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07 novembre, 2023

Orchestra Sinfonica di Milano – Mahler-Festival#10

L’Orchestra ospite per questa puntata del Festival era la Haydn di Bolzano&Trento, guidata dal suo Direttore Principale, Ottavio Dantone.

Ecco quindi, proseguendo il mahleriano pellegrinaggio in rigorosa sequenza, la Settima. Sicuramente la Sinfonia meno eseguita (e quindi meno conosciuta e amata dal pubblico) forse per colpa del sistema mediatico di divulgazione, che deve sempre trovare qualunque stereotipo – extramusicale, si badi bene! - atto a colpire l’immaginazione dell'ascoltatore.

Così, ad esempio: Mahler, il titano che trionfa nella Prima e poi viene sepolto e risorge nella Seconda, quindi viene bastonato (anzi… martellato) nella Sesta; o il Mahler sdolcinato e fischiettabile della Quarta; oppure quello ipertrofico e sesquipedale della Terza e dell’Ottava; o quello supposto decadente (Adagietto della Quinta) che viene impropriamente strumentalizzato da Visconti; o quello disperato che sente il suo cuore perder colpi e tirare gli ultimi (Lied von der Erde e Nona…)   

Insomma, per la Settima il marketing non trova un posto adeguato in tale agiografia, e così l’opera finisce direttamente – quanto immeritatamente - nel dimenticatoio… (E allora mi permetterò di proporne una mia velleitaria analisi, con citazione illustre...)      

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Devo dire che l’esecuzione della Haydn mi ha convinto a metà: Dantone (che ha diretto a mani nude, come Angius la Sesta) ha mostrato di padroneggiare assai bene questa sbifida partitura (in fondo è un Mahler che si picca di rivaleggiare con… Bach, che il Direttore conosce come le sue tasche). L’orchestra invece ha avuto qualche défaillance, in specie negli ottoni: anche il Tenor-Horn ha sbucciato proprio l’entrata… un vero peccato, poiché in seguito si è riscattato alla grande. E poi l’amalgama tra le sezioni non sempre mi è parso ottimale. 

Ma, come accaduto per le altre Orchestre ospiti, anche la Haydn è stata accolta dal folto pubblico dell’Auditorium con vivaci manifestazioni di consenso. Il che, per Orchestra e Direttore, rappresenta comunque un buon viatico per le due riprese… a casa loro, di giovedi e venerdi.

25 febbraio, 2017

2017 con laVerdi – 9


Non è laVerdi ad esibirsi questa settimana in Auditorium, ma la Haydn di Bolzano&Trento, nell’ambito delle iniziative di reciproca ospitalità fra orchestre italiane (ad aprile ci sarà – in abbonamento - un analogo scambio di cortesie con la Toscanini) ed estere (lunedi 27 – fuori abbonamento - saranno i Mannheimer Philharmoniker a suonare con Francesca Dego).

Benjamin Bayl, un canguro 39enne trapiantato in Europa, propone un programma a base di Mozart e – guarda caso – Haydn, aperto però da un modernissimo Ivan Fedele.

Del quale ascoltiamo i primi due movimenti (per così dire) di Lexicon III, la cui prima è proprio fresca fresca, avendo avuto luogo a Bolzano solo martedi scorso. Come spiega lo stesso Autore sul Programma di sala, l’opera si ispira ad Italo Calvino ed in particolare a conferenze tenute dallo scrittore ad Harvard nel 1985 che ebbero come oggetto il futuro della letteratura nel terzo millennio e hanno come titoli le caratteristiche che dovrebbe possedere un’opera letteraria del futuro per sopravvivere all’assalto della tecnologia: Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità e Consistenza. Il Lexicon III – per ora sono stati composti i primi 4 titoli - li raggruppa a coppie (circa 10’ di musica a coppia) e ciò che si ascolta qui è la prima delle tre coppie: 1.Leggerezza, 2.Rapidità (la seconda verrà proposta al pubblico prossimamente in quel di Padova).

L’organico prevede fiati (15 esecutori, esclusa la tuba) arpa, archi e percussioni più un campionatore di suoni.

