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28 agosto, 2013

Aperta la Sagra Musicale Malatestiana


Yannick Nézet-Séguin alla testa della prestigiosa Rotterdam Philharmonic ha aperto l’edizione n°64 della Sagra riminese.

Programma di gran tradizione, incentrato su Ciajkovski ma con una corposa spruzzata wagneriana (siamo pur sempre nel 2013…)

Concerto aperto da Romeo&Giulietta, la versione seconda (1880) e largamente la più eseguita dell’Ouverture-fantasia (qui Gergiev). La prima versione del 1869 (nella quale mise un pesante zampino anche Balakirev) è decisamente più… rozza e immatura (per constatarlo, eccone un’esecuzione di Geoffrey Simon).

In particolare nella versione ultima Ciajkovski sostituì completamente il tema dell’introduzione, invero banalotto, con un corale assai più nobile e di chiara ispirazione russa, seguito da una cadenza arpeggiante in minore che verrà ripresa in maggiore poco prima della chiusa; eliminò poi la prima timida e scipita comparsa del tema dell’amore (che chiudeva sulla dominante, invece che sulla sesta abbassata); espunse un’enfatica e velleitaria ripresa del motivo dell’introduzione all’interno della seconda esposizione del tema della guerra civile; e soprattutto introdusse un paio di sviluppi in cui i tre temi principali (Lorenzo, guerra, amore) si contrappuntano mirabilmente, mentre nella prima versione compaiono quasi semplicemente giustapposti; infine ingentilì anche la finale cadenza sul tema dell’amore.

Nézet-Séguin ne ha dato un’interpretazione caratterizzata da forti chiaroscuri, esagerando forse in lentezza nell’introduzione e poi scatenando l’orchestra nel tema della guerra Capuleti-Montecchi. Apprezzabile ed emozionante l’attacco delle viole sul tema dell’amore. Qualche apparente compenso, almeno a giudicare da chi come me stava verso il fondo della sala, fra i piani sonori delle diverse sezioni è forse da attibuire all’acustica non ottimale di questo enorme spazio (che non a caso hanno chiamato la Piazza!)

E penso che questa sia anche la causa della scarsa udibilità della voce di Anna Caterina Antonacci (che non è propriamente una vocina) che ci ha proposto successivamente i cinque Wesendonk-Lieder di Wagner. I testi della bella e giovane Mathilde Luckemeyer, maritata con Otto Wesendonk e con lui trasferitasi dalla Germania a Zurigo per ragioni di business, non sono certamente di qualità eccelsa: nessuno se ne curerebbe se Wagner non li avesse rivestiti con le sue note, tutte impregnate di abbondante tristanismo, misto a qualche eco di motivi del Ring, ciclo che proprio in quel periodo (1857-58) il nostro aveva momentaneamente accantonato nel bel mezzo del Siegfried per dedicare le sue morbose attenzioni contemporaneamente al Tristan e alla sua ispiratrice (oltre che ricchissima mecenate).

La quale a sua volta trasse ispirazione dai testi del Tristan, che Wagner le aveva letto in anteprima e così Der Engel (L’Angelo… custode) sembra proprio una dichiarazione d’amore di Mathilde per il musicista: un angelo venuto dal cielo su piume lucenti per sollevare in alto il suo spirito (!)

Stehe still (Resta immobile… sembra il Tell) vorrebbe fermare il tempo per assaporare attimi di estasi. Versi come Aug’ in Auge sembrano proprio mutuati da Herz an Herz dir, Mund an Mund del celebre duetto del second’atto del Tristan.

Im Treibhaus (Nella serra, esplicitamente definito da Wagner Studio per Tristan und Isolde) lascia emergere concetti quali il vuoto chiarore del giorno e Chi veramente soffre si ammanta nel buio del silenzio, che non lasciano dubbi sulla sua ascendenza tristaniana!

Schmerzen (Dolori) sembra far da contraltare al Tristan: qui il sole (che muore, tramontando, ma rinasce ogni mattino) fa accettare tutti i dolori che la natura riserva all’essere umano.

In Träume (Sogni, anche questo indicato da Wagner come Studio per Tristan und Isolde) troviamo versi come Allvergessen, Eingedenken, che paiono venire proprio dal duetto del Tristan.

Apprezzabile (anche se… flebile, smile!) l’interpretazione della Antonacci, ben supportata dall’orchestra (assai ridotta nei ranghi) che il Direttore ha dosato con la dovuta parsimonia.

In chiusura di serata la celeberrima Patetica. Essendo un’opera nota quanto e più del Danubio blu, ecco che ogni direttore si sente in dovere, per distinguersi, di metterci parecchio di suo. E anche Nézet-Séguin non fa eccezione, infarcendo la sua interpretazione di arbitrari interventi su dinamica e agogica (forse accentuati, ancora una volta, dall’acustica del luogo…) Il pubblico, che è rimasto in silenzio alla fine del movimento iniziale, applaude al termine dell’Allegro con grazia, così il Direttore, al termine del poderoso tatata-tà di SOL maggiore dell’Allegro vivace (dove è quasi normale che il pubblico si scateni) non lascia a nessuno nemmeno il tempo di battere le palpebre, e attacca subito l’Adagio lamentoso, effettivamente condotto, questo, come si deve.

Alla fine buon successo e applausi da parte del pubblico assai folto e che, come è un po’ di prammatica in questi festival vacanzieri, costringe tutti ad un indebito quarto d’ora accademico prima che si possa iniziare.

La Sagra prosegue fino al 15 settembre con altri 4 concerti (Fedoseyev, Valcuha, Mehta, Salonen).
 

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