche Händel (dall’Halleluja del Messiah):


Le parole (…e regnerà per sempre e sempre…) paiono proprio la conferma del citato auspicio posto in calce alla prima pagina della partitura!

Ebbene, oggi siamo tornati indietro di 200 anni, ospiti di casa Mendelssohn per uno dei tanti momenti di musica che vi si tenevano: senza bisogno di chiudere gli occhi, abbiamo proprio visto il ragazzino Felix Emmanuel, felice come una pasqua, suonare con l’ensemble di famiglia il suo Ottetto nuovo di zecca!

Insomma, un ennesimo miracolo della musica! Che ha eccitato i 200 ospiti della Casa del Gerolamo ad un autentico tripudio per D’Artagnan e i sette moschettieri! 


16 novembre, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.7

Finalmente Emmanuel Tjeknavorian arriva sul podio dell'Auditorium da Direttore Musicale! Dopo aver diretto (15 settembre scorso) il Concerto inaugurale alla Scala, si cimenta oggi con un programma di impaginazione tradizionale.

Pubblico foltissimo e con nutrita rappresentanza di teen-agers, il che fa sempre bene al morale, ecco!

Concerto aperto da un brevissimo, ma notissimo, brano di Hector Berlioz, la Marche hongroise, nota anche come Marcia di Rákóczi, valoroso nobile magiaro che capeggiò, all’inizio del 1700, i moti di ribellione contro gli Asburgo.

La storia della composizione è abbastanza bizzarra, come lo stesso Autore ebbe a ricordare assai coloritamente nelle sue Mémoirs (secondo volume, Terza lettera a Humbert Ferrand). Vi troviamo un riferimento dettagliatissimo a questo brano: esso viene composto in un battibaleno a Vienna, nel febbraio del 1846, alla vigilia della partenza per la tappa ungherese del tour del compositore nei territori dell’Impero asburgico.

Dunque, arrivato dopo incredibili peripezie (esondazioni del Danubio, avventuroso viaggio in carrozza e rischi di annegamento) nella capitale magiara (Pest, ai tempi non ancora gemellata con Buda...) il compositore ha in programma un concerto al locale Teatro, e non gli par vero di infilarci, come bis di chiusura (fa sempre le cose in grande, il nostro!) la sua freschissima trascrizione del motivo musicale più popolare laggiù (come poteva essere in Francia la Marsigliese…) 

Alla vigilia però emergono serie preoccupazioni: il timore che l’iniziativa possa essere fraintesa e contestata dal pubblico perché accusata di lesa-maestà… Il caporedattore di un influente giornale di Pest si fa consegnare la partitura e ne trae un giudizio non proprio lusinghiero, criticando in particolare l’assenza di passaggi in fortissimo, come si attenderebbe il pubblico ungherese, patriottico come pochi.

Berlioz non si perde d’animo, rinforza l’orchestrina del Teatro con strumentisti della Filarmonica e chiude il concerto con la Rákóczi. Miracolo! La marcia ha un successo di portata storica, il pubblico va addirittura in delirio, la interrompe più volte con manifestazioni di giubilo, in un fracasso da stadio! Berlioz deve ripeterla e alla fine viene letteralmente portato in trionfo, promosso sul campo eroe nazionale. Persino un vecchio e malandato patriota corre ad abbracciarlo, lodando la Francia e i suoi sentimenti rivoluzionari!

E non per nulla la Rácóczy, ricordo di una sua grandiosa impresa, venne poi infilata da Berlioz alla fine della Prima Parte de La damnation de Faust, appositamente ri-ambientata in Ungheria!

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Il vulcanico Tjek la dirige con piglio davvero garibaldino, meritandosi applausi calorosi. L’unico appunto che mi sento di fare non ha nulla di musicale, ma di… logistico: quando il concerto è aperto da un breve brano orchestrale seguito da uno con il pianoforte, di norma la tastiera è già messa in posizione, con il coperchio ovviamente abbassato, così da evitare un intervallo supplementare. Purtroppo, ieri ciò non è avvenuto (sono certo che si poteva trovare comunque il modo di non sacrificare due violini e due celli). 