Cedo quindi la parola all’Autore:
Ecco quindi che la finalità di questo lavoro è quella di sottolineare, ancora una volta, il primato dell’immaginazione attraverso una mia personale declinazione di quei concetti che sono stati sempre alla base della mia esperienza di compositore. Di ognuno di quei temi (perche di temi si tratta) avrei potuto scrivere molte variazioni. Mi sono limitato a proporre le interpretazioni che, a mio avviso, testimoniano meglio l’estetica degli ultimi anni; un’estetica che propone un concetto di narrazione diverso da quello d’ispirazione letteraria, ma piu vicino alla nozione di un tempo che rivela gradualmente le qualità intrinseche di un pensiero musicale gia costituito in sè, in cui non esistono personaggi (micro e macro figure musicali) che appaiono sulla scena raccontando una trama che si evolve nel tempo.

Insomma, se capisco bene: immergersi nei suoni senza cercarvi alcuna narrativa, ma abbandonandosi ad essi per condividere l’ispirazione del compositore. 

Che dire: la Leggerezza è un tappeto quasi continuo di tremoli di archi sul quale cadono delicate gocce d’acqua (ciò io ho immaginato con fervida fantasia) mentre la Rapidità ho faticato a riscontrarla, in mezzo a scrosci sonori che cascavano qua e là su un terreno accidentato.

Applausi di stima, ma che lasciano l’impressione (abbastanza comune in occasioni simili) che il pubblico (ieri non propriamente oceanico) si senta in credito col mondo per aver fatto un fioretto quaresimale, ecco.
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La 22enne coreana Ji-Yeong Mun (Chloe Mun in arte) vincitrice del Concorso Busoni 2015 arriva poi a proporci il 22° concerto del Teofilo, il K482 in MIb maggiore. Composto a fine del 1785, quindi nel periodo viennese (è contemporaneo delle Nozze, che vi fanno pure capolino) ha un suo antesignano nel K271, nella stessa tonalità, composto quasi 10 anni prima a Salzburg (si dice per un’avvenente pianista francese, tale Jeunhomme, da cui prese il nickname).

Si tratta di due concerti dalla struttura e dalle dimensioni ragguardevoli (passano abbondantemente i 30’, cosa quasi inaudita ai tempi) e che presentano similitudini in particolare nell’Andante centrale in DO minore e soprattutto nel veloce Rondo conclusivo, dove incorporano sorprendentemente un’ampia sezione lenta di Menuetto (ben 70 battute nel K271 e 46 nel K482). Il K482 ha persino una... finta conclusione, con due battute dove l’intera orchestra scala la triade di MIb in quella che parrebbe proprio la cadenza conclusiva, e invece un tappeto dei fiati prepara il ritorno del solista per altre 7 battute, prima che finalmente l’orchestra si decida a finirla lì! Novità assoluta è anche l’impiego dei clarinetti a rimpiazzare gli oboi, che a quell’epoca la facevano da padrone.

Magnifica la prestazione della coreanina (presentatasi in un lungo e vaporoso rosa pallido): una delicatezza di tocco straordinaria, dei pianissimo emozionanti. E naturalmente una tecnica sopraffina: il concerto non deve essere dei più impervi, ma la sola cadenza dell’Allegro conclusivo è stata un probante banco di prova. Per lei un gran trionfo. Pochi mesi fa si era esibita a Trieste in Chopin e l’autorevole Amfortas ne aveva scritto pure in termini assai positivi. Curiosità: ieri ci ha offerto lo stesso bis di allora (Widmung).
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A chiusura (ufficiale) del concerto una delle sinfonie londinesi di Haydn, la 101, denominata La pendola, per via della scansione da orologio che caratterizza il secondo movimento. Sinfonia assai pretenziosa (come tutte le sorelle albioniche del resto, vedi la 94 ascoltata qui pochissimo tempo fa, e come quelle immediatamente anteriori, parigine) poichè destinata ad un uditorio con il palato assuefatto alle meraviglie di Händel, e allo stesso tempo aperto alle più ardite innovazioni. E la 101, come vedremo, di innovazioni ne contiene una quantità sufficiente ad accontentare anche i più esigenti. Proviamo a seguirla in questa (ormai) storica incisione del compianto Harnoncourt con i tulipani.
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L’introduzione lenta (Adagio, 3/4) non è tra le più lunghe (33 battute) di Haydn, ma è comunque assai complessa: si apre infatti con 4 battute di RE minore, dove troviamo una scala ascendente che verrà ripresa nel primo tema, sfocianti in una fermata (17”) sulla dominante LA maggiore; seguono poi (23”) altre 8 battute in RE minore, sfocianti questa volta (52”) sulla relativa FA maggiore; ancora (1’01”) 11 battute che, attraverso una drammatica settima diminuita (FA#-LA-DO-MIb, a 1’27”) ci traghettano verso l’accordo (1’47”) di dominante (LA-DO#-MI) che prepara a sua volta l’attacco (1’57”) dell’esposizione, Presto in RE maggiore (6/8).

