Dopo più di due anni dalla mancata Seconda, il divino Claudio si è finalmente presentato sul palco del Piermarini per offrirci la Sesta di Mahler. Chissà se nel frattempo Milano si è ricoperta di una foresta d'alberi (così, a prima vista, sembrerebbero cresciuti di più i pilastri di calcestruzzo…) In ogni caso il pubblico ha dimenticato forfait e platani e gli ha riservato l'accoglienza che obiettivamente si merita: trionfale. Purtroppo gli è mancato l'applauso e l'abbraccio della sorella Luciana, scomparsa proprio due giorni fa.
Prima di Mahler abbiamo avuto l'ultimo successore di Abbado alla guida dei Musikanten scaligeri che si è cimentato nella sua originaria specialità, il pianoforte, eseguendo il Primo Concerto di Chopin. Ora, se Chopin è sinonimo di rubato, allora Barenboim ha fatto… la rapina del secolo (stra-smile!) Poi ha pure fatto un discorsetto per spiegare la mancanza di un… bis!
Ma torniamo ora al clou della serata e a Mahler: intanto, sul fronte della scelta interpretativa Abbado ha optato per la collocazione dell'Andante prima dello Scherzo, approccio che ultimamente pare essere una sua costante (diverso da quello delle prime esecuzioni di qualche lustro addietro…) e che sembrerebbe guidato dalla volontà di spogliare l'opera dalle troppe incrostazioni extra-musicali, rimettendola su un solido binario estetico più vicino al classicismo (o magari all'espressionismo…) che al tardo-romanticismo.
La sua è una direzione asciutta, quasi ieratica, scevra da facili gigionerie (anche dove la partitura potrebbe facilmente indurre il Direttore in… tentazione) che tende precisamente a fare emergere ciò che di assoluto (musicalmente ed esteticamente parlando) Mahler ha incorporato in quest'opera.
Il risultato è stato di alto livello, anche se l'ipertrofia dei mezzi (gli archi, massimamente – ho contato 16 contrabbassi e altrettanti violoncelli – mentre fiati e percussioni erano, triangoli a parte, nelle prescrizioni mahleriane o poco più) non mi pare abbia portato un proporzionale innalzamento della qualità del suono. Evidentemente Abbado, unendo le forze della sua Orchestra Mozart - in cui peraltro suonano fior di prime parti di fama internazionale - a quelle della Filarmonica da lui fondata 30 anni orsono, ha inteso dare all'evento un ulteriore carattere, come dire, celebrativo: festeggiando il ritorno in Scala con la sua prima e la sua più recente creatura. Con un equilibrio migliore mi aveva personalmente colpito, nella stessa sala del Piermarini, la prestazione di Harding con la LSO.
Comunque la festa non è certo mancata: pochi (troppo pochi!) attimi dopo il LA pizzicato degli archi, a chiudere la Tragica, sulla triade di LA minore delle trombe e sull'ultimo sommesso colpo di grancassa, un grazie maestro! piovuto dalla seconda galleria ha purtroppo rotto l'incantesimo, dando di fatto inizio al quinto movimento della sinfonia, suonato dalle sole percussioni: le mani degli spettatori e i piedi dei musicisti. Un movimento durato almeno quanto l'Andante, con il quale il suo pubblico ha voluto salutare e ringraziare un Maestro che a Milano ha davvero lasciato il segno.
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