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Un poco più che ragazzino (22 anni) che però è già affermatissimo in giro per il mondo, il viennese (come Tjeknavorian, con il quale fa regolarmente coppia anche in concerti cameristici) Kiron Atom Telian, si siede alla tastiera per suonarci un altro celebre brano, il Primo Concerto di Chopin.

La sua è stata una prestazione davvero stupefacente: dopo aver pazientemente atteso che l’Orchestra sciorinasse i temi dell’Allegro maestoso, lui ha attaccato lo strumento quasi con ferocia, scolpendone mirabilmente le prime due battute; poi è stato tutto un crescendo di passione e ispirazione. Nella centrale Romance ci ha dato una lezione di puro rubato chopiniano, portandoci come in un sogno metafisico. Nel Rondo finale poi ha tirato fuori tutta la sua tecnica trascendentale, sempre ben assecondato dall’Orchestra, che il Tjek ha gestito con discrezione, scatenandola solo nei tutti dove la tastiera tace.

Grande entusiasmo per questa coppia cinquantenne (28+22) di musicisti e in particolare per il mingherlino Kiron, che non ci ha lasciato senza un bis, e già che c’era ne ha fatti due, completandoci così una salutare indigestione di Chopin: Studio oceanico e Mazurka in SI minore! 

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La serata si è chiusa nel nome di Brahms-il-progressivo. Così ebbe a definirlo un compositore – Arnold Schönberg - che dai primi anni del ‘900 aveva, a detta di tutti, preso strade letteralmente agli antipodi di quelle percorse dall’ottocentesco, burbero amburghese.

Nel 1935 Schönberg, di cui ricorrono i 150 anni dalla nascita, forse per prendersi un po’ di… vacanze dai suoi viaggi musicali piuttosto, ehm, faticosi… si divertì ad orchestrare il Primo Quartetto con pianoforte di Brahms.

Togliendo di mezzo, per prima cosa, proprio il pianoforte!

A parte gli scherzi, la scelta di Schönberg ha un senso ben preciso, proprio relativamente all’attributo di progressista da lui affibbiato a Brahms. Poiché il Quartetto in questione è un’opera nella quale un Brahms ancora giovane (28 anni) introduce elementi di grande modernità e innovazioni al limite del… consentito, quanto a rispetto delle forme codificate.

Così nel primo movimento la forma-sonata è interpretata con libertà al limite della dissacrazione: tre temi, ardite concatenazioni tonali, sezioni assai poco equilibrate (esposizione pletorica, sviluppo e coda finale limitati quasi al solo primo tema…); l’Intermezzo è una specie di Scherzo-con-Trio, dove il da-capo dello Scherzo viene seguito da una reminiscenza del Trio per concludere il movimento; nell’Andante con moto, dopo le dolci melodie che lo aprono e lo chiuderanno, ecco un’imprevedibile irruzione di un motivo in ritmo puntato, dal piglio maschio e militaresco; e anche lo scatenato Rondo finale è di struttura assai eterodossa.

E poi, Brahms comincia qui ad impiegare quella che diventerà una caratteristica peculiare delle sue composizioni: la perenne rielaborazione di micro-strutture sonore, sottoposte ad una specie di continua variazione, per creare figurazioni nuove ma allo stesso tempo richiamanti quelle originali: insomma, un continuo sviluppo!

Schönberg non cambia una sola nota di Brahms, ma si permette invece di intervenire su agogica e dinamica, oltre ovviamente (avendo a disposizione un’intera compagine tardoromantica) a distribuire alle diverse sezioni dell’orchestra le frasi musicali e l’accompagnamento in modo assai libero.

In questa fulminante presentazione dell’originale e della sua… copia il Direttore e violinista Joshua Weilerstein arriva a definire il risultato ottenuto da Schönberg come la Sinfonia n°0 di Brahms! E in effetti anche chi ha dimestichezza con il Quartetto fatica quasi a riconoscerlo, in questa lussureggiante veste di cui lo ricopre l’orchestratore!

