Ieri
pomeriggio il Carlo Felice ha ospitato
l’ultima recita di Fedora. Una produzione invero casereccia, visto che i due protagonisti del primo
cast erano (o dovevano essere, per la verità) i due genovesi della famiglia Dessì(-Armiliato) e dato che la
protagonista del secondo cast (Irene Cerboncini)
è pure genovese.
Invece gli
acciacchi di stagione (causa ufficiale) hanno ridotto le presenze complessive
del duo Dessì-Armiliato in questa produzione da sette a… tre! Per di più ieri
all’ennesimo forfait del soprano (ancora una volta rimpiazzato dalla
Cerboncini) si è aggiunto di fatto quello del tenore, che ha chiuso il second’atto
(che poi per lui sarebbe il primo…) in modo davvero tragico, o tragi-comico.
Dopodiché ha fatto annunciare che avrebbe stoicamente portato a termine la
recita, cosa che in effetti ha fatto e in modo neanche poi così scandaloso.
Meglio però sarebbe stato sostituirlo fin dall’inizio con il mio conterraneo
Rubens Pelizzari da Salò, visto aggirarsi in sala.
Come detto,
Fedora è stata ancora una volta la Cerboncini, autrice di una prestazione più
che dignitosa vocalmente ed anche efficace sul piano attoriale, che ci ha
proposto una donna sensibile (certo facile all’innamoramento e quindi preda di
approfittatori alla Vladimir) ma non volgare né mangia-uomini, né tantomeno
reazionaria incallita.
Per il resto definirò
passabile la prova di Paola Santucci,
che ha ben incarnato la volubile e un po’ svampita Olga. Fra i tanti altri personaggi
di contorno citerò Sergio Bologna, un
DeSiriex abbastanza convincente, a dispetto della voce piuttosto piccola.
Tutti, cori compresi, su un livello di professionale sufficienza.
Bene
giudicherei il Direttore Valerio Galli,
il più applaudito alla fine ed anche a scena aperta dopo la vibrante esecuzione
dell’Intermezzo del second’atto, dove anche l’Orchestra si è fatta valere. La
sua interpretazione di Fedora è piuttosto soft,
quasi da opéra-comique, scevra da
eccessi tipici di certo verismo da strapazzo.
___
La regìa di Rosetta Cucchi, pianista in origine
migrata poi alla messinscena, è di quelle che si usano definire tradizionali, nel senso che presentano quasi
pedestremente ciò che si legge su libretto e partitura; o meglio: non mostrano
il contrario! E solo per questo si merita un elogio.
Per la verità
un paio di tocchi personali non poteva risparmiarseli (altrimenti non servirebbe una regìa, smile!): l’ambientazione è spostata in avanti di una ventina
d’anni, quindi durante la Grande Guerra. Di ciò nessuno si accorgerebbe se non
fosse che, all’inizio del secondo e terz’atto, vengono presentate in sottofondo
(dietro un velario) scene e audio relative a quegli eventi bellici. Che nulla,
ma proprio nulla, hanno a che vedere con il soggetto di Sardou ripreso da
Colautti e musicato da Giordano. Ma trattandosi appunto solo di immagini
fugaci, esse riescono a distrarre assai poco l’attenzione dello spettatore da ciò
che davvero conta. L’altra trovata è quella di collocare in un angolo del
proscenio un vecchio signore (interpretato da Luca Alberti) che rappresenta il protagonista Loris che rivede il
film degli avvenimenti da lui vissuti nell’Opera: rimane lì anche nei due
intervalli (!) e se ne va poco prima della finale tragedia. Mah…
Le scene di Tiziano Santi sono improntate a grande
sobrietà: Pietroburgo, Parigi e Thun sono la stessa cosa, salvo qualche sfondo
più o meno pertinente; si fa uso di pannelli scorrevoli in orizzontale per
mettere di volta in volta qualcosa in evidenza, lasciando il resto visibile in background. Belli i costumi di Claudia Pernigotti, anch’essi più o meno
plausibili rispetto al periodo storico in questione. Luciano Novelli curava le luci, anche qui con approccio di basso
profilo.
Insomma, uno
spettacolo gestito in modo abbastanza intelligente e assai godibile, cui farei
un unico appunto: l’intervallo di 25 minuti scrupolosamente rispettato anche
dopo i soli 23 minuti del primo atto, una cosa francamente eccessiva e nemmeno
giustificata da necessità legate a complicati cambi di scena.
Teatro non propriamente
affollatissimo e pubblico che alla fine ha voluto dimenticare le disavventure
dei cast tributando a tutti (ehm, Armiliato escluso…) calorosi applausi. Ecco, proprio
una cosa all’acqua di rose…
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