L’ultimo
appuntamento del Ravenna-Festival 2022 (poi ci sarà la stagione operistica
autunnale) è stato riservato al consorte della padrona di casa (aka Riccardo
Muti) reduce dall’ormai tradizionale puntata delle Vie dell’Amicizia
che quest’anno lo ha portato a Lourdes e a Loreto con la sua Cherubini
e – doveroso rispetto all’attualità e al gemellaggio Ravenna-Kiev del 2018
– a componenti di Orchestra e coro dell’Opera Nazionale Ukraina, con un
programma significativamente imperniato su Vivaldi-Mozart-Verdi ma con inserti
ukraini e baschi nelle due tappe.
Ieri Muti si è invece esibito – al PalaDeAndré con la sola Cherubini (cui si sono aggiunti due strumentisti dell’Opera di Kiev, il primo oboe Dmytro Gudyma e la violinista Oleksandra Zinchenko) - in un concerto di insolita ma interessante impaginazione. Ha infatti aperto la serata la Sinfonia in DO maggiore di George Bizet, battezzata Roma perché colà composta in occasione della permanenza nella città eterna del vincitore del Prix-de-Rome del 1857. Rispetto a quella più sbarazzina del 1855, rivelata al pubblico a Bizet ormai scomparso da tempo, questa è un’opera più pretenziosa e cerebrale, che anticipa nella forma e nel contenuto il più famoso e posteriore Aus Italien di Strauss (brano prediletto dal giovane Muti in odore di… Scala): vi si evocano Roma (una caccia nella foresta di Ostia), Venezia, Firenze (una processione) e (proprio come Strauss) Napoli (carnevale).
Muti si è mantenuto fedele al suo approccio originale all’opera, approccio assai sostenuto e severo, come possiamo constatare in questa registrazione del 15 agosto 2012 a Salzburg con i Wiener. Ieri se possibile Muti mi ha dato l’impressione di calcare ancor più la mano in fatto di prosopopea e retorica.
Tanto
per confrontare il suo approccio con uno assai diverso (che si materializza in quasi
2 minuti di durata in meno, su più di 17…) ecco come ci propose il brano Zubin Mehta con i Berliner,
nel lontano 1995. Un’analisi più puntuale delle differenze mostra che esse non
si distribuiscono uniformemente su tutta la durata del brano, il che porta a
concludere che l’approccio di Mehta sia – nell’agogica quanto meno –
assai più ricco di contrasti rispetto a quello di Muti.
Ma l’importante è che la Cherubini abbia confermato le sue ottime qualità (su quelle del Direttore-Fondatore non si discute…) che il folto pubblico non ha mancato di apprezzare distribuendo applausi e bravo! a tutti.
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