Il
venerabile Yuri Temirkanov ha portato
agli Arcimboldi (sala strapiena!) la sua splendida creatura (leggasi: Orchestra Filarmonica di SanPietroburgo) in un concerto
tutto russo e
tutto classico.
Il mio conterraneo
(forsa Brèsa!) Federico Colli si è cimentato con un’opera che
nuoce-gravemente-alla-salute (smile! ma lui è già immune dal contagio,
avendo domato questo virus fin dal 2008 a Cantù). In
effetti, da quando fu protagonista del film Shine,
il Rach3
è – almeno nell’immaginario collettivo (beh, insomma… nell’immaginario di quei
quattro gatti che si interessano di musica cosiddetta classica) – un pezzo da
fuori-di-testa.
In
realtà le difficoltà esecutive sono forse di natura atletica più che mentale (la
lunghezza del concerto, mediamente sopra i 40’, e soprattutto la quasi continua
presenza della parte solistica, che spesso
e volentieri obbliga l’esecutore a velocissimi passaggi di semicrome percuotendo contemporaneamente fino a otto tasti!) mentre sul lato squisitamente estetico siamo un
filino distanti da qualcosa che si possa definire un capolavoro. Rachmaninov
approntò anche delle versioni tagliate della sua opera e lui stesso qui ci propone un’esecuzione attorno ai 30’,
grazie a pesanti sforbiciate nel primo (da metà cadenza alla fine, per dire!)
nel secondo e nel terzo movimento. Qui invece
una coppia di cinesine
– una delle quali ormai di casa a Milano - non dimentica una sola nota del concerto.
A
NewYork, la sera della domenica del 16 gennaio 1910, a meno di due mesi di
distanza dalla prima (28 e 30
novembre 1909, direttore Walter Damrosch
con la NYSO) Rachmaninov interpretò il suo nuovo concerto con la NYPO diretta
da Gustav Mahler. Nelle sue memorie,
il compositore parla di quel successo travolgente (una decina almeno di
chiamate) ma soprattutto esalta le grandi qualità di Mahler, che lo impressionò
particolarmente durante le prove, per l’attenzione posta a ogni dettaglio della
partitura ed anche per non esitare ad imporre all’orchestra un autentico
super-lavoro, pur di ottenere la massima qualità dell’esecuzione. Rachmaninov
ricorda come un giorno, alle 13:30 e alla fine di tre ore e mezza filate di
prove, protrattesi per un’ora abbondante oltre il termine previsto, Mahler
rimase seduto sul podio per discutere con lui alcuni dettagli; gli orchestrali
cominciarono ad andarsene e lui li costrinse a rimanere ancora, esclamando: Finchè io sono seduto qui, nessun musicista
ha il diritto di alzarsi!
___
Rachmaninov
doveva essere un tipo affetto da una qualche forma di ossessione, il che spiega
certe sue manìe, come quella di infilare a destra e manca nei suoi lavori il motivo del Dies Irae. O di autocitare dei motivi
che evidentemente gli ronzavano di continuo in testa.
E proprio
l’introduzione dell’Allegro ma non tanto del
concerto ne è un esempio: il motivo in RE minore (semiminima puntata e croma) affidato
a clarinetti e fagotti, che prepara l’entrata del solista, è una chiara
reminiscenza del primo tema (DO minore) del secondo
concerto:
La struttura
del primo movimento è una specie di simulacro di forma-sonata, che in realtà presenta – in particolare nella parte
solistica - molti tratti più tipici della fantasia
(questo rilievo in realtà si applica all’intero concerto). Si può
schematicamente inquadrare come segue.
Dopo la breve
introduzione strumentale abbiamo l’esposizione nel pianoforte del primo tema,
in RE minore, un tema che non è propriamente fra i più mirabili che siano stati
inventati:
In realtà,
più che un classico tema, conciso e ben scolpito, è una melopea che si sviluppa
e si trascina per ben 24 battute, su un accompagnamento sommesso
dell’orchestra, prima che il pianoforte (Più
mosso) introduca con un arpeggio la riesposizione del tema da parte di
archi e fiati, che il solista accompagna con leggere e svolazzanti semicrome.
Questa riesposizione viene sviluppata ulteriormente dal solista con grandi
volate e in modo ipertrofico (per 48 battute, le ultime 8 in Allegro) prima che si arrivi ad una mini-cadenza
(Veloce) chiusa sul LA. Da notare una
raffinatezza di Rachmaninov - che sfugge anche all’orecchio più attento –
consistente nell’anticipare nei fiati, proprio all’inizio delle battute in
Allegro, il motivo marziale che introdurrà e accompagnerà il secondo tema:
Ora una
transizione di 12 battute (Moderato,
poi Allargando) affidata
all’orchestra, che varia il primo tema e si abbandona ad una languida cadenza
chiusa dal corno, ci fa scivolare verso la tonalità di SIb maggiore, in cui
viene esposto dal solista il secondo tema, introdotto da 14 battute in cui
archi, fiati e pianoforte, con piglio marziale, si alternano quasi a
preparargli il terreno:
Questo
secondo tema, che solo nella tonalità-modalità contrasta con il primo,
condividendone invece il taglio languido, viene poi sviluppato in modo ancor
più ampio e articolato rispetto al primo, con dolci interventi su un controsoggetto
di fagotto, corno e oboe e cambi di tempo (Allargando,
poi Allegro) fino alla conclusione,
che – trasformando la mediante RE del
SIb in tonica – ci riporta al RE
minore su cui inizia quello che scolasticamente dovrebbe essere lo Sviluppo.
