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16 settembre, 2011

La “Verdi” apre la nuova stagione


Primo appuntamento della Stagione 2011-2012 per laVerdi all'Auditorium. Il programma è di quelli talmente classici da sfiorare lo stomachevole, ma una certa qual sostenutezza la si può anche accettare, data la circostanza inaugurale. Del resto, che laVerdi sappia come cavarsela anche con opere ed autori meno inflazionati è stato dimostrato non più tardi di domenica scorsa, con il trionfale War Requiem alla Scala.

Però, diciamo la verità, riproporre troppo di frequente titoli come questi fa correre un serio rischio: che i direttori e/o i solisti – tanto per differenziarsi e non venire tacciati di essere custodi di musei ammuffiti – e il pubblico – per non annoiarsi e sentire qualcosa di nuovo – propongano, e rispettivamente acclamino, interpretazioni cervellotiche o gigionesche, rendendo così un pessimo servizio alla musica. Grazie a dio ieri l'abbiamo scampata, ma non sempre è così…

È il 41enne Lars Vogt a cimentarsi d'acchito con un mostro sacro, l'Imperatore di Beethoven. Soprattutto nell'iniziale Allegro ne dà una visione nervosa, secca, con poco legato, quasi cattiva (ma qui siamo all'interno dei confini della sacrosanta libertà dell'interprete). Poi nell'Adagio un poco mosso tira fuori una buona cantabilità, scatenandosi ancora nel Rondò. Bravissima Xian nell'assecondare l'interpretazione del solista, lungamente acclamato e che ci allieta con questo bis.

Dopo l'intervallo la Fantastica di Berlioz. La riascoltiamo dall'Orchestra Verdi dopo circa 18 mesi (allora guidata da quello che oggi ne è diventato il Direttore Principale) e devo dire che ha fatto la stessa impressione – ed ha avuto lo stesso successo – di allora. Xian ne coglie tutta la nevrosi che la anima, già dalle Réveries-Passions (dove ci risparmia meritoriamente il ritornello dell'esposizione). Spettrale il bal, con le due arpe in evidenza, e sempre struggente la scena campestre: qui il bravissimo Emiliano Greci si allontana momentaneamente dal palco ed esce… non per fare pipì – smile! – ma per rispondere da lontano, con il suo oboe, al richiamo del corno inglese, imbracciato dall'altrettanto bravo Luca Stocco (non per nulla alla fine i due saranno ripetutamente chiamati per un applauso speciale). Il giusto livello di fracasso viene tirato fuori dalla marcia al supplizio, e infine tornano gli spettri (qui impersonati dal clarinetto in MIb di Jader Bignamini) a riproporre per l'ultima volta l'idée-fixe, ridotta a osceno sberleffo. Il Dies-Irae ruttato dalle due tube (oggi sostituiscono i vecchi oficleidi) porta al finale assordante, con le otto tremende terzine di tutta l'orchestra che sfociano nel conclusivo accordo di DO maggiore:


Manco a dirlo, pubblico praticamente in delirio.

Il secondo appuntamento sarà (quasi) tutto di marca ciajkovskiana.
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