Ieri, in una
Fenice abbastanza affollata, complice (o nonostante) un inizio di… inverno, è
andata in scena la seconda
rappresentazione di Alceste. Firmato dalla coppia Pizzi-
Tourniaire.
La diffusione
di Radio3 della prima di venerdi
scorso (cui ha assistito il venetiofobo Amfortas
riportandone impressioni positive) mi aveva un filino deluso sul piano dei contenuti (si intuiva già dai
tempi indicati per lo spettacolo che ci fossero tagli non propriamente
marginali) mentre mi aveva abbastanza soddisfatto su quello dell’esecuzione
musicale.
L’allestimento
di Pier Luigi Pizzi prevede un solo
intervallo, collocato - per equilibrare i tempi delle due parti - dopo la Scena
II dell’Atto II. Questo comporta qualche teorico scompenso a livello del
respiro dello spettacolo, che in origine prevede due fermate in momenti topici
e paralleli: lo sconcerto generale per il destino di Admeto e quello analogo
per il destino di Alceste, sostituitasi al marito.
Qui invece la
prima parte, dopo l’Atto I, prosegue con la proposizione anticipata del Pantomimo numi
infernali, che è in origine proprio alla fine della Scena II: non
saprei dire se questo spostamento sia dovuto a necessità di coprire un
cambio-scena (del resto non complicatissimo, apparentemente) oppure da una
scelta estetica del duo regista-direttore: fatto sta che dopo il coro in DO
maggiore Chi
serve e chi regna, che chiude(rebbe) l’Atto I, il sipario viene
calato e il pubblico applaude proprio come si fosse arrivati all’intervallo…
invece ecco uscire sul proscenio Alceste, silenziosa e accompagnata dal
Pantomimo (DO minore) che si chiude con l’entrata di Ismene (LA minore, Ferma, dell’inizio Atto II).
Prima parte dello
spettacolo che si chiude quindi con l’aria di Alceste (Non vi turbate no) che ottiene
dai Numi di poter tornare a salutare per l’ultima volta i cari, prima di
morire. Una chiusura quindi piuttosto dimessa, sia pure in MIb maggiore, assai
diversa da come sarebbe quella dell’Atto I, sul possente coro del Popolo.
Per avere poi
due parti di durata paragonabile (65 e 70 minuti) l’Atto II e l’Atto III hanno
subito i tagli più evidenti (anche il primo atto ha delle sforbiciatine, ma
roba da poco). In particolare la Scena VI dell’Atto II manca dei recitativi di
Alceste (O
casto…) e dei Cortigiani (Così bella…) e soprattutto del lungo e
bellissimo recitativo di Alceste Figli, diletti figli. Nell’Atto III è
principalmente tagliata la Scena II: recitativo di Alceste-Admeto (Vieni dunque)
prima di Cari
figli. Per il resto, è stato sacrificato qualche da-capo nei balletti.
Pizzi,
intervistato alla radio venerdi scorso dalla Gaia Varon, aveva giustificato questi interventi sul testo con
razionali vaghi e opinabili, del tipo: qualche
taglio si faceva anche ai tempi di Gluck… In realtà la ragione più
plausibile sembrerebbe di puro carattere… logistico: evitare un secondo
intervallo, che si renderebbe necessario data la durata dei 3 atti completi
(60-73-38 minuti, come si può rilevare da questa registrazione con la Flagstad, oltre che dall’esecuzione scaligera di Muti del 1987).
Però, fatte
queste doverose premesse e osservazioni di carattere tecnico-pedantesco, devo
dire: tanto di cappello a Pizzi per come ha reinterpretato – era la sua quarta
volta! - l’opera, benissimo coadiuvato dalle luci di Vincenzo Raponi.