In realtà
qui Rachmaninov avrebbe probabilmente avuto difficoltà a contrapporre i due
temi, data la loro natura poco… contrastante, e così ecco che sviluppa
soprattutto il primo, anzi più ancora l’inciso introduttivo (semiminima puntata
e croma). Sviluppo invero mastodontico, costituito da almeno 5 sezioni che contengono
continue modulazioni, variazioni di tempo e di volume del suono, dove è il
pianoforte a farla da padrone; sviluppo che tocca un autentico parossismo in un
passaggio notato in Allegro, poi Accelerando e infine, preceduto da 4
battute dove compare in orchestra un colossale accenno alla Pasqua di Rimski (ma nel terzo tempo la
cosa diventerà ancor più scoperta) un Allegro
molto, alla breve. Qui nel pianoforte emerge anche una figurazione che
sembra richiamare, pur da lontano, quel Dies
Irae che era un’autentica ossessione del compositore:
Questa sorta di anomalo sviluppo porta, quasi canonicamente, alla lunga cadenza,
suddivisa in quattro parti: le prime due basate sul tema principale, poi un
intermezzo in cui intervengono i fiati (12 battute, sempre sul primo tema) e
quindi la quarta parte (21 battute) basata sul secondo tema (ora esposto in
MIb). Della prima parte esistono due versioni, una di 39 battute, assai
virtuosistica (qui Vladimir Horowitz da 10’59”)
e l’altra di 55 battute, più pomposa e drammatica (qui Olga Kern da
10’56”).
Quella che
dovrebbe essere la Ripresa si riduce
ad una specie di Coda, dove viene
riproposto quasi integralmente il tema principale e dove il secondo fa capolino
(prima nei fiati e poi negli archi) in proporzioni assai ridotte e sulla tonalità
di RE, prima della chiusa, che porta sommessamente ai RE gravi di pianoforte,
corni e archi bassi.
Il tempo
centrale è intitolato Intermezzo. Ha
una struttura piuttosto articolata, che al primo ascolto è davvero difficile da
inquadrare. Si potrebbe assimilare ad un anomalo Rondo, caratterizzato dalla presenza delle sezioni A-B-A’-C-A”,
dove nei diversi A si nascondono almeno cinque variazioni del tema principale. Da notare
che la sezione B è spesso tagliata, cosicchè il movimento si riduce quasi ad un
tema con variazioni.
Inizia in Adagio, 3/4 RE minore (a dispetto dei
tre diesis in chiave) ed è
l’orchestra, dove si alternano archi e fiati, ad anticipare il tema principale:
Tema poi esposto, in forma arricchita, dai primi violini:
Tema poi esposto, in forma arricchita, dai primi violini:
Dopo che gli
archi hanno concluso languidamente l’esposizione, il solista – che ha avuto
uno dei pochissimi momenti di respiro, per 30 battute… - entra per
supportare la transizione verso una prima forma variata del tema, esposta poi
modulando a REb:
L’orchestra
entra poco dopo ad affiancare il solista che si sbizzarrisce in volate di
semicrome, fino a chiudere la variazione con una veloce cadenza, dopodichè la ripresenta (Più mosso) in forma diversa e, raggiunto ancora dall’orchestra,
modula verso il FA per preparare l’ingresso della sezione B:
Si noti nei
violini primi un inciso che ricorda apertamente il tema principale del primo
movimento! La sezione si stempera fino ad un Meno mosso, sempre sul FA,
dove ancora il pianoforte riprende vigore con una robusta figurazione –
tonica-dominante - che introduce (Tempo
più mosso) la ripresa del tema principale (sezione A’) ulteriormente variato, in SIb, che richiama vagamente all’orecchio
l’incipit del Doppio concerto brahmsiano:
Altre due
variazioni del tema (in RE e REb) proposte dall’orchestra, sono sottolineate
dal solista con pesanti accordi in fortissimo,
poi si ha la transizione che porta verso la sezione
C, che è un velocissimo tempo di Walzer in 3/8 e in tonalità FA#. Qui Rachmaninov
introduce quasi subliminalmente richiami ai due temi del primo movimento: dapprima
nella linea del clarinetto (primo tema) poi nei violini (introduzione marziale al
secondo) e infine nel pianoforte (primo tema ancora):
Un
rallentamento del ritmo (Meno mosso)
porta, su un trillo in DO# del pianoforte – che poi
si riposa per 20 battute - all’ultima apparizione (sezione A”) del
motivo principale, esposto dalla sola orchestra, con il corno principale in evidenza.