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Il Tjek ha tutta la partitura in testa e l’ha diretta con il suo gesto signorile (proprio viennese verrebbe da dire…) trascinando l’Orchestra, evidentemente sempre più in sintonia con lui, ad una prestazione davvero maiuscola, accolta da ripetute chiamate con battimani ritmati. E venerdi prossino il nostro torna con un programma che più romantico non si può!

18 settembre, 2024

Chailly e i Gurre alla Scala

Ieri sera la Scala - affollata, ma non proprio esaurita - ha ospitato il terzo ed ultimo dei concerti dedicati da Riccardo Chailly alla riproposta dei monumentali Gurre-Lieder di Arnold Schönberg (di cui ricorrono i 150 anni dalla nascita) che non risuonavano nel teatro da più di 10 lustri (Mehta, 1972 e 73). Da parte sua, Chailly ci ha lasciato una pregevole registrazione dell’opera, datata 1990 a Berlino.

Per l’occasione, al Coro della Scala (Alberto Malazzi) si è aggiunto quello – altrettanto prestigioso – della Radio Bavarese (Peter Dijkstra).

Le voci protagoniste erano Andreas Schager (Re Waldemar) e Camilla Nylund (Tove), affiancati da Okka von der Damerau (Waldtaube), Michael Volle (Bauer e Sprecher) e Norbert Ernst (Klaus Narr). Come si vede, un cast davvero di prim’ordine.
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È lo Schönberg che transita dal tardo-tardo-romanticismo (1900, stesura originaria della composizione) verso l’atonalità (1911, completamento della strumentazione).

Il soggetto, tripartito, basato su poemi del danese Jens Peter Jacobsen, presenta, dopo un’introduzione strumentale, un primo ciclo di 9 Lieder (regolarmente alternati per la voce maschile di Re Waldemar e quella femminile della piccola Tove, di cui il Re è follemente invaghito) che sembrano seguire il modello della grande scena d’amore Tristan-Isolde, e si chiudono con presentimenti di morte.

Dopo un nuovo interludio, ecco l’esplosione del dramma: una colomba (Waldtaube) annuncia – nel 10° Lied - la morte violenta di Tove per mano della gelosa regina Helwig.

La seconda parte, relativamente breve, consta di un unico Lied cantato da Re Waldemar, che impreca contro Dio per il tremendo dolore che gli è stato inflitto con la morte dell’amata.

La terza parte (La folle caccia) ha un sapore misterioso, onirico e (salvo un siparietto buffo) parecchio truce, per poi sfociare in un finale ottimistico. Waldemar (Lied 1) richiama dalla tomba i suoi guerrieri, per marciare su Gurre. Un Contadino (Lied 2) si prepara al peggio, paventando distruzioni da parte di quelle orde. I Guerrieri di Waldemar (Lied 3) si preparano alla caccia selvaggia. Re Waldemar (Lied 4) crede di vedere la povera Tove in ogni angolo: bosco, lago, stelle e nuvole. È il suo autentico delirio d’amore.

Klaus, il buffone (Lied 5) ricorda a sua volta il passato e si augura che nel giorno del giudizio il Creatore lo chiami lassù…  Re Waldemar (Lied 6) sfida ancora Dio a tenerlo separato dalla sua Tove: non accetterà che lei finisca in Paradiso, e lui all’Inferno! Al levar del giorno i guerrieri di Waldemar (Lied 7) si preparano a tornare nelle tombe.

Un lungo interludio evoca ora la folle caccia del vento estivo. Tutta la natura ne è sconvolta, come ci descrive il Recitante (Lied 8). Poi il giorno si fa largo, e i fiori tornano ad aprirsi!

La chiusura è riservata al Coro misto (Lied 9) e al suo inno al sole.     
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Schager e Nylund – non a caso apprezzati Tristan e Isolde nelle recenti recite della Handlung wagneriana sulla verde collina – hanno dato vita ad una prima parte assai coinvolgente, ricca di pathos, in piena integrazione spirituale (ed erotica, va detto…) con la natura circostante, romanticamente amica, complice e protettrice dei loro impulsi amorosi.

Molto efficace il Lied della von der Damerau, che ha drammaticamente evocato la devastante atmosfera seguita alla scoperta della morte di Tove.