Scene e
costumi sono intonati ai colori bianco e nero (il proscenio ha addirittura un
pavimento a scacchiera…): bianco come amore
e nero come morte. Poi nella
seconda parte dello spettacolo compare anche un poco di giallo-oro, forse a
rappresentare la felicità. Il fondo della scena è modellato da pannelli che lo
suddividono in 3 arcate, all’interno delle quali compaiono pochi e simbolici
oggetti: un enorme turibolo e la statua di Apollo, poi (scena agli Inferi)
degli alberi neri e rinsecchiti con le radici ricoperte di bianchi teschi (che
sono anche appesi, quali frutti, ai rami). Per il resto servono anche a
separare (come le basse gradinate che scendono al proscenio) i cori, fra destra
e sinistra, come prescritto in partitura da Gluck. Fanno eccezione i Numi
infernali, il cui coro canta in buca, mentre in scena scorrono pantomime di
spettri rigorosamente in nero. Anche i costumi, di foggia assolutamente
classica e stilizzata, come detto sono immacolati, salvo quelli di Alceste e
della confidente Ismene, che mutano in nero dopo che la protagonista ha deciso
di sacrificarsi.
I movimenti di
protagonisti e masse sono sempre lenti e ieratici (un po’ alla… Wilson, se
vogliamo) come si addice allo spirito dell’opera. La morte e… resurrezione di
Alceste sono rappresentate dal suo addormentarsi sul letto posto al centro
della scena, e alla fine dal suo risvegliarsi grazie alla… grazia di Apollo, la
cui voce si ode dall’alto, senza che il dio appaia di persona.
Insomma, una
messinscena pregevole che va ad aggiungersi al già abbondantissimo carnet di
Pizzi.
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Sul fronte dei
suoni, confermata la buona impressione della prima radiofonica.
Guillaume Torniaire – è il
primo direttore mancino che io abbia
mai visto su un podio - sfoggia grande sicurezza e sensibilità, ottenendo
dall’ottima orchestra della Fenice un suono sempre morbido e leggero, come si
confà allo spirito dell’opera, che rifugge da qualsiasi forzatura, enfasi o
fracasso per concentrarsi sul dramma dei protagonisti e del popolo che ne
condivide ogni singolo passo. A proposito di Popolo e di Numi infernali,
eccellenti i componenti del coro di Claudio
Marino Moretti, che ha appunto messo in mostra quel pathos che caratterizza i numerosi interventi delle masse.
Trionfatrice
del pomeriggio Carmela Remigio,
un’Alceste davvero emozionante, in tutta la gamma dei sentimenti che la protagonista
esterna durante l’intera opera: dolcezza, amore, dolore, sacrificio,
rassegnazione, gioia.
Marlin Miller è Admeto, una
parte difficile che il tenore americano affronta forse con un po’ di
circospezione all’inizio, per poi crescere nettamente. La voce forse non è
penetrantissima, ma sempre ben intonata e senza forzature.
Quasi meglio
di lui il suo… confidente Evandro,
dicasi Giorgio Misseri, bella voce squillante e ben impostata (forse un paio di
lievi calatine, ma nulla di grave). E
anche l’altra confidente, Zuzana Marková, se l’è cavata assai bene.
Più che
apprezzabili gli altri comprimari: Armando
Gabba, Vincenzo Nizzardo e gli
altri solisti del Coro che hanno parti di un certo rilievo.
Bravissimi infine
i due fanciulli (interpreti dei figli della coppia protagonista) che vengono
dal Coro di voci bianche dei Piccoli
Cantori Veneziani di Diana D’Alessio.
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Ecco, uno
spettacolo che val bene una trasferta in laguna!
3 commenti:
Hai detto bene, uno spettacolo che vale la trasferta. Ora attendiamo Norma con la Remigio, Simeoni e Kunde diretti da D'Espinosa. Le mie aspettative sono alte.
Ciao!
@Amfortas
un terzetto, quello di Norma, da acrobati senza rete!
Purtroppo non sarò della partita, spero che almeno ci sia una ripresa radio o streaming.
Grazie, ciao!
E, ovviamente, grazie per la citazione. Ciao.
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