La cui struttura è ovviamente in forma-sonata, ma sempre con le tipiche caratteristiche haydn-iane: i due temi che non contrastano assolutamente, uno sviluppo relativamente breve ed una ripresa chiusa dalla reiterazione del primo tema.

L’esposizione presenta dunque un primo tema in RE maggiore, negli archi e subito ripreso (2’05”) anche dai fiati e dalla piena orchestra. A 2’19 ecco una fermata sulla dominante LA e poi una variante del tema che fa da ponte modulante verso il LA maggiore (2’47”) del secondo tema. Il quale poco contrasta con il primo, da esso distinguendosi più che altro per l’iniziale leggerezza di strumentazione, ridotta ai soli violini con accompagnamento sommesso degli altri archi. Presto però (3’02”) anche questo tema si arricchisce di sonorità con l’intervento dei fiati che lo sviluppano fino alla chiusa (3’25”) che ci rimanda da-capo.

Lo sviluppo (4’52”) è basato prevalentemente sul secondo tema, che si contrappunta con spezzoni del primo e viene sottoposto a variazioni, manipolazioni e modulazioni (LA maggiore, 5’03” FA# minore, 5’16” DO maggiore, 5’33” MI minore, 5’43” SOL maggiore, 5’58” SI minore e ancora 6’00” SOL maggiore) prima di arrivare alla ripresa (6’16”) del primo tema e quindi (6’43”) del secondo, esposto ora canonicamente in RE maggiore. Ma è ancora il primo tema (7’46”) nei violini, mentre il flauto fa sentire le 4 note del Magnificat (usate da Mozart come tema del finale della sua ultima sinfonia) a chiudere il movimento.

Ecco poi l’Andante (2/4, SOL maggiore). Ha una struttura ibrida, a metà fra il rondò e il tema con variazioni. È aperto (8’12”) dai fagotti sul pizzicato di violini secondi, celli  e bassi ad evocare il tlic-tlac di una pendola. I violini primi già a battuta 2 espongono il tema principale, dal carattere marziale, ripetuto a 8’41”. Un ponte costituito da un motivo puntato e staccato (9’09”) che modula temporaneamente a RE maggiore e richiama la chiusura del tema, porta alla riesposizione dello stesso in SOL (9’48”): come la prima, anche questa sezione è ripetuta a 10’16”.

A 11’19” ecco un’improvvisa esplosione in SOL minore (indicato esplicitamente!) che apre una sezione nuova (tipo rondò) e poi (11’35”) presenta una modulazione alla relativa SIb maggiore (dove fa capolino a 11’47” l’Inno imperiale!) e quindi (12’08”) il ritorno a SOL minore, con chiusura sul RE, dominante della tonalità di base (maggiore, come indicato in partitura...) in cui viene riesposto (12’38”) il tema principale, sottilmente variato ed abbellito, in un’atmosfera sommessa e piena di lirismo. Cosa che si ripete poco dopo (13’48”).

Ora una vera e propria genialata di Haydn, di quelle destinate a generare sorpresa e meraviglia nell’esigente e modernista pubblico londinese: a 14’20” ecco infatti una lunga pausa che serve praticamente a far decantare nella nostra mente il SOL maggiore, in modo da rendere meno traumatico il passaggio ad una tonalità assai lontana (la sesta abbassata, MIb) in cui il tema principale viene riproposto in un’ennesima variante. A 14’49” si ha il ritorno (dominante RE) verso SOL maggiore per una nuova riproposizione (15’04”) del tema principale adesso con piglio enfatico e retorico (tipo sfilata della Guardia Reale) che poi sfuma provvisoriamente per riprendere (16’05”) con immutato vigore. Ma siamo alla fine della... sfilata e quindi (16’33”) subentra una mirabile cadenza che pare seguire il corteo che si perde in lontananza.