Con lei ha sciorinato tutte le sue eccellenti qualità vocali ed espressive il grande Michael Volle, altrettanto convincente come Singer che come Sprecher. Norbert Ernst ha messo la sua chiara voce tenorile al servizio dello stralunato buffone Klaus.

Impeccabili i cori della Scala e della Radio bavarese, che hanno suggellato, nella terza parte, una prestazione complessivamente memorabile, grazie all'Orchestra e a Chailly, che ha guidato tutti con l’autorità e l’autorevolezza che ne contraddistinguono la consuetudine con questo repertorio.

Esito a dir poco trionfale!

12 febbraio, 2023

laVerdi 22-23. Ristretti.2

Oggi pomeriggio è andato in scena in Auditorium il secondo dei tre concerti cosiddetti ristretti (per la durata contenuta, l’organico cameristico e… l’Auditorium con la sola platea accessibile) che fiancheggiano la stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano. Il Direttore di questi concerti è Kolja Blacher, che ci ha proposto un programma tutto viennese, con due opere che stanno ai due estremi della grande stagione musicale della capitale mitteleuropea: poiché ne rappresentano la prima e la seconda scuola.

Anche oggi l’ordine dell’esecuzione dei due brani in programma è stato invertito rispetto alla locandina originaria, quindi si apre con lo Schönberg di Verklärte Nacht. Composta originariamente nel 1899 per sestetto d’archi da un 25enne ancora tardo-romantico e ben lontano dagli approdi seriali (che matureranno nei 20 anni successivi, passando prima per il periodo atonale) fu poi riveduta ed arrangiata per orchestra d’archi nel 1917 e successivamente rivisitata nel 1943, quando l’Autore viveva in USA da 10 anni.

È in buona sostanza un poema sinfonico, essendo ispirata ad un’opera letteraria (di pari titolo) di Richard Dehmel, poeta simbolista-espressionista abbastanza in auge ai tempi.

In Appendice riporto il testo della poesia (tradotto da Ferdinando Albeggiani) e la traduzione (passatempo mio personale) di una nota programmatica redatta dall’Autore nel 1950, in occasione di un’esecuzione americana del brano, corredata da miei riferimenti (di minutaggio) ad un’esecuzione diretta da Neville Marriner con i suoi Accademici.

A completamento della nota dell’Autore si può aggiungere che la macro-struttura del brano presenta cinque sezioni, corrispondenti alle altrettante strofe del poema: quelle dispari evocano lo scenario naturale che fa da sfondo alle esternazioni dei due amanti, le quali occupano le strofe pari (prima la donna, poi l’uomo). 

Come accade per tutta la musica a programma, anche qui l’ascoltatore può seguire due strade per la migliore fruizione del brano: approfondire la conoscenza del soggetto extra-musicale dell’opera, per poi giudicare se l’opera stessa lo interpreti e lo evochi efficacemente o meno; oppure ignorare del tutto il soggetto esterno e giudicare se quella musica sia degna di apprezzamento di per sé

Nel caso specifico, il riferimento extra-musicale è francamente deboluccio e strappalacrime a buonmercato. Tanto che lo stesso Autore, nella premessa del suo scritto del 1950, prima di chiarirci abbastanza minuziosamente i riferimenti precisi al soggetto extra-musicale, finisce per ammetterne (a posteriori) le deficienze, mostrando di comprendere, se non proprio di condividere, i severi giudizi riservati a quel testo da molta critica. E invitandoci quindi a godere della sua opera solo come pura musica!

E direi che l’interpretazione intensa che ne ha dato Blacher e l’esecuzione impeccabile dell’ensemble de laVerdi hanno raggiunto pienamente questo obiettivo!  
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Ecco poi Mozart e la sua ultima sinfonia, la Jupiter. Il cui organico (soltanto 9 fiati: 1-2-0-2-2-2) si attaglia alla perfezione allo spirito del concerto, restituendoci precisamente quell’atmosfera tersa e raffinata, tipica del Settecento mitteleuropeo.   

