La mia personale avventura al ROF-2013 è cominciata ier sera con la terza delle cinque rappresentazioni dell’Italiana al Teatro Rossini, gremito quasi come la spiaggia di Rimini.
Quest’anno è toccato a Davide Livermore (che deve avere col ROF un contratto… vitalizio, smile!) riproporci uno dei più splendidi prodotti del genio di questi luoghi.
Miracolo
dell’invenzione registica moderna: siamo ad Algeri!
Niente Route66, niente Baku, niente MountRushmore, niente
AlexanderPlatz, niente WallStreet. Però qualcosa che richiama il recente
capolavoro di Castorf a Bayreuth c’è anche qui: il petrolio! Già, perché circa
150 anni dopo la composizione del dramma
giocoso l’Algeria scoprì di avere sotto il culo un pochino (non certo tanto
quanto ne hanno quei fottutissimi sceicchi) di oro nero, e così il regista ci
ha trovato l’ambiente giusto (a suo insindacabile giudizio) per collocarci la sua Italiana.
Poco importa
che l’Algeri di 50 anni fa fosse tutto tranne che una città dedita a baldorie e
sfoggio di ricchezza (vi vigeva anzi, con Boumedien, un socialismo piuttosto austero) e che di
Mustafà rossiniani ne circolassero pochi o punti. L’Algeri di Livermore
(complici Bovey e Falaschi per scene e costumi) è una
specie di sultanato o sceiccato del petrolio trasportato a Hollywood, un
minestrone di cartone animato, avanspettacolo, zelig e parodia di quelle che
facevano i simpatici del Quartetto Cetra al sabato sera.
Ma alla fine
va bene così, compreso il disastro aereo (ma senza conseguenze) che sostituisce
l’originale naufragio. Però, accipicchia: petrolio e incidente aereo che
coinvolge italiani, a metà del secolo scorso… vien in mente qualcosa di
drammatico e assai poco giocoso: Mattei
(?!) Ah già, ma Livermore è mica quello che ha infilato la strage di Capaci nei
Vespri? Ecco…
Dopodichè
l’impresa di mettere in parodia e buttare in ridicolo un soggetto che è già in
partenza giocoso o buffo o farsesco non è delle più semplici, diciamolo
francamente. E allora il regista e i suoi compari si inventano, in barba al
recitar-cantando, il ballar-cantando;
dico, non c’è una sola nota di Rossini che sia stata emessa (da interpreti,
coro maschile e figuranti assortiti) senza molleggiamenti, mossette da swing o
balletti da avanspettacolo! Il che per un po’ diverte, ma dopo 2 ore e mezza
rischia francamente di stomacare.
Insomma, una
proposta che si può anche digerire, come certi avanspettacoli di 40-50 anni fa
allo Smeraldo di Milano (smile!)
Sul fronte…
serio conferme e smentite rispetto alla radioaudizione di sabato scorso. Le prime vengono da Alex Esposito, che ha riempito il piccolo spazio del Rossini con la
sua bella voce brunita, aggiungendovi una gran dose di teatralità (comprese
alcune cadute di stile, come l’imbottirsi di viagra e lo spararsi nelle palle,
imputabili esclusivamente a Livermore).
Anche Yijie Shi si conferma solido interprete
di questi ruoli Lindoriani: chi ha
avuto la fortuna di sentire dal vivo Duprez (smile!) non potrà non farci un chiaro accostamento.
Brava anche la
Mariangela Sicilia, che ha una voce
tanto potente quanto forse non ancora ben… addomesticata. Però nei concertati
sovrastava tutti gli altri.
Una menzione
anche per Davide Luciano, che canta
l’aria forse più mozartiana di tutta la produzione di Rossini (Le femmine d’Italia, un vero
gioiellino): e lì il nostro si è davvero ben destreggiato.
Mario Cassi (Taddeo-babbeo) e Raffaella Lupinacci (Zulma) su uno
standard di sufficienza.
Chi
francamente mi ha deluso (rispetto all’ascolto via radio) è Anna Goryachova: forse per la
trasmissione le avevano sistemato un
microfono direttamente in faringe (stra-smile!)
Fatto sta che, pur nell’angusto spazio del teatrino pesarese, la sua voce si
stentava proprio a percepirla. In compenso, dal vivo si son potute apprezzare
altre sue pregevoli qualità: prima fra tutte, quella di essere una gran gnocca!
Il coro dei
maschietti di Andrea Faidutti mi è
parso all’altezza del compito, gravato oltretutto dai compiti supplementari
imposti dal regista.
Orchestra non al
meglio, direi, con diverse sbavature (corni, ma non solo) e Direttore (Encinar) a livello di dignitosa routine, nulla più.
Alla fine applausi
per tutti (Esposito ne ha mietuti di più) e pubblico (come al solito cosmopolita)
tutto sommato soddisfatto e sorridente.
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