A questo punto
il pianoforte interviene assai brutalmente per proporre, in RE minore, la transizione
al movimento conclusivo, cui si accede attraverso due poderosi accordi di tutta
l’orchestra, dopo una velocissima volata in biscrome del solista.
Il Finale attacca subito, riprendendo
l’accordo che aveva chiuso l’Intermezzo.
L’incipit, nei legni, è un chiaro rimando ad uno dei motivi che Rimski aveva
presentato nella Grande Pasqua russa,
e per la verità viene anche da più lontano… (Glinka, Ruslan&Lyudmila):
La struttura di questo finale rispetta fondamentalmente i canoni della forma-sonata: esposizione di due gruppi tematici, ipertrofico sviluppo degli stessi, ricapitolazione e corposa coda conclusiva.
Il primo
gruppo tematico è composto da due motivi, esposti di seguito dal solista e
accompagnati dall’orchestra, il primo in RE minore, il secondo in LA minore, abbastanza
apparentati dal ritmo:
Il secondo
gruppo, sempre esposto dal solista, ma con accompagnamento più corposo
dell’orchestra, è costituito da due motivi più elegiaci, in specie il secondo,
in DO e in SOL maggiore, rispettivamente:
Complessivamente
l’esposizione (chiusa da un fugace ritorno del primo motivo e del RE minore) è
di 131 battute, anche se Rachmaninov stesso autorizzò il taglio delle ultime 29
(in pratica l’intero secondo motivo del secondo gruppo tematico, quello
che verrà ripreso in pompa magna nella cadenza finale).
Come detto,
lo sviluppo è davvero assai esteso: occupa 113 misure e si può suddividere in
ben 10 sezioni distinte (anche qui l’autore ha autorizzato il taglio delle
sezioni 5 e 6, per un totale di 13 battute). La tonalità modula a MIb, mentre
ricompaiono ricordi dei due temi principali del primo movimento (conferendo ancor
più all’opera una caratteristica di ciclicità). Sul ricordo
struggente del secondo dei due temi – accompagnato dagli interventi di flauto e
corno - si divaga brevemente a MI. Lo sviluppo è chiuso da quattro battute di cadenza,
una specie di corale, del pianoforte.
La ricapitolazione è aperta da quattro battute
introduttive, sempre in MIb, che segnano il ritmo caratteristico del primo tema,
che compare poi in DO minore negli archi. Più avanti il secondo motivo è riproposto
dal pianoforte in FA, quindi ancora il primo in SOL. Arriva poi il secondo soggetto,
praticamente riproposto come nell’esposizione, il cui primo motivo è esposto in
SIb e il secondo in FA maggiore.
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Federico Colli (che si è presentato indossando
una giacca a code di un bianco abbacinante…) intanto ha eseguito quasi tutte le
note (concedendosi solo il breve taglio nello sviluppo del finale) e ha suonato
la prima delle due cadenze, sicuramente la più impegnativa. Ha aggredito la
tastiera da par suo nei molti passaggi truculenti che costellano il concerto, ma
soprattutto e specialmente ha mostrato una grande sensibilità interpretativa nei
momenti più intimistici dell’opera, meritandosi un autentico trionfo, ripagato con
uno dei suoi bis abituali.
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Dopo
un antipasto che da solo equivale a… tre portate piuttosto ardue da digerire,
ecco il main-course che invece si
merita mille-e-una beatificazioni! La
strepitosa Sheherazade di Rimski. (Rachmaninov – diciamola pure tutta – non arriva nemmeno a sfiorare le caviglie al
sommo Nikolaj.)
Temirkanov (qui 10 anni fa con la SantaCecilia, di cui è
oggi Accademico) ha cavato dai suoi
tutto quanto (e di più…) c’è di straordinario in questa partitura. È davvero un
piacere per l’orecchio, ma anche per l’occhio, vedere questa squadra affiatatissima
con il suo capitano, che la conduce quasi… facendosi condurre, sempre senza bacchetta
e con gesti che paiono carezze rivolte agli strumentisti.
Successo
strepitoso - ovviamente con menzione speciale per la... principessa Lev Klychkov - ripagato con bis, chiusi da
Stravinski, col celebre Vivo pergolesiano dal Pulcinella, dove spiccano i glissando del
trombone e la parte del contrabbasso.
Insomma,
una bella serata - si replica stasera sotto la Mole, con Ciajkovski al posto di Rimski - che onora la manifestazione milan-torinese.
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2 commenti:
grazie!
ma quale è stato il primo bis dell'orchestra?
@dubbioso
Grazie a te!
Elgar:
http://www.youtube.com/watch?v=tYrj9jgxC8c
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