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30 novembre, 2012

Orchestraverdi – concerto n.12


Appena reduce dalla (trionfale, dicono) trasferta russa, laVerdi (senza Helmuth Rilling che speriamo proprio di rivedere in occasione del Requiem brahmsiano!) è tornata in Auditorium con Ruben Jais per il dodicesimo concerto della stagione principale.  

Concerto che ha un programma relativamente inconsueto, ma tutto saldamente ancorato all’800 (austro)tedesco, ma un ‘800 che guarda con grande rispetto alla tradizione settecentesca (Haydn e Bach in testa) per renderle omaggio e allo stesso tempo trarne ispirazione.

Ecco quindi Brahms e le sue Variazioni su un tema di Haydn. Una specie di ultimo test attitudinale (1873) cui il burbero amburghese si sottopose in vista della sua tanto attesa e reclamata discesa in campo nell’arena sinfonica (1876).
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Che il tema originario (Chorale in honorem St. Antonii, scritto per organico di banda) sia proprio di Haydn è cosa su cui nessuno è disposto a metter la mano sul fuoco (anzi è ormai praticamente certo fosse un canto di pellegrini boemi ripreso da Ignatz Joseph Pleyel) ma ciò che interessa a noi è l’impiego magistrale che Brahms ha fatto di quel tema di 10 battute (5+5) che lo caratterizza:

L’intera opera non sfugge mai alla tonalità del tema principale: SIb. Le otto variazioni che seguono l’esposizione del tema (cinque in modo maggiore e tre – 2-4-8 - in minore) ne sviluppano tutte le potenzialità, o ne derivano altri motivi a mo’ di reminiscenza.

Nel Finale (tempo di passacaglia, ecco un altro chiaro richiamo al glorioso passato) Brahms inventa ancora una nutrita serie di (piccole) variazioni, su un motivo di basso ostinato di 5 battute:
Esso è tenuto inizialmente (per 9 volte) dai soli contrabbassi, ma poi passa ai violoncelli, alle viole e quindi emerge in primo piano nei corni e ancora (in minore) negli oboi, poi nei flauti e di nuovo nei corni, per tornare (in maggiore) a corni e violoncelli, prima della trionfale e conclusiva ripresa del tema.
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Insomma, una composizione che valse ad ottenere a Brahms il passaggio dell’esame (al pianoforte) con la severa (ma anche… innamorata?) Clara Schumann e a convincerlo a fare finalmente sul serio con la Sinfonia in DO minore.    

Jais tiene tempi stringati e privilegia – giustamente, direi – i fiati, che sono i veri protagonisti del brano (come lo erano nell’originale, del resto…): e i ragazzi rispondono alla grande, consegnandoci un’esecuzione assai apprezzabile.

Ecco poi la Tragica di Schubert: appellativo forse esagerato - pur se scritto di proprio pugno (ma a posteriori, e senza mai averla potuta udire suonata da un’orchestra) dall’autore - chè non basta di certo il modo minore per tragicizzare qualcosa… (caso mai il nick-name meglio si applicherebbe all’Incompiuta).
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Qui è ancora lo Schubert giovane, che ai limiti congeniti in campo sinfonico tenta di sopperire con la cantabilità liederistica dei suoi temi. Il primo movimento cerca di copiare il modello Haydn-iano (introduzione in Adagio molto e poi tempo Allegro vivace) ma ciò che manca è la capacità di sviluppo e di contrasto (o amalgama) dei temi.

Dopo l’esposizione (ripetuta) dei due temi - il primo in DO minore e il secondo in LAb maggiore (dominante del MIb, relativa maggiore della tonalità di impianto) – ci si aspetterebbe appunto uno sviluppo. Invece Schubert lo salta a piè pari per avventurarsi in una riesposizione del primo tema in… SIb minore e successivamente in SOL minore (!?) prima di ripescare il secondo tema e faticosamente chiuderlo (col movimento) in DO maggiore. Insomma, una cosa che somiglia di più ad una fantasia che ad un primo tempo di sinfonia

Molto meglio l’Andante, dove Schubert si trova… a casa sua! E può sciorinare, senza obblighi di sorta, le sue bellissime melodie. Quella del primo tema ispirerà molto più tardi il celeberrimo (secondo) Impromptu dell’opera 142:
Paradossalmente il movimento è però strutturato con maggior robustezza rispetto al primo, con i suoi due temi assai contrastanti, il primo (LAb maggiore) molto dolce e delicato, il secondo (FA minore) il cui incipit (salita da dominante a tonica) ricorda molto da vicino l’attacco del primo tema del movimento iniziale, introducendo nell’opera un elemento di ciclicità. La forma è più o meno A-B-A-B-A’(+coda): la seconda comparsa di A chiude modulando a REb e la seconda di B inizia quindi nella relativa SIb minore. A torna poi sviluppato ampiamente, dando origine ad una mirabile cadenza finale.

