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consulta e zecche rosse

29 novembre, 2014

Una Lady sovietica è attesa a Bologna (2)

 

Dopo aver esplorato da vicino il racconto di Leskov, da cui fu tratto il soggetto dell’opera, passiamo a considerare quali peculiari caratteristiche Shostakovich (coadiuvato dal librettista Preis) intese attribuire al suo lavoro, in funzione di precisi obiettivi estetici ma anche – e non proprio marginalmente – politici.

Sì, politici, poiché sappiamo, per ammissione stessa del compositore, che l’opera (la prima di un trittico, poi sfumato, sulla condizione della donna in Russia) nacque con precise finalità maieutiche: mostrare al pubblico – per denunciarli - i mali della società zarista, pre-rivoluzionaria; in particolare le condizioni disumane in cui venivano tenute le donne, trattate alla stregua di bestie d’allevamento e soggette in tutto e per tutto alla volontà e allo strapotere dei maschi-padri-padroni. E fare quindi di Katerina una vittima dei mali di quella società, destinata inevitabilmente a soccombere. Ma con ciò indirettamente esaltare la rivoluzione che quei mali doveva estirpare.

In funzione di questi obiettivi Shostakovich non esitò ad apportare al testo di Leskov una serie di modifiche, piccole e – soprattutto – grandi, cassando intere porzioni (e personaggi!) del racconto originale, modificandone sostanzialmente altre ed aggiungendo anche parecchio di suo. Non sto qui a descrivere i dettagli del libretto di Shostakovich, che sono ampiamente noti e comunque reperibili con facilità. Nello specchietto che segue – dove ai 15 capitoli di Leskov ho affiancato le 9 scene di Shostakovich, suddivise nei 4 atti - ho piuttosto cercato di sintetizzare i contenuti dei due testi per dare una sommaria idea delle differenze che li separano:



Molte delle deviazioni del libretto rispetto all’originale di Leskov sono assolutamente fisiologiche, quindi inevitabili, perché legate alla diversa destinazione delle due opere: è chiaro a tutti che un pezzo per il teatro - e ancor più per il teatro musicale - deve possedere caratteristiche di concisione di cui può benissimo fare a meno (anzi!) un racconto in prosa. Così si spiegano parecchie delle semplificazioni apportate da Shostakovich al testo di Leskov. (Poi, nel melodramma – ma non è proprio il caso della Lady - si perderà tempo interminabile stando fermi e immobili su un partiamo! ripetuto ventisette volte senza che alcuno muova un alluce…)

Altra quasi ovvia conseguenza del passaggio dal racconto all’opera è che nel primo, appunto, c’è un narratore che racconta, e solo qua e là troviamo qualche dialogo fra i diversi personaggi. In teatro viceversa deve necessariamente accadere l’opposto: l'azione e i dialoghi in presa diretta sono la regola e le rievocazioni e narrazioni l’eccezione. 

Ma veniamo agli aspetti più seri delle manipolazioni apportate all’originale di Leskov, che furono determinate, come detto, dagli obiettivi estetici e politici che Shostakovich si era dato. Obiettivi rispetto ai quali quel testo non pare perfettamente collimante: sul piano politico, poiché non contempla una esplicita e palese denuncia delle ingiustizie del regime zarista, limitandosi a descriverle con compassato distacco; su quello estetico, poiché il personaggio della protagonista principale possiede caratteristiche di eccessiva durezza, quasi disumane, poco adatte insomma a scolpire in musica quella varietà e ricchezza di sentimenti che evidentemente il compositore considerava ingrediente necessario per costruirci un’opera teatrale di alto livello.     

Va da sé che quando si prende un soggetto e lo si manipola per adattarlo a fini diversi da quelli originari, il rischio di provocare qualche crepa nella sua struttura è alto, e anche Shostakovich non vi è sfuggito del tutto, introducendo nel suo dramma alcuni (per fortuna pochi e tutto sommato perdonabili) tratti di scarsa plausibilità. Ma analizziamo qualche dettaglio (da quelli importanti ad altri francamente superficiali) seguendo cronologicamente i passi della vicenda, che a livello macroscopico Shostakovich non ha affatto stravolto.

