Ieri
pomeriggio il Regio torinese ha
ospitato la terza rappresentazione de Il turco in Italia, in una
co-produzione italo-franco-polacca.
Prima di
parlare della regìa di Christopher Alden
propongo un paio di considerazioni. Innanzitutto siamo in presenza di un
soggetto buffo (o tragi-comico) che per sua natura poco si presta a dissacrazioni
o stravolgimenti iconoclasti (tipo l’Aida
dello stesso regista ambientata in un collegio di religiose…) Anzi,
rivisitazioni anche profonde, se fatte con un minimo di gusto, possono
arrecarvi valore aggiunto, cosa che mi sento di sottoscrivere per questo
allestimento.
Secondo, sarà
bene ricordare quale fu la genesi del libretto di Felice Romani (cui senza dubbio mise le mani lo stesso
compositore), cominciando col dire che esso fu scopiazzato da quello che Caterino Mazzolà aveva scritto per Il Turco in Italia di F.J.Seydelman rappresentato a Dresda nel
1788 e replicato nel 1789 a Vienna, dove assai verosimilmente fu visto dalla
coppia Mozart-DaPonte. I quali
altrettanto assai verosimilmente si ispirarono a quel testo, e in particolare
alla figura del poeta Prosdocimo, per
mettere in piedi la loro Così fan tutte,
protagonista il filosofo DonAlfonso.
Dopodichè, con modalità perfettamente reciproche, accadde che nel 1814 la
coppia Rossini-Romani, che stazionava
a Milano per il suo Turco, assai verosimilmente potè assistere ad una
rappresentazione alla Scala - indovina indovinello? – proprio del
mozartiano-dapontiano Così!
Insomma, fra i
tre testi (i due Turchi e il Così) ci dev’essere stata più di
un’influenza. Nel merito va riconosciuto che il libretto di DaPonte supera
ampiamente per profondità quello – pure intelligente – di Romani. E lo fa proprio
sul terreno del confronto fra le due personalità di DonAlfonso e di Prosdocimo.
Il primo (che non per nulla è un filosofo…) si impone al centro della vicenda,
determinandone ogni svolgimento, anche nei minimi dettagli: il suo assunto (di
natura tipicamente scettica) viene
alla fine dimostrato proprio a spese delle due coppie protagoniste, ma tutto sommato
anche a loro vantaggio (ammesso che siano capaci in futuro di trarre partito
dalla morale della favola). Viceversa
il Prosdocimo di Romani è per gran parte dell’opera niente più che un agente passivo degli avvenimenti, nei
quali cerca disperatamente di scovare un soggetto per un suo nuovo dramma
teatrale. E soltanto dopo averlo trovato decide di pilotarne la conclusione
reale secondo le proprie convinzioni etiche, che non sono affatto quelle del
dapontiano Così! Essendo esse quanto
di più reazionario si possa concepire, con la tremenda (davvero tragica) punizione di Fiorilla, costretta ad una resa senza
condizioni alle ipocrite e antifemministe regole della società, che lei così
spavaldamente e velleitariamente aveva preteso di infrangere. E – per quanto
riguarda i turchi (Selim e Zaida) – comportando un atteggiamento del tipo:
tornatevene a casa vostra e non venite qui a rubarci le mogli (Selim) e a fare
i rom (Zaida). Proprio un Salvini ante-litteram!!!
Quindi: una
distanza davvero abissale rispetto al messaggio dapontiano-mozartiano.
Ecco, fatta
questa necessaria premessa, possiamo adesso avvicinarci alla vision che Alden ha posto alla base del
suo allestimento dell’opera. Il controverso regista americano fa ruotare
l’intera vicenda attorno alla figura di Prosdocimo,
trasformandolo appunto nel DonAlfonso
di DaPonte-Mozart, motore unico e dominus
dell’azione.
