La simpatica tradizione, che vuole laVerdi ripresentarsi al suo pubblico
dopo le vacanze (cortissime, per lei, come testimoniano le facce smunte di tutti
i ragazzi) nell’austero scenario del Piermarini, si è ripetuta ieri sera per
l’inaugurazione della stagione dei 20 anni dell’Orchestra, guidata da Zhang Xian.
Teatro affollato ma non proprio esaurito per ascoltare un programma all-russian: evidentemente in questi giorni, oltre che sulla scena politica internazionale, anche nei programmi musicali milanesi imperversa l’orso russo…
In realtà
esiste una ragione più seria e profonda per questa scelta: il doveroso omaggio
al leggendario fondatore dell’Orchestra: Vladimir Delman.
Così si parte da Ciajkovski per arrivare a Stravinski, passando
per Rimski: un percorso persino didascalico, quasi una lezione da Conservatorio,
come l’avrebbe fatta il Maestro, sull’evoluzione della musica russa nel
passaggio da ’800 a ‘900. Poi in Scala si scopre che l’allievo Igor lascerà l’ultima
parola al maestro Nicolaj, ma invertendo l’ordine degli addendi… etc. Si tratta
in ogni caso di opere che per evidenti ragioni fanno parte del repertorio
dell’Orchestra fin dalla sua fondazione.
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Ad aprire le danze è il
22nne Yury Revich che interpreta
quella che l’esteta Eduard Hanslick
aveva definito musica puzzolente (! in
effetti anni fa da noi profumava di… brandy!)
Il ragazzo sarà forse
ancora un po’ acerbo, ma ha una tecnica davvero straordinaria e non potrà che
migliorare col tempo: già ieri, per dire, mi è parso più autorevole rispetto a questa esibizione di
qualche anno fa.
Come allora, è stato forse
eccessivamente circospetto nell’avvio, ma ha poi tirato fuori le unghie nel finale.
Il meglio, a mio modesto parere, lo ha però dato nella canzonetta. Successo indiscutibile
e bis sacrosanto.
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Evidentemente le guerre dovevano avere
un effetto speciale su Stravinski e
in particolare sul suo Uccello (pornosmile!): dico, appena finita la grande (1919) lui sciorina una
nuova Suite dalle musiche del balletto, dopo quella del 1911; nel 1945, come si
chiude la seconda, ecco subito una terza Suite! Poi, scongiurato per fortuna il
non c’è due senza tre nucleare, il
nostro è stato privato della possibilità di sfornare una quarta Suite, ergo si
è dovuto rassegnare ad apportare alla sua creatura infuocata solo dei piccoli
ritocchi qua e là, e magari solo per esigenze discografiche, come accaduto ad esempio nel 1947.
La figura che segue mostra una
sintesi della struttura del Balletto e delle tre Suite (la terza anche in edizione 1947). L’ampiezza verticale delle righe è (più o meno) in scala con il
numero di battute musicali del brano ivi indicato (il che non significa
ovviamente che ci sia proporzione con la durata). La numerazione all’estrema
sinistra è quella della macro-suddivisione di scene del balletto fatta
dall’Autore; quella in testa ad ogni titolo è invece la micro-suddivisione dei
singoli numeri del balletto, come si desume dalla partitura originale. Ho omesso per non complicare la figura i titoli
dei vari brani delle Suite: per le prime due in pratica sono gli stessi titoli
delle corrispondenti scene del balletto; la suite del 1945 introduce un po’
surrettiziamente tre brani intitolati Pantomima, ma null’altro sono se non
parti o diverse denominazioni dei numeri del balletto. Nell'edizione in disco del 1947 sono stati usati anche termini svincolati dalle scene del
balletto, come ad esempio: Adagio (Suppliche) Scherzo (Gioco) e Rondò (Khorovod).
Come si nota, le Suite pescano
in modo diverso dalla fonte comune del balletto.
Il
balletto originale (qui un’esecuzione di Jukka-Pekka Saraste) dura
all’incirca 45 minuti. Le Suite si caratterizzano per la differenza di
approccio con cui Stravinski le ha costruite a partire dal balletto.