La colpa di Katerina di non avere figli, la noia che la assale e i continui rimproveri del suocero: in Leskov sono aspetti importanti, e ovviamente vengono sottolineati a dovere, ma senza enfasi né estremizzazioni. Invece in Shostakovich c’è un deliberato intento di calcare la mano sulle vessazioni psicologiche cui la povera Katerina è sottoposta, evidentemente per portarci ad essere solidali con lei e quindi a comprendere - se non proprio a giustificare – le sue successive criminali azioni: fin dalla scena iniziale la vediamo letteralmente aggredita dal suocero che la accusa di non aver fatto il suo dovere, per il quale essa è stata sposata (mettere al mondo dei figli per trattenere in famiglia l’enorme patrimonio accumulato) e che sospetta che lei se la voglia fare con qualche giovane, in barba al marito. Nella scena (assente in Leskov) della partenza di Zinovy per il mulino, Boris costringe brutalmente Katerina a giurare fedeltà al marito sulla santa icona. Anche nella scena della baruffa in cortile Boris (assente nel racconto di Leskov) arriva e sorprende la nuora e Sergei in atteggiamento equivoco, abbracciati a terra dopo aver lottato (nel racconto Sergei si limitava a depositare Katerina sulla bilancia) e non perde occasione per redarguirla, promettendole di raccontare tutto al marito. Il suocero è anche presente subito prima e poi durante la scena dell’incontro amoroso di Katerina e Sergei (che in Leskov avviene quando Boris è fuori casa) prima per ingiungere alla nuora di mettersi a letto, poi per verificare che l’abbia fatto (vedremo fra poco come ciò comporterà una piccola ma chiara incoerenza nel testo di Shostakovich). Prima di questo incontro, Shostakovich inserisce ben due lunghe esternazioni di Katerina relative alla sua condizione di donna abbandonata a se stessa, che sogna le carezze di un amante: una chiara avvisaglia della predisposizione della donna verso eventuali attenzioni maschili, anche extra-coniugali, cosa che non troviamo proprio in Leskov, dove la passione amorosa di Katerina divamperà in modo esplosivo sì, ma soltanto dopo aver (per così dire...) subito il contatto carnale con Sergei. Addirittura – scena iniziale del second’atto – Shostakovich mette in bocca a Boris l’idea di provarci con la nuora! (per prendere due piccioni con una fava? soddisfare le proprie senili libidini e procurarsi un erede?!) Insomma, siamo proprio alla deliberata volontà di presentare allo spettatore un mondo – quello piccolo-borghese della provincia russa sotto lo Zar – a dir poco oppressivo e invivibile per una donna legittimamente assetata d’amore.  

La baruffa nel cortile e il ruolo di Aksinya: Leskov si limita a presentare la grassa cuoca Aksinya presa in giro dai contadini, che la pesano su una bilancia, mentre Katerina osserva semplicemente incuriosita, tanto che chiede di essere pesata a sua volta e poi accetta la sfida di Sergei ad una specie di braccio-di-ferro, da cui esce ovviamente perdente. In Shostakovich assistiamo invece ad un vero e proprio harassment di gruppo, anzi peggio, con la povera cuoca palpeggiata in tutte le parti intime da una torma di uomini arrapati, e in particolare da Sergei che arriva al punto da stuprarla. Evidente l’intento di mostrare un altro aspetto dell’inciviltà della società zarista, contro cui prende vivacemente posizione Katerina, che poi si mette a fare pure un pistolotto tutto politico - e femminista ante-litteram - sull’importanza delle donne nel mondo e nella storia! Ecco, questo è magari un dettaglio, ma assai poco plausibile: Katerina è una donna illetterata, proviene dalla plebe della Russia più feudale, mica dalle file delle guardie rosse! (E infatti in Leskov lei si limita a sostenere che anche una donna ha una considerevole forza fisica, a dispetto delle sue… misure.) Però a Shostakovich premeva presentarci una Katerina raziocinante, se non proprio una proto-rivoluzionaria. A proposito poi della cuoca, va ricordato il diverso trattamento che Shostakovich le riserva, rispetto a Leskov. Per il quale Askinya era stata solamente presa in giro dai contadini, e quindi – pur avendo inizialmente una cattiva opinione di Sergei - dopo l’innamoramento della padrona era diventata complice dei due amanti. Invece Shostakovich, avendo fatto subire ad Askinya – nella scena in questione - il peggiore degli affronti proprio da parte di Sergei, non può più farne una sua complice in seguito: ed infatti nell’opera la povera cuoca sparisce nel nulla dopo la disumana umiliazione cui è stata sottoposta!    