Il successivo Menuetto, Allegro vivace, si caratterizza per la sua concisione: severo il tema principale (MIb, ripetuto); più cantabile la seconda idea, che sfocia ancora nel primo tema per la chiusa. Nel Trio ricompare ciclicamente la salita dominante-tonica, una specie di motto, quindi, della Sinfonia.  

Il cui Allegro conclusivo vuole presentarci una specie di conflitto tra tenebre e luce (da cui emergerà la seconda). E già il tema principale ci prefigura questo obiettivo: dal DO minore di impianto, la sua seconda esposizione sfocia nella relativa MIb maggiore. Il tema viene ancora ripreso in DO minore e subito sottoposto, nella stessa tonalità, ad uno sviluppo convulso e quasi angoscioso nei violini, con le sincopi degli strumentini e delle viole e con l’esplosione di un paio di accordi dissonanti (sul SOL e SOLb) a tutta orchestra.

Qui subentra una modulazione a LAb maggiore (come nel primo movimento) dove compare l’altra idea, cantabile, palleggiata fra archi e fiati, che porta alla riproposta del primo tema, adesso in MIb maggiore: ed è con questo che si conclude l’esposizione (che prevederebbe, ma di solito non si fa, il ritorno all’inizio).

Ora abbiamo uno sviluppo dove il tema principale ricompare in frammenti e in tonalità diverse per poi, dopo una rarefazione della melodia, passare abbastanza sorprendentemente a LA maggiore e quindi, modulando per terze discendenti, prima a FA maggiore e poi a REb maggiore, dove si inizia una transizione, che passa dal FA al FA# e da qui al SOL, dominante del DO maggiore che sarà protagonista della ricapitolazione finale.

Nella quale il tema principale, dopo una prima esposizione in DO maggiore, torna anche in minore (la relativa LA) così come il suo agitato sviluppo, che lascia spazio all’idea cantabile, ora canonicamente in FA maggiore. Quindi il DO riprende faticosamente il sopravvento per chiudere con una (peraltro poco luminosa) apoteosi.
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Jais conferma la sua predisposizione a stringere i tempi: il che non fa male, salvo che nell’Andante, che a mio avviso avrebbe meritato un poco più di… ponderazione. Per il resto, uno Schubert più che accettabile.

Chiude il concerto Mendelssohn con il Salmo XLII, da Martin Luther: Verlangen nach Gott aus fremden Land (Desiderio di Dio da una terra straniera). Un’anima conturbata e un cuore addolorato anelano e sono dolorosamente assetati di Dio. Egli alla fine verrà loro in aiuto, perciò sia lodato per l’eternità:


Si tratta di una Cantata per 5 solisti e coro, composta praticamente… in viaggio di nozze. È forse per questo che la musica che accompagna il testo, invece di evocarne l’angoscioso contenuto, si mantiene in un ambito piuttosto sereno e beato…

Vi troviamo gli stilemi caratteristici del compositore, già comparsi in opere di ispirazione religiosa, sia strumentali (vedi la Reformationssinfonie) che vocali (come il Paulus) e che ritroveremo più avanti nell’Elias e soprattutto in quell’ibrido di sinfonia&cantata che sarà la Lobgesang. E anche qui il risultato è musica accattivante, eterea sì, ma anche piuttosto molle, quasi al limite della monotonia; insomma, priva di quegli slanci (e magari anche di spigolosità) che oltretutto ci si aspetterebbero dall’asprezza di un testo come questo.

Ecco, alla fine si resta come dopo un pranzo tutto a base, che so, di… camembert; o dopo aver mangiato troppa… nutella (smile!)

Laura Aikin e i quattro solisti che l’accompagnano nel n°6 (tutti membri del Coro de laVerdi: tenori Francesco Frasca e Hidekazu Suzuki; bassi Fausto Candi e Diego Manto) hanno fatto del loro meglio, insieme al resto del Coro di Erina Gambarini, per valorizzare al massimo questa partitura.

Certo, la recente trasferta russa dell’Orchestra deve aver limitato assai i tempi di prova, rispetto al normale, e qualche incertezza è emersa qua e là. C’è quindi da immaginare che le nelle prossime due uscite le cose vadano ancor meglio. Anche Ruben Jais ha sopperito con la sua esperienza di Maestro del Coro e di barocco all’assenza del mitico Rilling

Alla fine buon successo, in una sala relativamente affollata (tenendo conto del contestuale sciopero dei mezzi pubblici…)

Riprende fra due settimane il Ciclo-Dvorak con lo specialista Aldo Ceccato.

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