Ricambiando
la cortesia di una visita fatta da laVERDI qualche mese fa a
Bolzano&Trento, ecco la gloriosa Orchestra
Haydn
occupare la scena dell’Auditorium sotto gli occhi del suo Direttore musicale Daniele Spini e la guida del suo Direttore principale, il
53enne estone Arvo Volmer, per
proporci un bel concerto di impaginazione classica.
Concerto
che si apre con la Leonore N°2, Ouverture che Beethoven
antepose alla prima versione (1805) del Fidelio,
quella in tre atti che venne subito rimaneggiata per il secondo (e altrettanto
sfortunato) ciclo di rappresentazioni del 1806. Dove l’opera è ridotta in due
atti e dove l’Ouverture diventa la Leonore
N°3, che è un mirabile perfezionamento della precedente (anche se poi, nel
1814, Beethoven la sostituirà con quella definitiva, battezzata con il nome
stesso dell’Opera).
Come puro
esercizio accademico, vediamo quali sono le differenze fra le due Leonore,
facendoci aiutare da Claudio Abbado
(che ha eseguito in concerto e inciso con i Wiener
tutte le 4 versioni delle Ouverture, inclusa la Leonore N°1, composta probabilmente dopo la N°3, da cui prende decisamente le distanze, e comunque mai
eseguita in teatro.)
Come
considerazione preliminare e di pura curiosità si noti come sotto la bacchetta
di Abbado la N°2 duri
qualcosa in più della N°3
(15’20”
contro 13’35”) nonostante quest’ultima abbia108 battute in più (638
contro 530). Dal punto di vista dei contenuti, le due sorelle hanno una macro-struttura
assai simile (Adagio – Allegro – Sostenuto – Allegro - Presto) ma nei dettagli le
differenze sono molte e consistenti. Analogamente dicasi per i temi principali,
che sono sostanzialmente tre, ma diversamente trattati: quello che viene
etichettato come Florestan (perché cantato
dal protagonista nella scena di apertura dell’atto secondo – terzo nella prima
edizione 1805) e quello che chiamerò io eroico
(non avendo trovato altre etichettature più precise, mai ricorrendo quel tema dentro
l’opera); ad essi va aggiunto il motivo della trombetta del tirapiedi di Pizarro (quello che annuncia l’arrivo
del Ministro) anzi: i due motivi, chè sono assai diversi fra le due versioni
dell’opera (e delle rispettive ouverture). La Leonore N°3 presenta inoltre almeno
tre nuovi motivi-ponte con una
propria spiccata personalità.
Nello specchietto
che segue ho riassunto le strutture delle due ouverture e i minutaggi di Abbado
nelle due esecuzioni. Si potrà notare anche a prima vista quali e quante siano le
differenze fra le due versioni: la N°3 lascia molto più spazio alla sezione in Allegro dopo gli interventi della tromba,
essendo invece più asciutta nella parte iniziale e centrale.
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Volmer, che ha
schierato le viole al proscenio, dirige con grande aplombe (ricorda un po’ nel fisico il grande Böhm) con gesti misurati e severi, bacchetta per il tempo, mano
sinistra per le dinamiche. La sua è una lettura severa e rigorosa, come si
addice al soggetto. L’orchestra ha un bel suono brillante (poco tedesco, devo dire) e ne esce
un’esecuzione pregevole, accolta con calore dal pubblico (non proprio oceanico)
dell’Auditorium.
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Poi abbiamo
Jeu
de cartes di Stravinski,
tutt’altra musica davvero! Che forse Volmer ha preso un po’ troppo… sul serio,
sacrificando qualcosa del brio e della’impertinenza del brano (non
dimentichiamo che è musica per un balletto sul tema del poker). Mi è anche parso che la seconda mano della partita sia
iniziata con una… carta fuori posto (corni o trombe?) Comunque un’esecuzione di
tutto rispetto, che ha indotto il pubblico a tre chiamate del Direttore, cui il
Konzertmeister Stefano Ferrario ha
addirittura negato la quarta, inchinandosi e girando i tacchi mentre Volmer si
apprestava a uscire!
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Chiude il
concerto la celebre Prima Sinfonia di Robert
Schumann (sulla quale in passato avevo scritto qualche nota analitica in occasione di una proposta
dell’Orchestra che la tenne a battesimo, nota cui rimando i… volonterosi).
Esecuzione vibrante
e quasi integrale (Volmer ha omesso il da-capo del Finale) che ha messo in mostra la grande compattezza dell’orchestra
e l’equilibrio fra le sezioni, tutte sollecitate dalla scrittura aspra e teatrale
di Schumann. Perdoneremo al Direttore la libertà che si è preso nell’anticipare
di 10 battute buone il Poco a poco accelerando
del finale, per creare un effetto tanto indebito quanto… trascinante. Ma il pubblico
ha evidentemente gradito, tributando a tutti lunghi e meritati applausi.
In definitiva,
una graditissima visita e una bella serata di musica!
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