L’idea ha
comportato qualche disallineamento rispetto al libretto, inevitabile quando si
inverte letteralmente il nesso causa-effetto tra un fatto reale e il
comportamento dell’osservatore. In sostanza, ci vengono presentati come effetti del copione scritto dal Poeta
fatti e notizie che viceversa, nell’originale, sono cause che determinano i contenuti di tale copione. Faccio un
esempio infimo, ma significativo: nel libretto di Romani Prosdocimo scopre,
informato da Geronio, l’identità del turco che, appena sbarcato, ha già invaso
la casa di Fiorilla e dello stesso Geronio; ecco, Alden ribalta la circostanza,
mostrandoci Prosdocimo che informa di ciò Geronio, passandogli da leggere un
foglio del suo copione.
Un altro
riferimento (non certo originale) riscontrabile nella regìa di Alden riguarda
Pirandello (i Sei personaggi in cerca
d’autore): che si materializza quando alcuni interpreti dell’opera
rifiutano il copione propostogli da Prosdocimo e se lo scrivono come pare e
piace a loro.
In ogni caso
si tratta, a mio parere, di scompensi del tutto sopportabili, un modesto prezzo
da pagare ad una visione del soggetto dell’opera che ne valorizza la freschezza
e ne facilita la godibilità, sfruttando poi l’efficacia e i colori di scene, luci e costumi, e
soprattutto la bravura di tutti gli interpreti (coristi inclusi) nel muoversi
per realizzare al meglio le idee del regista.
___
Sul fronte
musicale, va detto che l’opera è stata eseguita nella sua interezza (il che
significa tre ore nette di spettacolo, equamente distribuite nei due atti)
recitativi inclusi; anzi, di più, essendo state eseguite anche quelle parti
(solitamente espunte) che vengono catalogate come varianti: nell’atto I l’aria di Narciso Un vago sembiante, seguita dal
recitativo Di
Fiorilla il carattere; e
soprattutto l’aria dell’atto II (Se ho da dirla) che mette a dura prova le
capacità scioglilinguistiche del Geronio di turno.
Daniele Rustioni,
sempre col sorriso sulle labbra, mi è parso dirigere con sufficiente
autorevolezza, cura del dettaglio e attenzione a non coprire le voci, evitando
eccessivi fracassi. L’orchestra lo ha seguito diligentemente, suono sempre
chiaro e pulito. Al fortepiano era Luca
Brancaleon, che si è sobbarcato la gran mole dei recitativi, come detto
assolutamente non tagliati.
Quanto alle
voci, direi bene del terzetto dei basso-buffo: a partire da Paolo Bordogna, un Geronio efficace e
bravo a non trasformare i velocissimi scioglilingua (non solo quello del
second’atto) in incomprensibili grammelot;
poi Simone del Savio, un convincente Prosdocimo; infine Carlo
Lepore, che ha efficacemente interpretato la figura del Turco.
Decisamente
meno bene i due tenori: persistendo il forfait dell’influenzato Siragusa, Narciso era ancora una volta Edgardo Rocha, che ha mostrato tutti i
limiti della sua voce, piccola ma anche sgradevole e poco impostata; appena un
filino-filino meglio Enrico Iviglia
nei panni di Albazar.
Sul
fronte femminile, accettabile la prova di Nino
Machaidze come Fiorilla: però non basta staccare gli acuti, RE inclusi, per
meritarsi l’eccellenza: la voce è penetrante nell’ottava alta, ma sempre con timbro
metallizzato, e ha volume scarso nella prima ottava; posso dire solo, per quel che
conta, che l’ho trovata un filino migliorata rispetto all’ultima sua esibizione
che mi è capitato di seguire dal vivo circa un anno fa. Samantha Korbey non mi ha proprio convinto, voce piccola, anonima e
poco passante.
Bene come
sempre il coro di Claudio Fenoglio,
eccellente anche nei movimenti da avanspettacolo richiestigli da Alden.
Calorosa
accoglienza per tutti in un teatro ancora una volta affollatissimo.
Nessun commento:
Posta un commento