Venerdi
20 marzo (diretta su Radio3 alle ore 19) va in scena alla Fenice la prima di Alceste di Christoph
Willibald Gluck, su testo di Ranieri
de’ Calzabigi. Si tratta della versione originale in italiano, presentata
per la prima volta al Burgtheater di
Vienna sabato 26 dicembre 1767. (Nove anni dopo nascerà a Parigi la versione in
lingua francese, che si discosta non proprio marginalmente da quella viennese.)
Martedi 24, sempre alle 19, l’opera verrà anche irradiata in streaming-video qui,
dove la registrazione rimarrà disponibile per un anno.
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Alceste
viene unanimemente considerata come l’opera che consolida i princìpi innovatori
del teatro musicale maturati a metà di quel secolo ed esposti in un saggio di Francesco Algarotti, e fatti propri da
Calzabigi. Il quale aveva trovato in Gluck un altro sostenitore e soprattutto l’ideale
traduttore in musica di tali princìpi, subito messi in pratica dai due con l’Orfeo (1762).
Le ragioni
profonde dell’urgenza innovatrice di Algarotti e poi di Calzabigi&Gluck
sono da ricondurre alla progressiva degenerazione che l’opera musicale aveva
subito a partire dalla prima metà del ‘600, in particolare a Venezia, con la
nascita e l’esponenziale diffusione del teatro pubblico e popolare. In
sostanza, l’organica coerenza del recitar-cantando
di bardiana memoria (fine ‘500) era stata rotta dal combinato disposto di due
fenomeni dilaganti: le esigenze di un pubblico
di estrazione borghese che mal sopportava l’eccessiva profondità e
l’austera classicità greca dei soggetti del teatro aristocratico delle corti e
prediligeva il piacere del canto puro; e gli interessi dei musicisti, e soprattutto dei cantanti, che ovviamente ben si sposavano con le aspettative del nuovo, vasto
pubblico. Ecco quindi maturare un netto sdoppiamento
all’interno della struttura fino allora unitaria delle opere musicali: da una
parte i recitativi secchi (poco più
che parlati, come dice il termine) che in qualche modo tenevano i fili della
narrazione, e dall’altra le arie musicali,
sovraccariche di virtuosismi e gorgheggi del tutto fine a se stessi (e alla
fama del cantante) e spesso musicalmente avulse dal contesto del dramma, di cui anzi
finivano per spezzare la continuità.
Tutta la produzione di teatro musicale italiano serio (ma anche
buffo) di fine ’600 e ‘700 (che aveva spopolato anche nel mondo tedesco, a
partire proprio dalle Corti, Vienna in-primis, dove Metastasio ne aveva
meticolosamente codificato la struttura bifronte, recitativo-aria) aveva poggiato su queste basi, che rimasero in
verità saldamente in piedi, nonostante Gluck e Calzabigi, fino ai primi decenni
dell’800 e all’irruzione del romanticismo, caratterizzando in qualche misura
anche opere di Mozart e Rossini, per dire. Diversamente erano andate le cose a
Parigi, dove la presenza della Corte più grande e ricca
del pianeta aveva contribuito a mantenere alto l'ideale bardiano, grazie anche
all’opera di musicisti italiani, primo fra tutti Lulli(-Lully, che pure compose un Alceste nel 1674) a cui non a caso si ispirò lo stesso
Gluck: il genere della tragédie lyrique ne fu la più
corposa manifestazione, che sicuramente ebbe un peso nel formarsi a Vienna di quella
corrente innovatrice che trovò (temporaneamente) in Gluck, Calzabigi e Giacomo Durazzo
(direttore artistico dei teatri di corte) i suoi paladini. Ma per vedere gli
ideali della camerata fiorentina
cinquecentesca tornare pienamente in auge si dovrà attendere nientemeno che il Wagner post-Lohengrin!
I fondamenti della nuova concezione
del teatro musicale furono espressi in modo assai dettagliato in una prefazione
all’edizione dell’Alceste - indirizzata al futuro Imperatore Leopoldo II - cui
appose la firma il compositore, ma che fu presumibilmente ispirata, se non
proprio vergata, dal librettista:
ALTEZZA
REALE!
Quando
presi a far la musica dell’Alceste mi proposi di spogliarla affatto di tutti
quegli abusi che, introdotti o dalla mal intesa vanità dei Cantanti, o dalla
troppa compiacenza de’ Maestri, da tanto tempo sfigurano l’Opera italiana, e
del più pomposo e più bello di tutti gli spettacoli, ne fanno il più ridicolo
e il più noioso.