Una delle curiosità che sempre sorgono in occasione di esecuzioni di queste sinfonie riguarda il rispetto dei cosiddetti da-capo, o ritornelli che dir si voglia. La decisione di rispettarli o di rinunciare ad eseguirli si basa (o dovrebbe…) su motivazioni estetiche. La tradizione del da-capo aveva in origine ragioni d’essere assai concrete: far risentire due volte all’ascoltatore che ignorava quella musica - per ficcarglieli bene in testa - i temi principali, era una pratica necessità, che viene meno quando l’ascoltatore (mediamente informato) già li conosce a menadito e potrebbe trovare pleonastica la loro stucchevole ripetizione. 

Oggi capita quindi di incontrare esecuzioni dello stesso brano con differenze anche enormi di durata. Un esempio per tutti: in questa registrazione di Böhm del 1973 sono tagliati i ritornelli dei due movimenti esterni (il taglio del da-capo dell’esposizione iniziale è a 3’51” del video) e ciò porta a mantenere il tempo totale sotto i 30’. Per confronto, questa recente registrazione con Maazel, che rispetta quasi tutti i ritornelli - il primo è a 4’02” del video - tranne il secondo del Finale, tocca i 40’, ben 12 più di quella di Böhm… Se poi si eseguono tutti i da-capo, come fanno qui i simpatici terroni norvegesi, si arriva anche a passare i 42 minuti!

[In tempi più recenti (parlo della metà del secolo scorso, diciamo dall’arrivo dei vinili e fino a quello dei Compact-Disk) si aggiunse anche un praticissimo vincolo tecnologico-commerciale, dovuto alla capienza (in minuti) di una facciata del disco: i vinili arrivavano a 25, massimo 30 minuti, e una Sinfonia come la Jupiter, che con i ritornelli - come abbiamo constatato - dura ben più di 40 minuti, non ci stava in una facciata ed era assai sconsigliabile costringere l’ascoltatore ad interrompere l’ascolto magari nel bel mezzo di un movimento per girare il vinile sul piatto del giradischi! E allora la soluzione più semplice, in questi casi, consisteva proprio nel sopprimere - magari con interventi di editing in studio - i da-capo.]

Blacher? Su questo particolare aspetto ha seguito l’esempio di Maazel privandoci (eh sì) della ripetizione della seconda sezione del Finale. Ma va ampiamente perdonato, per… tutto il resto che ci ha regalato, guidando Santaniello e la smagrita Orchestra in un autentico viaggio nell’apollineo mondo del Teofilo!

Successo pieno, applausi ritmati e conclusione in gloria!
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Appendice: Verklärte Nacht (Richard Dehmel)

Notte trasfigurata.

Due figure avanzano nel bosco freddo e spoglio,
osservano la luna che sembra accompagnarle nel cammino,
procede la luna sopra le alte querce,
non una nuvola turba la luminosità del cielo
dove scure si stagliano le cime dei monti.
Una voce di donna pronuncia queste parole:

"Io porto un bimbo in grembo, che non è figlio tuo,
io ti cammino al fianco nel peccato.
Ho recato una grave offesa a me stessa.
Non speravo più in una qualche felicità
e tuttavia desideravo ardentemente
una pienezza di vita, la felicità di attendere
ai doveri di una madre; e perciò ho avuto l'audacia
di offrire, con un brivido, il mio sesso
all'amplesso di uno sconosciuto,
e per questo mi sono sentita benedetta.
Ora la vita ha preso la sua vendetta:
e io ho incontrato te, proprio te."

Lei incede con passo incerto.
Alza lo sguardo, verso la luna che l'accompagna.
L'ombra, negli occhi di lei, ne beve la luce.
Una voce di uomo pronuncia queste parole:

"Che il bimbo che hai concepito
non ti sia di fardello per l'anima.
Guarda, come tutto l'universo è luminoso!
Lo splendore discende su ogni cosa qui attorno.
Stai viaggiando con me sopra un mare freddo,
eppure, un intimo calore passa vibrando
da te a me, da me a te.
Trasfigurerà il bimbo di un altro,
e tu lo partorirai per me, come mio figlio.
In me tu hai fatto penetrare lo splendore del mondo,
per merito tuo ritorno bambino."

Poi lui cinge con un abbraccio i fianchi appesantiti di lei.
I loro respiri si fondono in un bacio, nell'aria.
Due figure procedono nella notte vasta e chiara.

