Sta diventando un’abitudine per laVerdi chiudere la stagione principale
con l’esecuzione di un’opera lirica in forma di concerto.
Dopo la positiva prova di Chénier
dello scorso anno (con Bignamini) ecco questa volta Cavalleria
rusticana
diretta da Zhang Xian, in un
Auditorium strapieno e trasformato in un forno (nessuno si aspettava di passare
in poche ore da freddo e pioggia autunnali a caldo torrido sahariano, così il
termostato della sala deve essere rimasto in posizione inverno… e a nulla è valso lasciare aperti i due portoni di
ingresso): a parte il pubblico, chi ne ha sofferto di più è stata proprio la
povera Zhang, che alla fine era bagnata come il classico pulcino. Ma in fondo
questo è stato un prezzo piacevole da pagare per un successo pieno e meritato,
per lei e per tutti.
Simpatico il prologo che Ruben Jais ha introdotto, ricordando i
150 anni dalla nascita di Mascagni, e consistito nella proiezione di un filmato
con immagini e suoni del compositore livornese (presenti in sala due sue eredi
che ne gestiscono… l’immagine). Una parte del filmato è dedicato alla Parisina, così si commemora anche
D’Annunzio (coetaneo di Mascagni). Poi, proprio un attimo prima che la Xian
salga sul podio, viene anche diffuso l’audio della presentazione che il Maestro
fece dell’incisione di Cavalleria da lui diretta nel 1940 (50° anniversario
della prima dell’opera).
Qui un breve ma acuto scritto di Gerardo
Vignoli
sul verismo e sul confronto di
civiltà musicali (italiana vs mitteleuropea) comparso in Musica&Dossier del settembre 1987.
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Devo dire che queste esecuzioni in
forma di concerto (o semi-scenica,
poiché gli interpreti non si limitano a cantare, come fossero in sala
registrazione, ma si muovono e si atteggiano proprio come fossero in scena)
danno spesso un risultato migliore rispetto a spettacoli diretti da famosi (e
stra-pagati) registi, che pensano più a proporre le loro idee che non a
presentare quelle degli autori. In più c’è il vantaggio che lo spettatore si
concentra sull’opera (soprattutto sulla musica)
essendo dispensato dal lambiccarsi il cervello per decifrare il Konzept del regista di turno,
distraendosi di conseguenza dall’oggetto principale.
E così ieri sera abbiamo potuto apprezzare
quest’opera in tutta la sua modernità, a dispetto dei 123 anni di esistenza. Xian
ne ha messo in risalto ogni più piccola sfumatura, dagli eccessi rumoristici ai
tratti più zuccherosi e ammiccanti, dalle sguaiatezze veriste alle chiare deviazioni
operettistiche: insomma, un’interpretazione coinvolgente e convincente. Cui ha contribuito
la sicura prova del coro di Erina Gambarini,
capace di passare dalle sognanti atmosfere degli aranci a quelle sanguigne del vino
spumeggiante.
Quanto ai protagonisti, su tutti la Santuzza
di Chiara Angella, splendidamente calata
nella parte, che ha reso con grande efficacia, senza che mai gli eccessi veristici
avvenissero a spese del canto.
Poi Alberto Gazale, un Alfio autorevole e navigato, che ha ovviamente dato
il meglio nella bizetiana aria del cavallo
scalpitante.
Discreta la prestazione di Paolo Bartolucci (Turiddu): forse un poco
a disagio nella siciliana di apertura
(che non può non richiamare alla memoria il canto del marinaio che apre il Tristan) da cantarsi… a freddo e in qualche
angusto spazio dell’ingresso al palco; poi mi pare si sia dignitosamente ripreso,
specie nel duetto con Santa.
Elena
Lo Forte
era Lola: una parte non impervia, affrontata con sicurezza. E poi, diciamolo francamente,
con quel vestito scarlatto (in mezzo a tutti gli altri neri) dalla generosa scollatura
che ne metteva in grande evidenza le giunoniche forme, non poteva non attirare l’attenzione
di tutti, mica solo di Turiddu (smile!)
Bene se l’è cavata anche l’abbondante (ri-smile!) Erika Fonzar nella parte di mamma Lucia.
Alla fine grandi ovazioni e applausi per
tutti, a chiusura di una grande stagione.
Ma laVerdi
non chiude mai e, in attesa di settembre,
offre al suo pubblico ben 20
spettacoli fra fine giugno e fine agosto.
2 commenti:
Grazie per aver reso disponibile l’interessante articolo di Gerardo Vignoli.
Anch’io ho un atteggiamento ambivalente nei confronti dell’opera verista. Da un lato mi commuove profondamente. Dall’altro lato quasi mi vergogno e mi sento in colpa a causa della mia commozione alla luce dei limiti culturali e spirituali del verismo.
Saluti,
Moreno
@Moreno
Ti dirò che anch'io ho le stesse reazioni, salvo la... vergogna: sarò all'antica, ma quando qualcosa mi commuove dimentico tutti i suoi limiti!
Ciao!
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