Ora il canonico Menuetto (Allegretto, 3/4, RE maggiore) che Haydn, per accontentare i raffinati palati londinesi, spoglia delle classiche leziosità viennesi per trasformarlo quasiquasi in uno Scherzo (anticipando così nientemeno che il grande Beethoven!)

A 16’53” viene esposto il tema principale, di piglio fiero e nobile, ripreso (17’02”) per poi modulare e chiudere sulla dominante LA (17’21”) dove abbiamo il da-capo. La seconda sezione (17’49”) si apre in tono più dimesso, ma ben presto (18’09”) si rifà vivo il tema principale, che va a chiudere il Menuetto, una prima volta (18’40”) con il da-capo di questa seconda sezione.

Il Trio (19’33”) ci presenta un’altra sorpresa: invece di una calma e notturna sezione (normalmente affidata il corni o ai fiati) qui è costituito da arabeschi in staccato del flauto intercalati da esplosioni di tutti orchestrali. Non molto diversa anche la seconda sezione (20’01”) che è però più lunga, sottilmente dissonante e chiude (20’45”) con un da-capo. Suggella il tutto la canonica ripresa del Menuetto (21’30”).

Il Finale (Vivace, RE maggiore, 4/4 alla breve) è ancora un ibrido: forma sonata con spruzzate di rondò e frequenti variazioni. Si apre (22’50”) con un tema di 8 battute che attacca con una scala ascendente (un po’ la caratteristica della sinfonia) fatto di botta-e-risposta attorno alla tonica ed esposto sommessamente dagli archi. Il tutto ripetuto a 22’58”. Un controsoggetto (23’07”) suonato sempre piano riporta (23’19”) al tema principale e poi viene ripetuto (23’28”).

A 23’47” ecco uno scoppio dell’intera orchestra e un lungo ponte che porta dapprima (23’59”) e fugacemente alla sottodominante SOL maggiore, poi ancora dal RE al SI minore (24’04”) e infine (24’07”) al LA maggiore, la tonalità dominante che ci dice che sta per arrivare il secondo tema. Il quale arriva (24’22”) portato con discrezione dai fagotti appoggiati da oboi e archi. Ancora uno scoppio orchestrale (24’34”) con flauti e violini impegnati in volate di crome fino ad una pausa (24’54”) dalla quale parte un nuovo ponte che ci porta (25’05”) al RE maggiore del primo tema. Che torna ancora (25’32”) variato negli archi.

Nuovo scossone (25’39”) con esplicita indicazione di minore (RE) e successiva modulazione alla relativa FA maggiore (25’56”) e poi ancora (26’15”) a RE minore con fermata sulla dominante LA. Da qui (26’31”) riecco il RE (maggiore, come indicato per i distratti...)

Haydn però vuole stupirci tutti e che ti inventa? Una spettacolare fuga sul tema principale! Che inizia sommessamente per arrivare (27’17”) ad una nuova esplosione generale ed avviare la discesa finale, chiusa (27’45”) da una stentorea cadenza.
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Convincente la lettura di Bayl (gesto sobrio ma evidentemente efficace) e splendida prestazione dell’Orchestra (schierata con le viole al proscenio) fortissima davvero in tutte le sezioni. Applausi calorosi ripagati da un bis davvero entusiasmante (che ci ha riportato al Mozart del K482): l’Ouverture delle Nozze! Archi di compattezza assoluta (fanno meravigliare ancor oggi, figuriamoci come doveva prendere questa musica il pubblico di 220 anni fa!) e fiati squillanti e penetranti. Gran trionfo per tutti e lunga vita alla Haydn!
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Allego con l’occasione uno scritto sulle sinfonie di Haydn di Danilo Prefumo, pubblicato nel gennaio 1988 sulla rivista Musica&Dossier. 

28 marzo, 2015

Orchestraverdi 14-15 – Concerto n° 27


Ricambiando la cortesia di una visita fatta da laVERDI qualche mese fa a Bolzano&Trento, ecco la gloriosa Orchestra Haydn occupare la scena dell’Auditorium sotto gli occhi del suo Direttore musicale Daniele Spini e la guida del suo Direttore principale, il 53enne estone Arvo Volmer, per proporci un bel concerto di impaginazione classica.  