Pensai
restringere la musica al suo vero ufficio di servire la poesia, per
l’espressione e per le situazioni della favola, senza interromper l’azione o
raffreddarla con degli inutili superflui ornamenti, e crederei ch’ella far
dovesse quel che sopra un ben corretto e ben disposto disegno la vivacità de’
colori e il contrasto bene assortito de’ lumi e delle ombre, che servono ad
animare le figure senza alterarne i contorni.
Non
ho voluto dunque né arrestare un attore nel maggior caldo del dialogo per
aspettare un noioso ritornello, né fermarlo a mezza parola sopra una vocal
favorevole, o a far pompa in un lungo passaggio dell’agilità di sua bella
voce, o ad aspettare che l’Orchestra gli dia il tempo di raccorre il fiato
per una cadenza. Non ho creduto di dover scorrere rapidamente la seconda
parte di un’aria, quantunque fosse la più appassionata e importante per aver
luogo di ripeter regolarmente quattro volte le parole della prima, e finir
l’aria dove forse non finisce il senso, per dar comodo al cantante di far
vedere che può variare in tante guise capricciosamente un passaggio; insomma
ho cercato di sbandire tutti quegli abusi de’ quali da gran tempo esclamavano
invano il buon senso, e la ragione.
Ho
imaginato che la sinfonia debba prevenire gli spettatori dell’azione che ha
da rappresentarsi, e formare, per dir così, l’argomento: che il concerto
degli istrumenti abbia a regolarsi a proporzione degl’interessi e della
passione, e non lasciare quel tagliente divario nel dialogo fra l’aria e il
recitativo, che non tronchi a controsenso il periodo, né interrompa mal a
proposito la forza e il caldo dell’azione.
Ho
creduto poi che la mia maggior fatica dovesse ridursi a cercare una bella
semplicità; ed ho evitato di far pompa di difficoltà in pregiudizio della
chiarezza; non ho giudicato spregevole la scoperta di qualche novità, se non
quando fosse naturalmente somministrata dalla situazione e dall’espressione;
e non v’è regola d’ordine ch’io non abbia creduto doversi di buona voglia
sacrificare in grazie dell’effetto.
Ecco
i miei principj. Per buona sorte si prestava a meraviglia al mio disegno il
libretto, in cui il celebre autore, immaginando un nuovo piano per il
drammatico, aveva sostituito alle fiorite descrizioni, ai paragoni superflui
e alle sentenziose e fredde moralità, il linguaggio del cuore, le passioni
forti, le situazioni interessanti e uno spettacolo sempre variato. Il
successo ha giustificato le mie massime, e l’universale approvazione in una
città così illuminata ha fatto chiaramente vedere che la semplicità, la
verità e la naturalezza sono i grandi principii del bello in tutte le
produzioni dell’arte.
Con
tutto questo, malgrado le replicate istanze di persone le più rispettabili
per determinarmi di pubblicare con le stampe questa mia opera, ho sentito
tutto il rischio che si corre a combattere dei pregiudizi così ampiamente, e
così profondamente radicati, e mi son veduto in necessità di premunirmi del
patrocinio potentissimo di vostra altezza reale implorando la grazia di
prefiggere a questa mia opera il suo augusto nome, che con tanta ragione
riunisce i suffragi dell’Europa illuminata. Il gran Protettore delle
bell’Arti, che regna sopra una nazione, che ha la gloria di averle fatte
risorgere dalla universale opressione, e di produrre in ognuna i più gran
modelli, in una città ch’è stata sempre la prima a scuotere il giogo de’
pregiudizi volgari per farsi strada alla perfezione, può solo intraprendere
la riforma di questo nobile spettacolo in cui tutte le arti belle hanno tanta
parte. Quando questo succeda resterà a me la gloria d’aver mossa la prima
pietra, e questa publica testimonianza della sua alta Protezione al favor
della quale ho l’onore di dichiararmi con il più umile ossequio
Di V.A.R.
Umil.mo
Dev.mo Obblig.mo Servitore
CRISTOFORO GLUCK |
Beh, la sintesi dei concetti espressi
nella prefazione potrebbe ridursi al celebre motto: Prima le parole, poi la musica; ed è proprio perché è difficile
immaginare che il musicista Gluck lo
condividesse al 100% che viene il sospetto che l’autore di detta prefazione sia
in realtà il paroliere Calzabigi, che
sembra quasi citare alla lettera un passo del saggio di Algarotti:
Un altra principal ragione ancora del presente scadimento
della Musica, è quel suo proprio, e particolar regno, ch'ella si è venuta formando.
