ricongiungimenti

Maurizio & Claudio

19 novembre, 2011

Orchestraverdi – concerto n 9


 
Ancora Zhang Xian sul podio per il nono concerto, preceduto da una puntata del ciclo di conferenze sulla musica russa, dove si è parlato del Boris Godunov e presentato il libro En attendant Boris di Vittorio Mascherpa (intervenuto a fianco di Malcovati e Beacco).

Programma assolutamente tradizionale, che principia con il Secondo concerto per pianoforte di Beethoven. Ad interpretarlo non c'è Simone Dinnerstein, come annunciato da sempre sul programma della stagione - e come ancora oggi si legge sul sito della pianista – ma il bravo (ed evidentemente sempre disponibile…) Roberto Cominati.

Sappiamo che questo fu in realtà il primo concerto per piano composto da Beethoven, e prese il n°2 solo per via dei tempi della pubblicazione, avvenuta successivamente a quella del concerto in DO. Qui siamo – a dispetto del secolo tramontante – ancora in pieno settecento (Haydn-Mozart) e in effetti sarà compiutamente il terzo concerto a rompere con gli schemi precedenti, gloriosi ma ormai piuttosto ingessati, ed a portare aria nuova. (Analogamente e curiosamente una cosa simile capiterà, e nel giro di pochissimo tempo, nel campo sinfonico, con l'esplosione dell'eroica.)

Comunque, nel suo primo approccio a questo genere di composizioni Beethoven mostra quanto meno un'apertura mentale e una voglia di innovare – ancora un pochino velleitaria, magari - che diventeranno caratteristiche fondamentali del suo percorso artistico. Un chiaro riferimento è all'ultimo concerto mozartiano, il K595, guarda caso nella stessa tonalità, dove il genio di Salzburg, pur nel rispetto dei sacri canoni formali, si prende notevoli libertà, facendo uso nel tempo iniziale di ardite modulazioni. E così fa Beethoven, che già nell'introduzione puramente orchestrale dell'Allegro con brio ci mostra alcune cosette interessanti: le due cellule del tema (entrambe di 2 battute); più avanti l'inciso dei violini (che diventa poco dopo la base del primo tema esposto dal solista); e poi una serie di modulazioni che portano l'ambiente tonale dal SIb d'impianto alla relativa SOL minore, al FA minore, al REb (seconda cellula del tema) poi al RE minore, quindi sfiorare il MIb, prima di tornare a casa per dar la parola al pianoforte. Il quale espone due temi, il primo in SIb e il secondo – canonicamente, ma con altre escursioni di tonalità (REb maggiore e LA e SOL minore) - nella dominante FA, su cui si innestano altri motivi, e nella quale poi viene riesposto – novità! – anche il primo dei due temi. Poi c'è una sorta di sviluppo, dove torna la seconda cellula del tema introduttivo, ora in MIb maggiore; infine una ricapitolazione con i due temi del pianoforte esposti entrambi (secondo le regole) in SIb; ancora una modulazione a SOLb, prima del ritorno alla tonalità d'impianto e della lunghissima cadenza autografa, che sbocca direttamente nella brevissima (6 battute) coda. Insomma, per essere opera-prima (nel genere) di un venticinquenne del profondo nord tedesco, niente male davvero.

L'Adagio è in MIb, sottodominante della tonalità d'impianto del concerto (anche qui Mozart docet). Da essa si discosta per toccare tonalità vicine (SIb e LAb) ed anche, ma fugacissimamente - alla ripresa del tema da parte del tutti orchestrale - un SOLb. Orchestra – che introduce - e pianoforte sembrano fare a gara a chi sia più languido e sognante, nell'esporre il tema e le sue divagazioni. Delicatissima anche la cadenza conclusiva, dove il solista e l'orchestra sembrano chiudere sommessamente la finestra da cui fluiva quella musica sognante.

Beethoven – che ritoccò il concerto più volte – vi aveva incluso come Finale un Rondo (Allegro) poi espunto e pubblicato come opera a se stante. Musica delicata e accattivante, in tutto e per tutto – incluse prolissità e leziosità - settecentesca. Poi ci ripensò e scrisse il Molto allegro, che ha tutt'altra carica, concisione e spigliatezza. Col tempo di 6/8 Beethoven ha gioco facile nel creare uno scenario di domanda-risposta fra due motivi, l'uno – tema principale - in metro digiambico (croma-semiminima, ripetute):

e l'altro – secondo tema - in metro ditrocheo (semiminima-croma, ripetute):

La forma è proprio classica, con i tre temi simmetricamente disposti: A-B-A-C-A-B-A. La tonalità è SIb, FA (e SIb alla riapparizione) per il secondo tema, mentre il tema C vira alla relativa SOL minore (e poi DO e SIb minore, ma tutto secondo le regole). Quando il tema principale torna per l'ultima volta, lo fa (ma per poco) su un imprevedibile quanto eterodosso SOL maggiore. Ma è solo un attimo, perchè le buone creanze vengono tosto ripristinate, per la soddisfazione di tutti.

