In aggiunta ai 38 della stagione
regolare, laVerdi mette in programma
alcuni concerti straordinari, il primo dei quali ha visto ieri sera sul podio
(non sempre…) Ruben Jais, che per una volta si è
trasferito dal suo mondo barocco a quello della musica del ‘900.
Il 100° anniversario della prima di Pierrot Lunaire è stata l’occasione per
presentare – oltre alla festeggiata - alcune altre interessanti opere di Schönberg, a coprire tre diverse
stagioni – tonale, atonale, seriale - della produzione dell’inventore (o quasi…
per via di un tale Hauer) della dodecafonia.
Iniziativa lodevolmente pubblicizzata anche dalle edizioni del TGR Lombardia (dove evidentemente Jais deve avere qualche amica influente, smile!) il che ha fatto sì che l'Auditorium fosse discretamente popolato. Così come assai interessante e lodevole è stata l'introduzione alla figura del compositore ed ai brani in programma fatta da Anna Maria Morazzoni, una specialista in musica del '900 e di Schönberg in particolare.
Abbiamo quindi ascoltato – senza bisogno di direttori… - la prima versione (per sestetto d'archi) di Verklärte Nacht, opera dello Schönberg ancora legato alla tonalità, sia pure con approccio tardo-romantico o post-wagneriano o come altro lo si vuol chiamare. Questa è la versione dell'opera che personalmente preferisco, di gran lunga rispetto a quella per orchestra da camera, spesso suonata da plotoni di archi che inevitabilmente spogliano questa mirabile partitura – di fatto quartettistica – delle sue peculiari qualità.
Bravissime le prime parti de laVerdi (Santaniello, Viganò, Mugnai, Thanasi, Grigolato e D'Agostino) a porgerci questo autentico gioiello composto precisamente a cavallo fra '800 e '900: musica a programma, ma che si gusta al meglio dimenticando del tutto quel programma balordo (vedi sotto) come del resto consigliava di fare lo stesso autore…
Poi si è fatto un salto di più di 20 anni, direttamente all'inizio del periodo dodecafonico, con l'ascolto di un brevissimo brano (3 minuti o poco più) intitolato Sonetto del Petrarca (CCLVI, n°4 dalla Serenade op.24) con la voce del baritono Christian Miedl. La serie dodecafonica qui impiegata è la seguente: MI-RE-MIb-DOb(SI)-DO-REb-LAb-SOLb-LA-FA-SOL-SIb.
Su ciascuno dei versi della poesia vengono impiegate 11 note, cosicchè ogni verso successivo inizia con la nota precedente nella serie, e al tredicesimo verso si chiude il cerchio. Qui il primo verso e la prima sillaba del successivo:
Insomma, una specie di giochetto reso possibile dalla rigida applicazione della tecnica seriale. Che ci sia in tutto ciò una qualunque narrativa musicale ed un qualunque riferimento al contenuto dei versi, è come minimo opinabile (almeno a mio modestissimo avviso).
In ogni caso Christian Miedl fa del suo meglio per cantarci questo povero Petrarca, già bistrattato dalla traduzione tedesca, e per di più ridotto a sghemba filastrocca… ma va bene così!
Ora abbiamo la pianista Carlotta Lusa che ci riporta indietro nel tempo, alla stagione dell'espressionismo, con l'esecuzione dei Sex Kleine Klavierstücke op.19, una composizione atonale del 1911 (l'ultimo brano fu scritto l'indomani della morte di Mahler). Si tratta di piccoli pezzi aforistici, in tutto sono solo 75 battute (18 + 9 + 9 + 14 + 15 + 10) per una durata di poco più di 5 minuti.