Il compositore si comporta quivi come despotico, vuol pure far da sé, e piacere
unicamente in qualità di Musico. Per cosa del mondo non gli può entrare in capo,
ch'egli ha da essere subordinato, e che il maggior effetto della Musica ne viene
dallo esser ministra, e ausiliaria della Poesia. Proprio suo uffizio è il dispor
l’animo a ricevere le impressioni dei versi, muovere così generalmente quegli
affetti, che abbiano analogia colle idee particolari, che hanno da essere eccitate
dal Poeta; dare in una parola al linguaggio delle Muse maggior vigore e maggiore
energia.
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E per
nostra (dei musicomani) fortuna, i proclami di Algarotti e Calzabigi furono da
Gluck applicati… da grande musicista! Per Alceste vale ciò che si può dire dei
drammi di Wagner: per quanto il testo sia di elevata qualità, senza la musica
che lo accompagna sarebbe finito nel dimenticatoio, anzi probabilmente non avrebbe
mai avuto l’onore di esser recitato in un teatro.
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Conformemente alla massima di Orazio posta sul frontespizio del libretto e in chiara polemica
con Metastasio,
Denique sit
quodvis simplex dumtaxat et unum (Sia come lo vuoi, purché sia semplice e unitario) il soggetto di
Calzabigi è di una semplicità che sfiora la povertà: mancano del tutto i
contrasti (amorosi, politici, bellici) che caratterizzavano (e
caratterizzeranno) i libretti d’opera; tutto si concentra sulla tragica vicenda
dei due sposi Alceste-Admeto e sullo scavo psicologico dei rispettivi
sentimenti, in una cornice dove i cori hanno parte di primo piano (proprio come
nelle tragedie greche) e dove assumono un ruolo importante anche le scene di
danza o di balletto (balli pantomimi
e balli ballati).
Quanto
alla musica, Gluck sopprime (quasi) totalmente i recitativi secchi e rinnova
radicalmente la struttura delle arie,
rinunciando definitivamente alla classica forma del da-capo (al massimo fa ripetere, ma non meccanicamente, qualche verso)
per privilegiare un’assoluta libertà espressiva (inconcepibile secondo i sacri
canoni vigenti, che imponevano forme facilmente riconoscibili) che si
materializza in frequenti mutamenti di tempo, ritmo e tonalità, volti a sottolineare
ogni più piccola sfumatura dei sentimenti dei protagonisti. Inoltre, rompe la
continuità dei cori con interventi solistici e/o con coreografie/balli che
coinvolgono anche gli stessi coristi.
Calzabigi
da parte sua pretende dagli interpreti gestualità e movenze naturali, per dare la
più grande credibilità al dramma (anticipando concetti che le moderne regìe teatrali
scopriranno 150 anni più tardi…) Insomma l’idea è quella di mettere tutte le risorse
(umane e materiali) al servizio dello spettacolo, proprio come sognerà 80 anni più
tardi Richard Wagner.
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A
Venezia l’allestimento sarà curato da Pier
Luigi Pizzi - un veterano di messinscene di Alceste, italiana e francese –
che realizzò anche quella della Scala con Muti del 1987 (eseguita senza tagliare
nemmeno una virgola di testo e solo un paio di brevissimi da-capo nei balletti).
Il sito del Teatro informa di una durata (netta) di 2h15’, il che farebbe
ipotizzare un buon 20-30 minuti di tagli (?!) Venerdi ascolteremo questa Tragedia per musica, in seguito… vedremo.
4 commenti:
Ci sono oggi, alla prima. Anch'io sono rimasto un po' perplesso quando ho visto sul sito che lo spettacolo dura meno di quanto pensassi. Alla fine però prevale la ragion di stato, e cioè la circostanza che almeno posso fare andata/ritorno in treno e non in automobile. Sai com'è, la spending review...
Ciao :-)
@Amfortas
Effettivamente sono curioso di scoprire stasera per radio cosa verrà sacrificato. Pensavo ai balletti, ma vedo indicati in locandina i "movimenti coreografici", quindi non vorrei che i tagli riguardino qualche parte comunque importante dell'opera.
Ciao!
Ciao daland, ci vai? Per me è stata una bella serata. Ma l'hanno trasmessa anche per radio? Sono curioso, nel caso, di sapere il tuo parere.
Ciao!
@Amfortas
Sono appena tornato!
Domani scrivo qualcosa, ti anticipo che sarà assai positivo.
Ciao!
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