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10 settembre, 2011

Un (mezzo) Fidelio e la Leonore3 trionfano alla Scala


All'annuncio della stagione 2010-2011 de La Scala, in molti avevano di certo pregustato la rappresentazione, in forma scenica, della straussiana Arabella, da parte della Wiener Staatsoper con Welser-Möst. Ma strada facendo (già a SantAmbrogio) corsero voci su cambiamenti di programma, poi la cosa fu ufficializzata: niente Arabella (rappresentata a Vienna giovedi sera!) ma Fidelio. Sempre Staatsoper, sempre Welser-Möst, ma niente scene, esecuzione in forma di concerto. E tanto per infierire, anche il concerto dei Wiener Philharmoniker, che si doveva tenere a ridosso di Arabella, è svanito nel nulla.

Ultima suspence, il minacciato sciopero degli addetti all'accoglienza del pubblico, che aveva francamente del grottesco, date le circostanze, e che è poi rientrato (pratica di solito attuata attorno al 7 dicembre, smile!)

C'è chi sostiene che la forma di concerto sia l'unica adatta a presentare Fidelio, falsa opera di un compositore cromosomicamente sinfonico e troppo freddo e razionale per distinguersi in un campo dominato da emotività e irrazionalità. Altri sostengono esattamente il contrario e fra questi Giorgio Pestelli, che ha riempito due terzi delle pagine del programma di sala per convincerci della teatralità di Fidelio. (Ma di solito, se si deve ricorrere a lunghe e verbose spiegazioni, significa che la tesi traballa… smile!)

Comunque, qui abbiamo proprio un'esecuzione in-forma-di-concerto: cantanti impalati davanti al loro leggìo, neanche l'ombra di qualche scimmiottamento sceneggiato. Gli unici movimenti sono quelli di entrata e uscita dal palco, prima e dopo aver cantato il proprio numero. I dialoghi parlati sono quasi totalmente soppressi, salvo pochissime battute, messe lì più per occupare il tempo dell'entrata del cantante sul palco che altro.

Lunghi applausi all'ingresso dell'Orchestra (70 elementi o poco più) e di Welser-Möst, ma l'Ouverture non scatena entusiasmi (persino i celebri corni lasciano un po' a desiderare…) e il Kapellmeister, dopo un paio di secondi di attesa (del mancato applauso…) attacca il numero di Marzelline (Anita Hartig, bella voce penetrante) e Jaquino (Norbert Ernst, tutto il contrario della Hartig) accolto da deboli battimani. Meglio va alla Hartig con la sua aria, applaudita peraltro freddamente. Nessuna reazione del pubblico al famoso quartetto, che di solito strappa uragani di applausi, né all'aria di Rocco (Hans-Peter König, che forse e senza forse è più adatto a fare gli Hunding e gli Hagen, che non un personaggio di mediocre statura come Rocco…)

Il pubblico resta indifferente anche all'aria di Pizarro (Albert Dohmen, che pure del ruolo è specialista) che avrebbe meritato assai di più, mentre si anima dopo l'Abscheulicher di Leonore (Nina Stemme, che peraltro mi è parsa deboluccia nella cosiddetta ottava bassa).

Insomma, il primo atto, nonostante un apprezzabile coro dei prigionieri (dove il tenore solista si fa sentire meglio di Ernst, pur trovandosi 20 metri più indietro) si chiude senza troppi entusiasmi ed anzi (mi sbaglierò forse) con un paio di timidi buh piovuti dal secondo loggione.

Però sappiamo che il meglio di Fidelio è il secondo atto, che infatti comincia – per me - nel migliore dei modi con l'aria di Florestan (un Peter Seiffert apparso in ottima forma) anche se il pubblico latita ancora. Però dopo la scena-madre e il Namenlose Freude di Nina e Peter cominciano a piovere applausi.

E qui arriva il piatto forte, nella più classica tradizione viennese, inaugurata a suo tempo da tale Mahler: la Leonore3. Quanto fuori posto è in una rappresentazione scenica, tanto è efficace per risollevare le sorti di un concerto! E siccome nessuno (o pochissimi) al mondo la sa suonare meglio dei Wiener, il successo è assicurato e il teatro viene giù, come si suol dire. Il quarto d'ora strumentale consente anche a Nina Stemme di restituire (immagino ad un orchestrale, smile!) il frac con cui fino a quel momento si era presentata (essendo maschio): svelati l'identità e il sesso, la bella svedesina (!) torna in palco con un lungo nero, a godersi il trionfo.

Sì, perchè da qui in poi è un entusiasmante crescendo, grazie soprattutto al coro di Thomas Lang (il cui nome nella locandina web non viene nemmeno citato… vergogna) e in minima misura grazie all'arrivo del super-ministro Don Fernando (un dignitoso Markus Marquardt).

Alla fine gran trionfo per tutti e ripetute chiamate per direttore, solisti e maestro del coro. Una serata, diciamo, un po' diesel, a lenta carburazione, ma poi chiusa in gloria. Forse, date le circostanze - recita blitz, immagino fatta senza rete (cioè senza una prova seria sul posto) - non era lecito chiedere di più…
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