La
prima Suite del 1911 fu ricavata per pura e semplice estrazione di 96 pagine
dalle 172 della partitura del balletto, con la sola modifica di 7 pagine, per
ragioni di chiusura o collegamento di numeri. Le stesse matrici originali delle
pagine del balletto furono impiegate per stampare la partitura della Suite. Quindi
praticamente nessun intervento sulla strumentazione, né sull’organico
orchestrale, a parte l’esclusione dei rinforzi dei 7 fiati (trombe e tuba) che
nel balletto sono previsti suonare sulla scena e più che altro in numeri
esclusi dalla Suite. La quale dura circa 25 minuti: qui è eseguita dagli
spagnoli della Radiotelevisione di Madrid diretti da David Shallon, che però
ci aggiunge anche la Ninnananna e il Finale.
La
seconda Suite del 1919 fu invece assai più elaborata da Stravinski, che non si
limitò ad una diversa scelta di brani da includervi, ma procedette ad una
sostanziosa rivisitazione dell’orchestrazione e a qualche sottile intervento
anche sulle linee melodiche. L’organico orchestrale è un filino ridotto
rispetto a quello della prima Suite, sia nei fiati che nelle percussioni.
Inoltre questa Suite prevede due possibili strutture: la prima si chiude, come
quella del 1911, con la Danza infernale, la seconda include anche la Ninnananna,
una transizione e il grandioso e magniloquente Finale, per una durata in questo
caso di poco più di 20 minuti.
E
al proposito si può osservare un esempio apparentemente insignificante di intervento
sul contenuto musicale: riguarda le 16 battute (nella partitura del balletto)
che chiudono il numero 23 (Profonde
tenebre) prima dell’inizio del glorioso Finale dove – come nell’Alcina di Händel,
per dire – si ripristina il ritorno alla
vita. Mentre nel balletto queste battute arrivano dopo la morte del mago
cattivone Kastchei e dipingono una specie di spettrale quiete che deve apparire
come eterna, prima di essere inaspettatamente rotta dall’irrompere del tema del
Finale, nella Suite il passaggio segue immediatamente l’esposizione della Ninnananna,
che ha già instaurato, dopo il feroce ballo
infernale, un clima più sereno e disteso. Perciò Stravinski altera quelle 16
battute, introducendovi una sia pur lenta accelerazione del tempo, proprio a preparare
l’arrivo del trionfante Finale; e lo fa dimezzando il valore delle note delle ultime
10 battute, che si riducono a 5 trasformando le semibrevi in minime:
Qui
il novello senatore Abbado la dirige
a Lucerna, in versione
completa con il Finale. È questa, delle tre, la Suite sicuramente più eseguita:
a parte la maggior concisione rispetto alle altre, ha anche una struttura molto
simmetrica, essendo costituita in pratica da un alternarsi per tre volte di brani
lenti e mossi.
La
terza Suite del 1945 ricalca – a parte la presenza del Finale - piuttosto la
prima nella struttura (quindi è più lunga della seconda, durando 28-30’) mentre
di quest’ultima conserva le novità di contenuto. Ecco Stravinski dirigerla a
Londra con la NewPhilharmonia
nel 1965, a 82 anni! E qui la stessa versione come pubblicata nel 1947, eseguita con la
NYPO.
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Bravissima
la Xian già dall’iniziale pianissimo degli archi bassi e poi nella
Khorovod, dove si distinguono l’oboe di
Emiliano Greci e il cello di Mario Shirai. Forsennata, più che infernale, la danza delle creature del cattivone
Kastchei: la cui conclusione proterva fa scattare anzitempo un applauso liberatorio
quanto inopportuno, chè rovina il contrasto con la successiva ninnananna. Non proprio impeccabile l’attacco
del finale, chiuso comunque con straordinaria efficacia.___
Infine è la volta di Rimski e del suo Capriccio Spagnolo (qui alcune mie personali note di presentazione). La Xian ci aggiunge manciate di rubato, che si possono anche tollerare, date le circostanze. Il pezzo è di quelli che non possono non far ammattire il pubblico. Note di merito per Luca Stocco al corno inglese, Raffaella Ciapponi al clarinetto, Max Crepaldi al flauto e per il Konzertmeister Santaniello.
Non poteva mancare un travolgente bis, e così i nostri hanno chiuso la serata
precisamente come avevano fatto 10 giorni or sono ai PROMS.
Giovedi si comincia in Auditorium con tutto
e solo Verdi.
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