istruzioni di voto

scrivere pescivendola

30 marzo, 2015

Il virus Fedora falcidia la famiglia Dessì

 

Ieri pomeriggio il Carlo Felice ha ospitato l’ultima recita di Fedora. Una produzione invero casereccia, visto che i due protagonisti del primo cast erano (o dovevano essere, per la verità) i due genovesi della famiglia Dessì(-Armiliato) e dato che la protagonista del secondo cast (Irene Cerboncini) è pure genovese.

Invece gli acciacchi di stagione (causa ufficiale) hanno ridotto le presenze complessive del duo Dessì-Armiliato in questa produzione da sette a… tre! Per di più ieri all’ennesimo forfait del soprano (ancora una volta rimpiazzato dalla Cerboncini) si è aggiunto di fatto quello del tenore, che ha chiuso il second’atto (che poi per lui sarebbe il primo…) in modo davvero tragico, o tragi-comico. Dopodiché ha fatto annunciare che avrebbe stoicamente portato a termine la recita, cosa che in effetti ha fatto e in modo neanche poi così scandaloso. Meglio però sarebbe stato sostituirlo fin dall’inizio con il mio conterraneo Rubens Pelizzari da Salò, visto aggirarsi in sala.  

Come detto, Fedora è stata ancora una volta la Cerboncini, autrice di una prestazione più che dignitosa vocalmente ed anche efficace sul piano attoriale, che ci ha proposto una donna sensibile (certo facile all’innamoramento e quindi preda di approfittatori alla Vladimir) ma non volgare né mangia-uomini, né tantomeno reazionaria incallita. 

Per il resto definirò passabile la prova di Paola Santucci, che ha ben incarnato la volubile e un po’ svampita Olga. Fra i tanti altri personaggi di contorno citerò Sergio Bologna, un DeSiriex abbastanza convincente, a dispetto della voce piuttosto piccola. Tutti, cori compresi, su un livello di professionale sufficienza.

Bene giudicherei il Direttore Valerio Galli, il più applaudito alla fine ed anche a scena aperta dopo la vibrante esecuzione dell’Intermezzo del second’atto, dove anche l’Orchestra si è fatta valere. La sua interpretazione di Fedora è piuttosto soft, quasi da opéra-comique, scevra da eccessi tipici di certo verismo da strapazzo.
___      
La regìa di Rosetta Cucchi, pianista in origine migrata poi alla messinscena, è di quelle che si usano definire tradizionali, nel senso che presentano quasi pedestremente ciò che si legge su libretto e partitura; o meglio: non mostrano il contrario! E solo per questo si merita un elogio.

Per la verità un paio di tocchi personali non poteva risparmiarseli (altrimenti non servirebbe una regìa, smile!): l’ambientazione è spostata in avanti di una ventina d’anni, quindi durante la Grande Guerra. Di ciò nessuno si accorgerebbe se non fosse che, all’inizio del secondo e terz’atto, vengono presentate in sottofondo (dietro un velario) scene e audio relative a quegli eventi bellici. Che nulla, ma proprio nulla, hanno a che vedere con il soggetto di Sardou ripreso da Colautti e musicato da Giordano. Ma trattandosi appunto solo di immagini fugaci, esse riescono a distrarre assai poco l’attenzione dello spettatore da ciò che davvero conta. L’altra trovata è quella di collocare in un angolo del proscenio un vecchio signore (interpretato da Luca Alberti) che rappresenta il protagonista Loris che rivede il film degli avvenimenti da lui vissuti nell’Opera: rimane lì anche nei due intervalli (!) e se ne va poco prima della finale tragedia. Mah…

Le scene di Tiziano Santi sono improntate a grande sobrietà: Pietroburgo, Parigi e Thun sono la stessa cosa, salvo qualche sfondo più o meno pertinente; si fa uso di pannelli scorrevoli in orizzontale per mettere di volta in volta qualcosa in evidenza, lasciando il resto visibile in background. Belli i costumi di Claudia Pernigotti, anch’essi più o meno plausibili rispetto al periodo storico in questione. Luciano Novelli curava le luci, anche qui con approccio di basso profilo.

Insomma, uno spettacolo gestito in modo abbastanza intelligente e assai godibile, cui farei un unico appunto: l’intervallo di 25 minuti scrupolosamente rispettato anche dopo i soli 23 minuti del primo atto, una cosa francamente eccessiva e nemmeno giustificata da necessità legate a complicati cambi di scena. 

Teatro non propriamente affollatissimo e pubblico che alla fine ha voluto dimenticare le disavventure dei cast tributando a tutti (ehm, Armiliato escluso…) calorosi applausi. Ecco, proprio una cosa all’acqua di rose…


Nessun commento: