ricongiungimenti

Maurizio & Claudio

22 novembre, 2011

Dudamel con la Bolívar alla Scala


Ieri sera la Scala ha ospitato un concerto speciale per la Fondazione Progetto Arca. Sul palco i ragazzi dell'Orchestra Simón Bolívar del Venezuela (prodotto del Sistema Abreu) guidati dal loro giovane-vecchio condottiero Gustavo Dudamel, più che mai integrato con i suoi compagni (a parte le entrate, non è mai risalito sul podio per ricevere personalmente gli applausi, che ha lasciato solo al gruppo, dentro al quale si è mescolato proprio come un primus-inter-pares).

Programma robusto e impegnativo, che ci ha portato musiche distanti all'incirca un secolo, dal Beethoven maggiorenne alla coppia Ravel-Stravinski.

La Sinfonia in MIb è – nel suo genere - l'opera che segna la grande svolta di Beethoven, che si allontana decisamente e definitivamente da tradizioni e schemi settecenteschi per aprire nuove vie e nuovi orizzonti. Mai prima di quell'estate del 1804 si era udito qualcosa di simile ai due schianti di tutta l'orchestra (con tre corni!) con cui il genio di Bonn inchioda immediatamente l'ascoltatore alle sue responsabilità… (al confronto impallidisce anche il severo attacco della mozartiana Jupiter). La Sinfónica si presenta con un organico ipertrofico: tutti i fiati letteralmente raddoppiati (6 corni!) per contrastare la massa di ben 70 archi (nemmeno Strauss… e cresceranno ancora dopo l'intervallo!) ma Dudamel sa come dosare il suono e impiega l'intero apparato solo a ragion veduta, restituendoci un Beethoven tutto sommato assai sobrio e senza eccessi tardo-romantici. Fanno sempre impressione la compattezza e il livello tecnico di questa squadra, se si pensa al come viene costruita.

Dopo la pausa il palco si affolla ulteriormente: altri archi (!) e arpe, pianoforte e celesta, sax, tromboni e tuba, batteria di percussioni, per la Seconda Suite da Daphnis et Chloé di Ravel. Dove peraltro sono gli strumentini (flauti e clarinetti in specie) ad essere chiamati a virtuosismi stratosferici. Gran trionfo personale per la prima (bionda e bella!) flautista.

Chiude L'uccello di fuoco di Stravinski, precisamente i 6 numeri della Seconda Suite (del 1919). Mirabile il contrasto fra i numeri languidi e delicati (vedi la Danza delle principesse con il suo sognante tema esposto dall'oboe) e quelli scatenati (come la Danza infernale, col suo bizzarro Allegro rapace); di grandissimo effetto la chiusa, con gli smaglianti accordi dei fiati sul tappeto di SI maggiore, in tremolo, degli archi. Pubblico in delirio e immancabile bis, che è la sinfonia della Forza, di certo un omaggio all'Italia, ma anche un chiaro riferimento alle circostanze e alle volontà che rendono possibile – almeno in campo musicale - il fenomeno-Venezuela.

Poi si fa buio in sala per la vestizione dei ragazzi, che indossano – come Gustavo - la casacca giallo-rosso-blu-stellata (ci vuole davvero un po' di colore in questo ambiente scaligero che scade sempre di più nel grigio) e si scatenano in un paio di forsennati e vorticosi pezzi di bravura: magari in tutte le discoteche si suonasse questa musica e in questo modo! Tifo da stadio - o da discoteca, appunto – a salutare questa splendida gioventù.
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