Roberto Cominati deve proprio essere arrivato all'ultimo momento per sostituire la Dinnerstein e probabilmente a corto di… preparazione su questo concerto beethoveniano (che comunque fa parte del suo repertorio). Così dentro la cassa del pianoforte ha adagiato lo spartito, aperto alla pagina… della cadenza (?) per poi sfogliarne alcune pagine dopo l'attacco del Rondo. La sua mi è comunque sembrata un'interpretazione più che discreta, forse un pochino troppo nervosa e meccanica, ma penso lo si debba ampiamente lodare, date le circostanze, e il pubblico non gli ha fatto mancare il suo sostegno, ricambiato da un bis.

Ecco poi la Patetica ciajkovskiana. Dove la Xian ha dato il meglio di sé, perfettamente coadiuvata dai professori. Lugubre e mesto l'Adagio introduttivo, poi pieno di fremiti sinistri l'Allegro non troppo ed efficacissimo il ritardando che porta all'Andante. La non dissimulata omosessualità di Ciajkovski non gli impediva di subire il fascino femminile, e le sue opere sono disseminate di grande musica scritta per donne: Onegin, la Pulzella, la Maliarda, la Dama, Iolanta. E per figure femminili di opere altrui aveva grandissima ammirazione: fra queste Violetta e Carmen (cui si ispirerà anche per la sua Dama di Picche) dalla quale ultima opera citò, più o meno letteralmente, diversi motivi in alcune sue famose composizioni, come il Concerto per violino e, appunto, l'ultima sinfonia.

E proprio nell'Andante, la seconda sezione del tema è una chiara reminiscenza del motivo che sorregge l'esternazione di DonJosé nel secondo atto, al termine dell'aria del fiore: Car tu n'avais eu qu'à paraître, Qu'à jeter un regard sur moi,
Pour t'emparer de tout mon être…
È un'atmosfera che troviamo anche nel finale della di poco antecedente prima di Mahler, una specie di magone (per i crucchi: Sensucht) tradotto mirabilmente in musica. Subito dopo attacca il Moderato mosso e qui c'è un colpo di teatro imprevedibile, procurato da uno degli occhi-di-bue che stanno appesi al soffitto sopra l'orchestra (più o meno sulla testa delle file dei fiati): la cui lampada si fulmina con uno scoppio che pare una fucilata (degna invero di sottolineare il finale dell'Ouverture 1812, smile!) e fa piovere una specie di razzo incandescente che per poco non fa secchi quelli che son destinati ad essere i protagonisti della sinfonia: primo fagotto e primo clarinetto. Ma nessuno batte ciglio e si continua come nulla fosse!

Il walzer sbilenco (5/4, 2+3) che occupa il secondo tempo è trattato con grande raffinatezza e leggerezza, tutto in punta di piedi: anche qui compare un intermezzo patetico (con dolcezza e flebile, prescrive Ciajkovski) e Xian ce lo propina con discrezione e senza troppa melassa.

Splendido l'Allegro molto vivace, dove è facile farsi prendere la mano e sconfinare in sguaiatezze e fracassi gratuiti: invece Xian lo imbriglia bene, sfogandosi soltanto nella serratissima conclusione che – dopo il poderoso ta-ta-ta/tà - scatena qualche isolato applauso. Così Xian deve ritardare di un attimo l'attacco immediato dell'Adagio lamentoso, condotto con grande equilibrio e senza cadute nel cattivo gusto. Alla fine, la cinesina esausta sembra quasi implorare da violoncelli e contrabbassi l'esalazione, pppp, dell'ultimo respiro. Successo a dir poco travolgente, ripetute chiamate per lei e ovazioni per tutta l'orchestra, con Raffaella Ciapponi (clarinetto) e Andrea Magnani (fagotto) in speciale evidenza.

Prossimo appuntamento con gli stessi autori, e due sinfonie piuttosto vicine – pur in modi assai diversi - al poema sinfonico.
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