(traduzione di Ferdinando Albeggiani)

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Note programmatiche su Verklärte Nacht (di Arnold Schönberg, 1950)

 

Alla fine del secolo XIX, i principali rappresentanti dello Spirito del tempo in poesia erano Detlev von Liliencron, Hugo von Hofmannsthal e Richard Dehmel. Mentre, nel campo musicale, dopo la scomparsa di Brahms, molti giovani compositori seguirono il modello di Richard Strauss, componendo musica a programma. Ciò spiega l’origine di Verklärte Nacht: è musica a programma, che illustra ed esprime i contenuti del poema di Richard Dehmel.

 

Questa mia composizione era probabilmente abbastanza diversa da altre composizioni illustrative, innanzitutto perché non è destinata all’orchestra, ma ad un ensemble cameristico; secondariamente poiché non illustrava un’azione o un dramma, ma era intesa a dipingere la Natura e ad evocare sentimenti dell’animo umano. E mi pare che proprio a causa di questo approccio la mia composizione abbia acquisito qualità apprezzabili anche da chi non conosca l’oggetto che viene illustrato o, in altri termini: essa offre la possibilità di essere apprezzata come musica pura. Il che può consentire all’ascoltatore di dimenticare quel poema che molti, oggigiorno, potrebbero ritenere piuttosto disgustoso.

 

Ciononostante, buona parte del poema merita apprezzamento a causa della rappresentazione poetica di emozioni suscitate dalla bellezza della Natura, e per la sua peculiare attitudine a trattare problemi esistenziali di enorme portata. Seguiamo ora la musica.

  

(3”) Passeggiando in un parco,


(1’33”) in una notte di luna, chiara e fredda,

(2’36”)

 

(3’38”) la donna confessa all’uomo una tragedia, in un drammatico sfogo:


(4’37”) Lei aveva sposato un uomo che non amava. Un matrimonio che la lasciava infelice e sola…


(6’13”) …ma che la costringeva alla fedeltà,


(7’34”) ed ora, obbedendo al richiamo della maternità, lei si trova ad avere un figlio da un uomo che non ama. Eppure si considerava persino meritevole di aver compiuto il suo dovere verso gli obblighi impostile dalla Natura:

 

(9’23”) Un’ascensione cromatica, che elabora il motivo…

…esprime la sua auto-accusa per quel grave peccato.

 

(13’09”) Disperata, ora cammina dietro all’uomo…

…del quale è ora innamorata, temendo che la sua reazione sarà distruttiva.

 

(14’45”) Ma le risponde la voce di un essere umano, un uomo la cui generosità è sublime quanto il suo amore. Questa prima metà della composizione termina in MIb minore (a), del quale rimane, come in una transizione, solo il SIb (b) per collegarla con grande contrasto a RE maggiore (c):

 

(16’43”) Armonici (a) impreziositi da volate con la sordina (b) evocano la bellezza della notte di luna…

 

(17’01”) …e vi aggiungono uno scintillante accompagnamento:

 

(17’18”) Un tema secondario si fa largo,

 

(17’37”) subito trasformandosi in un duetto fra Violino e Cello:

 

La sezione riflette l’umore di un uomo il cui amore, in armonia con lo splendore e la luminosità della Natura, è capace di fargli ignorare la tragica situazione: "Il bimbo che tu porti non deve essere un peso per la tua anima."

 

(19’16”) Dopo aver raggiunto il punto culminante, il duetto si collega, tramite una transizione, ad un nuovo tema:

 

la cui melodia, esprimendo il "calore che scorre da uno di noi nell’altro", il calore dell’amore, è seguita da ripetizioni ed elaborazioni dei temi precedenti, e porta ad un nuovo tema:

(21’34”)

…che evoca la dignitosa decisione dell’uomo: questo calore "trasfigurerà il tuo bimbo, tanto da farlo diventare il mio bimbo".

 

(22’27”) Una salita riporta all’apice e alla ripetizione del tema dell’uomo.