È musica – credo io – da ascoltare senza pregiudizi, ma anche senza farsi eccessive aspettative, e senza cercarvi chissà quali reconditi significati universali. E mi pare stucchevole anche la pretesa di individuarne la struttura formale, impiegando categorie del tutto inadatte allo scopo. Per dire, è stupefacente come il pezzo n°6 abbia fatto versare fiumi d'inchiostro agli analisti, tutti intenti a dimostrare – mediante l'uso di strumenti sofisticati, come le tecniche lineari schenkeriane e le teorie generative - che in realtà il brano nasconderebbe una criptica tonalità fondamentale: per gli uni, MI maggiore, per altri addirittura tre: DO, RE e LAb maggiore; per altri ancora MI minore e ancora per altri SOL maggiore… il tutto in queste 10 battute!
Siamo proprio alla paranoia più totale, perché qui è come cercare le leggi che governano un sistema anarchico! O pretendere di dimostrare che l'anarchia è in fin dei conti una semplice variante dello Stato. Dico, se uno buttasse giù note a caso, scelte con un randomizzatore, forse sarebbe capito dai cosiddetti analisti in modo più concorde (smile!)
Per fortuna Carlotta Lusa fa il suo meritorio dovere presentandoci queste pagine con la dovuta concentrazione.
Ha chiuso degnamente la serata la composizione proprio ieri diventata centenaria:
La voce (che canta-recita secondo la tecnica dello Sprechgesang) era quella di Annette Jahns.
Il Pierrot, raccolta di brani su testi di Otto Erich Hartleben, liberamente tradotti dall'originale francese di Albert Giraud, è anch'essa un'opera del periodo atonale (1912). Si caratterizza proprio per l'impiego della tecnica consistente nell'applicare al canto le proprietà di accentazione tipiche del parlato (le note parlate sono individuate da una crocetta sul gambo). Qui un esempio (tratto da Der Dandy) di mescolanza di canto e parlato, dove si prescrive, in sole tre battute: cantato, parlato, sussurrato senza suono, parlato con suono (?!):
Ciò può di primo acchito apparire sgradevole ed esasperante, ma paradossalmente è invece musicalissimo (ovviamente con una voce ed una tecnica adeguate, come quelle sciorinate dalla Jahns). Certo non la pensava così Puccini, che in soldoni apostrofò questa musica come marziana (o sarà stato un complimento? smile!)
Da incallito numerologo ed esoterista il buon Schönberg musicò 21 canzoni, ma tenendo a precisare già nel sottotitolo che sono 3-volte-7. Il parla-canto (o come altro lo vogliamo definire) è accompagnato da otto strumenti (anzi, dovremmo dire: da 7+1, il pianoforte, smile!) che però suonano insieme – ma mai comunque contemporaneamente - soltanto nell'ultimo brano, come si evince da questa tabella:
La Annette Jahns mostra di saperla lunga sullo Sprechgesang, dandoci del Pierrot un'interpretazione davvero coinvolgente, benissimo supportata dai ragazzi de laVerdi: Crepaldi su tutti, con flauto e ottavino; poi la bravissima e sempre sorridente Ciapponi, Saredi al clarinetto basso, Santaniello, Mugnai e Grigolato agli archi, oltre alla Lusa al pianoforte. Gran successo che porta al bis dell'ultima poesia (O alter Duft).
Adesso però voglio chiudere con una citazione che già avevo proposto anni fa in occasione di un (poco onorevole, a dirla tutta) ciclo Schönberg-Beethoven alla Scala, gestito da Barenboim: si tratta di questo fulminante (e gustosissimo) pezzo di Davide Daolmi, che a mo' di prefazione all'analisi di Verklärte Nacht sciorina le sue convinzioni sulla dodecafonia e relativi… effetti collaterali.
Adesso però voglio chiudere con una citazione che già avevo proposto anni fa in occasione di un (poco onorevole, a dirla tutta) ciclo Schönberg-Beethoven alla Scala, gestito da Barenboim: si tratta di questo fulminante (e gustosissimo) pezzo di Davide Daolmi, che a mo' di prefazione all'analisi di Verklärte Nacht sciorina le sue convinzioni sulla dodecafonia e relativi… effetti collaterali.
Convinzioni che qui confermo solennemente (smile!) di condividere al 100% !
(poi c'è anche chi la butta in vacca proprio del tutto…)
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