Concerto che si apre con la Leonore N°2, Ouverture che Beethoven antepose alla prima versione (1805) del Fidelio, quella in tre atti che venne subito rimaneggiata per il secondo (e altrettanto sfortunato) ciclo di rappresentazioni del 1806. Dove l’opera è ridotta in due atti e dove l’Ouverture diventa la Leonore N°3, che è un mirabile perfezionamento della precedente (anche se poi, nel 1814, Beethoven la sostituirà con quella definitiva, battezzata con il nome stesso dell’Opera).

Come puro esercizio accademico, vediamo quali sono le differenze fra le due Leonore, facendoci aiutare da Claudio Abbado (che ha eseguito in concerto e inciso con i Wiener tutte le 4 versioni delle Ouverture, inclusa la Leonore N°1, composta probabilmente dopo la N°3, da cui prende decisamente le distanze, e comunque mai eseguita in teatro.)   

Come considerazione preliminare e di pura curiosità si noti come sotto la bacchetta di Abbado la N°2 duri qualcosa in più della N°3 (15’20” contro 13’35”) nonostante quest’ultima abbia108 battute in più (638 contro 530). Dal punto di vista dei contenuti, le due sorelle hanno una macro-struttura assai simile (Adagio – Allegro – Sostenuto – Allegro - Presto) ma nei dettagli le differenze sono molte e consistenti. Analogamente dicasi per i temi principali, che sono sostanzialmente tre, ma diversamente trattati: quello che viene etichettato come Florestan (perché cantato dal protagonista nella scena di apertura dell’atto secondo – terzo nella prima edizione 1805) e quello che chiamerò io eroico (non avendo trovato altre etichettature più precise, mai ricorrendo quel tema dentro l’opera); ad essi va aggiunto il motivo della trombetta del tirapiedi di Pizarro (quello che annuncia l’arrivo del Ministro) anzi: i due motivi, chè sono assai diversi fra le due versioni dell’opera (e delle rispettive ouverture). La Leonore N°3 presenta inoltre almeno tre nuovi motivi-ponte con una propria spiccata personalità.

Nello specchietto che segue ho riassunto le strutture delle due ouverture e i minutaggi di Abbado nelle due esecuzioni. Si potrà notare anche a prima vista quali e quante siano le differenze fra le due versioni: la N°3 lascia molto più spazio alla sezione in Allegro dopo gli interventi della tromba, essendo invece più asciutta nella parte iniziale e centrale.


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Volmer, che ha schierato le viole al proscenio, dirige con grande aplombe (ricorda un po’ nel fisico il grande Böhm) con gesti misurati e severi, bacchetta per il tempo, mano sinistra per le dinamiche. La sua è una lettura severa e rigorosa, come si addice al soggetto. L’orchestra ha un bel suono brillante (poco tedesco, devo dire) e ne esce un’esecuzione pregevole, accolta con calore dal pubblico (non proprio oceanico) dell’Auditorium.
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Poi abbiamo Jeu de cartes di Stravinski, tutt’altra musica davvero! Che forse Volmer ha preso un po’ troppo… sul serio, sacrificando qualcosa del brio e della’impertinenza del brano (non dimentichiamo che è musica per un balletto sul tema del poker). Mi è anche parso che la seconda mano della partita sia iniziata con una… carta fuori posto (corni o trombe?) Comunque un’esecuzione di tutto rispetto, che ha indotto il pubblico a tre chiamate del Direttore, cui il Konzertmeister Stefano Ferrario ha addirittura negato la quarta, inchinandosi e girando i tacchi mentre Volmer si apprestava a uscire!      
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Chiude il concerto la celebre Prima Sinfonia di Robert Schumann (sulla quale in passato avevo scritto qualche nota analitica in occasione di una proposta dell’Orchestra che la tenne a battesimo, nota cui rimando i… volonterosi).

Esecuzione vibrante e quasi integrale (Volmer ha omesso il da-capo del Finale) che ha messo in mostra la grande compattezza dell’orchestra e l’equilibrio fra le sezioni, tutte sollecitate dalla scrittura aspra e teatrale di Schumann. Perdoneremo al Direttore la libertà che si è preso nell’anticipare di 10 battute buone il Poco a poco accelerando del finale, per creare un effetto tanto indebito quanto… trascinante. Ma il pubblico ha evidentemente gradito, tributando a tutti lunghi e meritati applausi.

In definitiva, una graditissima visita e una bella serata di musica!