 

(24'48”) Una lunga sezione di coda conclude il lavoro. Il suo materiale musicale consiste in temi delle parti precedenti, tutti rimessi a nuovo, così da render gloria ai miracoli della Natura, che hanno mutato una notte di tragedia in questa notte trasfigurata.

 

Non va dimenticato che il lavoro, alla sua prima esecuzione a Vienna, fu fischiato e scatenò perfino delle scazzottate. Ma ben presto diventò un brano di grande successo.

 

[Copyright by Arnold Schoenberg, August 26, 1950
from: Arnold Schönberg : Self-Portrait. A collection of articles, programme notes and letters by the composer about his own works. Edited by Nuria Schoenberg Nono. Pacific Palisades 1988, p. 119-123] 

17 ottobre, 2012

Il complesecolo di Pierrot festeggiato dall’Orchestraverdi



In aggiunta ai 38 della stagione regolare, laVerdi mette in programma alcuni concerti straordinari, il primo dei quali ha visto ieri sera sul podio (non sempre…) Ruben Jais, che per una volta si è trasferito dal suo mondo barocco a quello della musica del ‘900.

Il 100° anniversario della prima di Pierrot Lunaire è stata l’occasione per presentare – oltre alla festeggiata - alcune altre interessanti opere di Schönberg, a coprire tre diverse stagioni – tonale, atonale, seriale - della produzione dell’inventore (o quasi… per via di un tale Hauer) della dodecafonia.

Iniziativa lodevolmente pubblicizzata anche dalle edizioni del TGR Lombardia (dove evidentemente Jais deve avere qualche amica influente, smile!) il che ha fatto sì che l'Auditorium fosse discretamente popolato. Così come assai interessante e lodevole è stata l'introduzione alla figura del compositore ed ai brani in programma fatta da Anna Maria Morazzoni, una specialista in musica del '900 e di Schönberg in particolare.

Abbiamo quindi ascoltato – senza bisogno di direttori… - la prima versione (per sestetto d'archi) di Verklärte Nacht, opera dello Schönberg ancora legato alla tonalità, sia pure con approccio tardo-romantico o post-wagneriano o come altro lo si vuol chiamare. Questa è la versione dell'opera che personalmente preferisco, di gran lunga rispetto a quella per orchestra da camera, spesso suonata da plotoni di archi che inevitabilmente spogliano questa mirabile partitura – di fatto quartettistica – delle sue peculiari qualità.

Bravissime le prime parti de laVerdi (Santaniello, Viganò, Mugnai, Thanasi, Grigolato e D'Agostino) a porgerci questo autentico gioiello composto precisamente a cavallo fra '800 e '900: musica a programma, ma che si gusta al meglio dimenticando del tutto quel programma balordo (vedi sotto) come del resto consigliava di fare lo stesso autore…
Poi si è fatto un salto di più di 20 anni, direttamente all'inizio del periodo dodecafonico, con l'ascolto di un brevissimo brano (3 minuti o poco più) intitolato Sonetto del Petrarca (CCLVI, n°4 dalla Serenade op.24) con la voce del baritono Christian Miedl. La serie dodecafonica qui impiegata è la seguente: MI-RE-MIb-DOb(SI)-DO-REb-LAb-SOLb-LA-FA-SOL-SIb.
Su ciascuno dei versi della poesia vengono impiegate 11 note, cosicchè ogni verso successivo inizia con la nota precedente nella serie, e al tredicesimo verso si chiude il cerchio. Qui il primo verso e la prima sillaba del successivo:
Insomma, una specie di giochetto reso possibile dalla rigida applicazione della tecnica seriale. Che ci sia in tutto ciò una qualunque narrativa musicale ed un qualunque riferimento al contenuto dei versi, è come minimo opinabile (almeno a mio modestissimo avviso). 
  
