Ancora e
solo Mozart nel concerto N°24 della staglione de laVERDI. Avendola data buca la direttora Xian, ecco il 48enne finnico Olli Mustonen che al suo ritorno in
Auditorium dopo qualche anno si sdoppia fra podio e tastiera.
Il festival del RE maggiore, questo il sottotitolo del concerto, dato che tutti e 4 i brani sono
scritti in questa tonalità prediletta da Mozart. Brani invece tutti diversi
quanto a genere, insomma una specie di campionario della produzione strumentale
del Teofilo.
Apre il Divertimento
K136, che insieme ai successivi due (in SIb e FA) venne composto dal
Mozart 16enne a Salisburgo, pochi mesi prima della trasferta milanese per il Lucio Silla. Le tre composizioni vengono
anche denominate Sinfonie di Salisburgo,
avendo una struttura non dissimile da quella delle sinfonie settecentesche di
stile italiano per soli archi. laVERDI schiera un organico non proprio
striminzito (lo stesso, fiati esclusi, con cui suonerà il successivo concerto)
ma riesce comunque a dare del brano una resa proprio cameristica, come si
addice a questi pezzi che spesso, ai tempi, erano eseguiti da un semplice
quartetto, o anche meno…
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Il Concerto
K537 è impropriamente detto dell’Incoronazione,
dato che fu suonato da Mozart a Francoforte in occasione dell’ascesa di
Leopoldo II a Imperatore (settembre 1790): ma in realtà a quel tempo il
concerto aveva più di due anni di età ed era già stato eseguito dall’autore a
Dresda. Peraltro nel manoscritto originale rimasero mancanti diversi righi
della parte solistica (soprattutto della mano sinistra) il che ha poi
comportato completamenti più o meno pertinenti eseguiti da altre mani.
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È il
penultimo concerto per pianoforte e presenta le sue belle novità in fatto di
struttura, soprattutto nell’Allegro
iniziale, dove ancora una volta la forma-sonata
viene da Mozart interpretata con grandissima libertà. Nella prima esposizione orchestrale udiamo ben tre
temi, tutti in RE, più le relative transizioni; il solista entra riesponendo il
primo tema, ma poi se ne inventa un quarto, sempre in RE e poco dopo pure un
quinto, questa volta finalmente nella dominante LA. Sulla quale ripropone poi
il secondo tema, ripreso subito anche dall’orchestra e quindi ampiamente
sviluppato dal solista. Una transizione orchestrale chiude l’esposizione,
sempre sulla dominante.
Lo sviluppo è anch’esso del tutto anomalo,
rispetto ai canoni, poiché è condotto quasi esclusivamente dal solista che
mette in mostra il suo virtuosismo con una serie di veloci volate di semicrome.
La ripresa sembra riportare ordine,
con il primo tema riproposto in RE maggiore, ma il solista, dopo averlo
abbellito, ecco che ci fa riudire il quinto tema, ora ricondotto alla tonalità
di casa; poi passa al secondo tema e quindi al terzo, tutti in RE, prima di inoltrarsi
in una transizione che prepara la cadenza.
Della quale non esistono versioni autografe, e quindi ogni solista si può
inventare la sua, oppure… adottare pigramente quella di altri colleghi. Sette
battute chiudono poi il movimento.
Con
il Larghetto in LA maggiore si torna
alla mirabile consuetudine di Mozart: due gruppi tematici (A-A’ e B-B’) si
susseguono con lo schema A-B-A. Fra essi una transizione che chiude anche il
movimento, un vero gioiellino di grazia e serenità.
Il
conclusivo Allegretto è un Rondò
ancora una volta assai elaborato: la struttura è del tipo A-B+C-A-B+C-A più
transizioni e code. Come si può notare, alle tre macro-ricorrenze del tema
principale si interpongono due sezioni costituite in realtà da due temi ben
distinti, B e C). La tonalità di base è RE maggiore, su cui verrà sempre
esposto il tema principale A. Il tema B è inizialmente pure in RE. C inizia in
LA minore in orchestra ed è ripreso in LA maggiore dal solista. Il ritorno di B
è in SIb maggiore, poi SOL minore, quello di C in RE minore in orchestra,
ripreso poi in RE maggiore dal solista. Insomma, anche qui non mancano… varietà
e inventiva, che danno lustro a questa penultima (purtroppo!) fatica mozartiana
nel campo del concerto solistico.
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Mustonen fa
piazzare il pianoforte in obliquo, così da poter vedere gli orchestrali senza
dar del tutto le terga al pubblico quando suona: una soluzione apprezzabile. Il
concerto è di quelli che lasciano al solista – come detto - la mano sinistra
inoperosa spesso e volentieri, così che lui la possa impiegare per dirigere
anche mentre suona, oppure, nella fattispecie, per girare le pagine dello
spartito che si è tenuto sul leggìo. In ogni caso la sua è un’esecuzione pulita
e rigorosa, forse – ma lui è finlandese (smile!) un filino… fredda. Il
pubblico lo gratifica di applausi e chiamate, ricambiate da un bis.
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Ecco poi la
Pauken-Serenade
K239, brano che laVERDI aveva già eseguito circa 3 anni orsono con Flor e sulla quale avevo scritto qualche nota in tale occasione.
Trattandosi
di musica da intrattenimento, merita una visita questa impertinente esecuzione
di Gidon Kremer con i suoi kremerati baltici registrata
13 anni orsono alla Mozartwoche:
piena di inaspettati intermezzi e poi seguita, come bis, da una parodia della K525, mischiata ad altri ingredienti e
chiusa da… Londonderry air!
Tornando
a bomba, è stata invece splendida la prestazione dei quattro moschettieri de
laVERDI: i violini di Santaniello e
Viganò (che finalmente si è potuta permettere un lungo dal colore shocking,
invece del solito nero…) la viola di Mugnai
e il contrabbasso di Mersini che nel
conclusivo Rondò hanno sfoderato cadenze singole e di gruppo apprezzatissime
dal pubblico (niente assolo invece per il timpano della brava Mologni).
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Chiude
questa scorpacciata mozartiana la Sinfonia di Praga K504. Anche questa
è da tempo nel repertorio dell’orchestra, che la suona quasi a memoria.
Che dire
infine del Mustonen direttore? Lui
dirige con flemma olimpica, scandendo quasi solo le battute intere, lasciando ai ragazzi di suonare
come sanno e dando gli attacchi con svolazzi della mano; ogni tanto si permette
scatti felini e qualche saltello sul podio, sempre per non apparire troppo… finlandese.
Per il resto, il suo è un Mozart genuino, settecentesco, dove gli unici forte sono quelli dei timpani.
Successo
pieno in un Auditorium ancora ben affollato, buon segno.
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