Yannick
Nézet-Séguin alla testa
della prestigiosa Rotterdam Philharmonic ha aperto l’edizione n°64 della
Sagra riminese.
Programma di
gran tradizione, incentrato su Ciajkovski
ma con una corposa spruzzata wagneriana (siamo pur sempre nel 2013…)
Concerto
aperto da Romeo&Giulietta, la versione seconda (1880) e largamente la
più eseguita dell’Ouverture-fantasia (qui
Gergiev). La prima
versione del 1869 (nella quale mise un pesante zampino anche Balakirev) è
decisamente più… rozza e immatura (per constatarlo, eccone un’esecuzione di Geoffrey Simon).
In particolare
nella versione ultima Ciajkovski sostituì completamente il tema
dell’introduzione, invero banalotto, con un corale assai più nobile e di chiara
ispirazione russa, seguito da una cadenza arpeggiante in minore che verrà
ripresa in maggiore poco prima della chiusa; eliminò poi la prima timida e
scipita comparsa del tema dell’amore (che chiudeva sulla dominante, invece che
sulla sesta abbassata); espunse un’enfatica e velleitaria ripresa del motivo
dell’introduzione all’interno della seconda esposizione del tema della guerra
civile; e soprattutto introdusse un paio di sviluppi
in cui i tre temi principali (Lorenzo, guerra, amore) si contrappuntano
mirabilmente, mentre nella prima versione compaiono quasi semplicemente
giustapposti; infine ingentilì anche la finale cadenza sul tema dell’amore.
Nézet-Séguin ne ha dato un’interpretazione caratterizzata da forti chiaroscuri,
esagerando forse in lentezza nell’introduzione e poi scatenando l’orchestra nel
tema della guerra Capuleti-Montecchi. Apprezzabile ed emozionante l’attacco
delle viole sul tema dell’amore. Qualche apparente compenso, almeno a giudicare
da chi come me stava verso il fondo della sala, fra i piani sonori delle
diverse sezioni è forse da attibuire all’acustica non ottimale di questo enorme
spazio (che non a caso hanno chiamato la Piazza!)
E penso che questa sia anche la causa della scarsa udibilità della voce
di
Anna Caterina Antonacci (che non è
propriamente una vocina) che ci ha
proposto successivamente i cinque Wesendonk-Lieder di Wagner. I testi
della bella e giovane Mathilde Luckemeyer,
maritata con Otto Wesendonk e con lui
trasferitasi dalla Germania a Zurigo per ragioni di business, non sono certamente di qualità eccelsa: nessuno se ne
curerebbe se Wagner non li avesse rivestiti con le sue note, tutte impregnate
di abbondante tristanismo, misto a
qualche eco di motivi del Ring, ciclo
che proprio in quel periodo (1857-58) il nostro aveva momentaneamente
accantonato nel bel mezzo del Siegfried per dedicare le sue morbose attenzioni
contemporaneamente al Tristan e alla sua ispiratrice (oltre che ricchissima
mecenate).
La quale a sua volta trasse
ispirazione dai testi del Tristan, che Wagner le aveva letto in anteprima e
così Der Engel (L’Angelo… custode) sembra proprio una dichiarazione d’amore di
Mathilde per il musicista: un angelo venuto dal cielo su piume lucenti per
sollevare in alto il suo spirito (!)
Stehe
still
(Resta immobile… sembra il Tell)
vorrebbe fermare il tempo per assaporare attimi di estasi. Versi come Aug’ in Auge sembrano proprio mutuati da
Herz
an Herz dir, Mund an Mund del celebre duetto del second’atto del
Tristan.
Im
Treibhaus
(Nella serra, esplicitamente definito
da Wagner Studio per Tristan und Isolde)
lascia emergere concetti quali il vuoto
chiarore del giorno e Chi veramente
soffre si ammanta nel buio del silenzio, che non lasciano dubbi sulla sua
ascendenza tristaniana!
Schmerzen
(Dolori) sembra far da contraltare al
Tristan: qui il sole (che muore, tramontando, ma rinasce ogni mattino) fa
accettare tutti i dolori che la natura riserva all’essere umano.
In Träume
(Sogni, anche questo indicato da
Wagner come Studio per Tristan und Isolde)
troviamo versi come Allvergessen,
Eingedenken, che paiono venire proprio dal duetto del Tristan.
Apprezzabile (anche se… flebile, smile!) l’interpretazione della
Antonacci, ben supportata dall’orchestra (assai ridotta nei ranghi) che il
Direttore ha dosato con la dovuta parsimonia.
In chiusura di serata la celeberrima Patetica.
Essendo un’opera nota quanto e più del Danubio
blu, ecco che ogni direttore si sente in dovere, per distinguersi, di metterci parecchio di suo. E anche Nézet-Séguin non fa eccezione, infarcendo la sua interpretazione di arbitrari
interventi su dinamica e agogica (forse accentuati, ancora una volta,
dall’acustica del luogo…) Il pubblico, che è rimasto in silenzio alla fine del
movimento iniziale, applaude al termine dell’Allegro con grazia, così il
Direttore, al termine del poderoso tatata-tà di SOL maggiore dell’Allegro
vivace (dove è quasi normale che il pubblico si scateni) non lascia a
nessuno nemmeno il tempo di battere le palpebre, e attacca subito l’Adagio
lamentoso, effettivamente condotto, questo, come si deve.
Alla
fine buon successo e applausi da parte del pubblico assai folto e che, come è
un po’ di prammatica in questi festival vacanzieri, costringe tutti ad un indebito
quarto d’ora accademico prima che si possa iniziare.
La
Sagra prosegue fino al 15 settembre con altri 4 concerti (Fedoseyev, Valcuha,
Mehta, Salonen).
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