In ogni caso Christian Miedl fa del suo meglio per cantarci questo povero Petrarca, già bistrattato dalla traduzione tedesca, e per di più ridotto a sghemba filastrocca… ma va bene così!  
Ora abbiamo la pianista Carlotta Lusa che ci riporta indietro nel tempo, alla stagione dell'espressionismo, con l'esecuzione dei Sex Kleine Klavierstücke op.19, una composizione atonale del 1911 (l'ultimo brano fu scritto l'indomani della morte di Mahler). Si tratta di piccoli pezzi aforistici, in tutto sono solo 75 battute (18 + 9 + 9 + 14 + 15 + 10) per una durata di poco più di 5 minuti. 
È musica – credo io – da ascoltare senza pregiudizi, ma anche senza farsi eccessive aspettative, e senza cercarvi chissà quali reconditi significati universali. E mi pare stucchevole anche la pretesa di individuarne la struttura formale, impiegando categorie del tutto inadatte allo scopo. Per dire, è stupefacente come il pezzo n°6 abbia fatto versare fiumi d'inchiostro agli analisti, tutti intenti a dimostrare – mediante l'uso di strumenti sofisticati, come le tecniche lineari schenkeriane e le teorie generative - che in realtà il brano nasconderebbe una criptica tonalità fondamentale: per gli uni, MI maggiore, per altri addirittura tre: DO, RE e LAb maggiore; per altri ancora MI minore e ancora per altri SOL maggiore… il tutto in queste 10 battute!

Siamo proprio alla paranoia più totale, perché qui è come cercare le leggi che governano un sistema anarchico! O pretendere di dimostrare che l'anarchia è in fin dei conti una semplice variante dello Stato. Dico, se uno buttasse giù note a caso, scelte con un randomizzatore, forse sarebbe capito dai cosiddetti analisti in modo più concorde (smile!)

Per fortuna Carlotta Lusa fa il suo meritorio dovere presentandoci queste pagine con la dovuta concentrazione.
Ha chiuso degnamente la serata la composizione proprio ieri diventata centenaria:

La voce (che canta-recita secondo la tecnica dello Sprechgesang) era quella di Annette Jahns
Il Pierrot, raccolta di brani su testi di Otto Erich Hartleben, liberamente tradotti dall'originale francese di Albert Giraud, è anch'essa un'opera del periodo atonale (1912). Si caratterizza proprio per l'impiego della tecnica consistente nell'applicare al canto le proprietà di accentazione tipiche del parlato (le note parlate sono individuate da una crocetta sul gambo). Qui un esempio (tratto da Der Dandy) di mescolanza di canto e parlato, dove si prescrive, in sole tre battute: cantato, parlato, sussurrato senza suono, parlato con suono (?!):

Ciò può di primo acchito apparire sgradevole ed esasperante, ma paradossalmente è invece musicalissimo (ovviamente con una voce ed una tecnica adeguate, come quelle sciorinate dalla Jahns). Certo non la pensava così Puccini, che in soldoni apostrofò questa musica come marziana (o sarà stato un complimento? smile!) 

Da incallito numerologo ed esoterista il buon Schönberg musicò 21 canzoni, ma tenendo a precisare già nel sottotitolo che sono 3-volte-7. Il parla-canto (o come altro lo vogliamo definire) è accompagnato da otto strumenti (anzi, dovremmo dire: da 7+1, il pianoforte, smile!) che però suonano insieme – ma mai comunque contemporaneamente - soltanto nell'ultimo brano, come si evince da questa tabella:
  
La Annette Jahns mostra di saperla lunga sullo Sprechgesang, dandoci del Pierrot un'interpretazione davvero coinvolgente, benissimo supportata dai ragazzi de laVerdi: Crepaldi su tutti, con flauto e ottavino; poi la bravissima e sempre sorridente Ciapponi, Saredi al clarinetto basso, Santaniello, Mugnai e Grigolato agli archi, oltre alla Lusa al pianoforte. Gran successo che porta al bis dell'ultima poesia (O alter Duft).   
   

Adesso però voglio chiudere con una citazione che già avevo proposto anni fa in occasione di un (poco onorevole, a dirla tutta) ciclo Schönberg-Beethoven alla Scala, gestito da Barenboim: si tratta di questo fulminante (e gustosissimo) pezzo di Davide Daolmi, che a mo' di prefazione all'analisi di Verklärte Nacht sciorina le sue convinzioni sulla dodecafonia e relativi… effetti collaterali. 
Convinzioni che qui confermo solennemente (smile!) di condividere al 100% !
(poi c'è anche chi la butta in vacca proprio del tutto…)