L’incontro carnale di Katerina e Sergei. La terza scena dell’opera viene modificata – non sostanzialmente peraltro - da Shostakovich per introdurvi di sua invenzione, ancora una volta, particolari sul trattamento vessatorio che Katerina subisce da parte del suocero. Abbiamo visto che, nel racconto di Leskov, Boris è fuori casa la sera in cui avviene la conoscenza biblica fra la nuora e Sergei: è andato da un parente per una festa e ha fatto sapere che rientrerà tardi, dopo cena. Quindi è del tutto logico e plausibile l’invito che Katerina – a cose fatte – rivolge all’amante ad andarsene, prima che il vecchio torni e, come evidentemente fa di solito quando il figlio è assente, chiuda a chiave, dall’esterno, la porta della sua camera. (Sergei risponderà che lui della porta se ne frega, perché userà la finestra: così rimane tutta la notte da Katerina). Shostakovich, come già detto, fa invece intervenire nella scena Boris per ben due volte e questa sua modifica si porta dietro (probabilmente senza che il compositore e il suo sodale Preis se ne siano accorti) un particolare del tutto illogico e in-plausibile (per quanto sia irrilevante ai fini del procedere della vicenda): vediamo di che si tratta. Dunque nel libretto dell’opera Boris arriva in camera di Katerina sul far della notte, per ordinarle di mettersi a letto e spegnere, per non consumarle inutilmente, le candele. Katerina lo assicura di farlo e Boris se ne va. Domanda: come mai Boris, accertato che la nuora si sta mettendo a letto, se ne va senza chiudere a chiave la porta? Shostakovich risponderà prontamente: ma perché da quella porta, pochissimo tempo dopo, dovrà entrare Sergei! Bene, allora immaginiamo che Boris si sia semplicemente dimenticato di chiudere la porta, il che dà a Shostakovich il pretesto per farlo tornare più tardi (a cose fatte, fra i due amanti): lui chiede a Katerina, da fuori, conferma che lei sia a letto, conferma che lei gli dà. Ed ecco qui la topica in cui Shostakovich è caduto: per voler (dover?) copiare Leskov, lascia in bocca a Katerina l’invito a Sergei ad andarsene, prima che il suocero chiuda la porta! Cosa francamente assurda, date le circostanze, poiché i casi sono due: o dobbiamo pensare che Boris se ne vada di nuovo senza chiudere, il che sarebbe francamente ridicolo, oppure è ancora lì fuori, pronto proprio a chiuder la porta e quindi se, puta caso, Sergei desse retta a Katerina e se ne andasse dalla porta, finirebbe direttamente (e anzitempo, rispetto ai tempi del dramma) in braccio al suo… carnefice! Ecco, tutto il tormentone serve solo a dimostrare come, quando si prende un mosaico e lo si disfa per manipolarlo, il rischio di non rimettere poi tutte le tessere al loro posto è assai alto.

