intime gioje

chiuder la prigione e buttar la chiave

11 marzo, 2023

laVerdi 22-23. 19

Un altro Direttore sempre più lanciato avrebbe dovuto far ritorno sul podio dell’Auditorium: si tratta di Robert Trevino, che però ha dovuto dare forfait quasi all’ultimo, per motivi di salute. Così al suo posto abbiamo potuto conoscere da vicino il Petrenko… minore, Vasily (che non è parente del più celebrato Kirill).

In programma un Requiem (relativamente) moderno: quello che Benjamin Britten compose in memoria delle vittime della WWII.

Un’opera che è un’accusa al concetto stesso di guerra (Britten non per nulla era obiettore) integrando i poemi secolari di Wilfred Owen, intellettuale-soldato britannico della WWI, con i religiosi testi biblici.

Un’opera quanto mai di attualità in questi giorni, con una guerra che imperversa alle porte di casa nostra facendo massacri e disastri, e della quale non si vede la fine, nemmeno all’orizzonte più lontano. Un verso di Owen al proposito (Britten lo ha fatto seguire al Recordare…) è drammaticamente illuminante sulla schizofrenia umana, laddove il poeta chiede al suo cannone di colpire il nemico senza pietà, ma gli augura di essere subito dopo distrutto dall’Onnipotente! [Anche oggi si sostiene che ogni guerra giusta è sempre l’ultima!]   

La precedente esecuzione de laVerdi risale al settembre 2011, alla Scala, e in quella occasione scrissi qualche nota esegetica sull’opera, che ho poi rielaborato e pubblicato qui.
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Orchestra spezzata in due, come volle Britten: sulla destra del Direttore e di chi guarda c’è l’ensemble da camera; il resto del palco è occupato dall’orchestra grande e dal coro adulto (diretto da Massimo Fiocchi Malaspina) davanti al quale è dislocata Heather Engebretson, il soprano che canta quasi esclusivamente con il coro (o sola). I ragazzi, con la loro maestra Maria Teresa Tramontin, e l’organo (di Eugenio Fagiani) che li accompagna, sono invece dislocati remotamente, in galleria. Al proscenio i due soldati protagonisti della parte secolare del Requiem: il tenore Gwilym Bowen e il baritono Robert Bork.

Auditorium non proprio esaurito, ma popolato da un pubblico che alla fine ha lungamente applaudito tutti i protagonisti, chiamati a tornare alla ribalta per 4-5 volte e accolti con battimani ritmati e ovazioni.

Successo assolutamente meritato, nel quale vanno accumunati tutti quanti. Volendo proprio fare i fiscali, per quanto mi riguarda darei il massimo voto a Petrenko, una direzione, la sua, davvero autorevole: gesto preciso, secco, attacchi come rasoiate, massima attenzione alle dinamiche e all’equilibrio fra strumenti e voci; poi a Heather Engebretson, voce penetrante e ben intonata. Poi il tenorino Bowen, cui forse manca solo qualche decibel; e infine il baritono troppo… basso Bork, voce potente ma non proprio gradevolissima.

Va da sé che la base di questa ottima torta è costituita dall’Orchestra e dai Cori, invero impeccabili, per non dire perfetti nel decifrare e svelarci questa partitura che definire ostica e difficile è ancora poco.

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