L’omicidio di Boris. Nel racconto di Leskov, Katerina non assiste di persona alla fustigazione di Sergei (che avviene all’alba) e solo a cose fatte, e dopo aver parlato con l’amante attraverso la porta della cantina in cui è rinchiuso, chiede al suocero di liberarlo. Avendone ricevuto in risposta soltanto minacce di future punizioni (quando il marito tornerà) ha tutto un intero giorno (nessun dubbio quindi sulla premeditazione) per maturare la decisione di avvelenare, la sera di quello stesso giorno, il suocero. La cui morte e sepoltura vengono da lei vissute con fredda indifferenza, e da Leskov liquidate in poche righe. Shostakovich ci presenta le cose in modo un po’ diverso. Da un lato introduce (di sua invenzione) già nella scena iniziale l’argomento veleno per topi, accompagnato da una frase di Katerina che parrebbe una premonizione (quindi la premeditazione) del futuro delitto. Che però avviene in circostanze assai particolari. Shostakovich infatti comprime tutta l’azione del quarto quadro (a partire dalla scoperta di Sergei da parte di Boris, fino all’avvelenamento del vecchio) in pochissimo tempo, sul far del giorno: ecco allora che, in quanto provocato dalla profonda emozione derivatale dall’aver assistito di persona al terribile spettacolo del suo amante torturato dalle frustate del suocero, quello di Katerina (avvelenare i funghi che Boris le ha chiesto immediatamente dopo aver fustigato Sergei, non ore e ore dopo) ci appare come un gesto impulsivo e disperato, una reazione viscerale alla gravissima offesa subita, un’azione compiuta d’istinto ed in preda ad un autentico choc. Quindi qui siamo portati ad avanzare qualche ragionevole dubbio (come direbbe l’avvocato difensore in un’aula di tribunale) sulla premeditazione dell’omicidio, e a comprendere le ragioni della sproporzionata reazione della donna, se non proprio a giustificarla. Ma ora attenzione a cosa succede in presenza del sacerdote arrivato per raccogliere la confessione di Boris morente (nulla di tutto ciò in Leskov): Katerina si lancia in un appassionato addio al suocero, come se la sua morte l’avesse colta di sorpresa e riempita di dolore! Cosa dobbiamo pensare? Che la donna sia sconvolta dagli effetti della sua azione impulsiva e si stia cristianamente pentendo di ciò che ha fatto? O invece che sia anche una grandissima ipocrita? Beh, in entrambi i casi qui la drammaturgia di Shostakovich lascerebbe parecchio a desiderare. In realtà c’è anche una terza possibile spiegazione per questo che appare come un grave colpo all’integrità della figura di Katerina: che si tratti in fondo di un aspetto della sua fragile personalità, della sua difficoltà a sostenere con assoluta freddezza una situazione eccezionale che lei ha contribuito a creare. Cominciamo a conoscere una Katerina ben diversa da quella fredda e spietata raccontataci da Leskov. A proposito di questa scena, è mirabile l’invenzione di Shostakovich riguardante il curioso pistolotto funebre del sacerdote mezzo brillo, che tira in ballo addirittura Gogol! (A proposito dell’intenzione programmatica dell’Autore di fare dell’opera una tragica satira - o satirica tragedia?)

L’omicidio di Zinovy: come quello di Boris, anche questo viene pesantemente riveduto e corretto da Shostakovich, rispetto all’originale. Dove è – parliamoci chiaro - un omicidio premeditato bello e buono: quando, nell’idilliaco incontro sotto il melo fiorito in un pomeriggio d’estate, Katerina promette a Sergei di farne un mercante (condizione che lui ha posto per continuare la sua relazione con lei) è del tutto evidente che ha un solo e unico mezzo per soddisfare il desiderio dell’amante, e quindi garantirsi la felicità. A nulla potrebbe servire l’altro potenziale strumento, il divorzio, quasi impossibile da ottenere e soprattutto controproducente, in quanto le alienerebbe all’istante le simpatie di Sergei, che non saprebbe che farsene di una Katerina tornata povera in canna. E così lei ha parecchie ore per meditare su come mantenere la promessa, architettando l’omicidio del marito, da consumarsi non appena costui tornerà a casa sicuramente con l’intenzione di cogliere lei e l’amante in flagrante. E infatti anche le circostanze materiali dell’omicidio inchiodano Katerina: il marito Zinovy è sospettoso e minaccioso sì, ma in quel momento è anche disarmato e inoffensivo, mentre Katerina mostra fin da subito di comportarsi con la freddezza e la determinazione di chi ha pianificato tutto nei minimi dettagli (abbiamo visto come addirittura prefiguri al marito la sorte che gli toccherà di lì a poco!) In Shostakovich invece le cose stanno in modo diverso, assai più ambiguo, tanto che è difficile stabilire se Katerina stia agendo con premeditazione, oppure sia in balia degli avvenimenti. Intanto, dopo aver promesso a Sergei di far di lui un mercante, lei ha pochissimo tempo per pensare a come materialmente liberarsi del marito, che torna a casa proprio in quel momento! Infatti, all’udire i passi di Zinovy che si avvicina, la donna sembrerebbe cadere in preda ad un autentico panico (in Leskov, ricordiamo, rimane fredda ed anzi se la ride…) ma poi, di fronte alle contestazioni sempre più pressanti del marito (che ha subito notato la presenza di calzoni da uomo lì in giro) lei comincia a rispondergli con sfrontatezza, quasi a volerlo provocare (come fa in effetti in Leskov). Però nel racconto Zinovy si limitava a darle un ceffone prima di scappare terrorizzato (dalla presenza di Sergei) il che escludeva che la successiva reazione dei due amanti fosse giustificabile col doversi difendere da atti violenti del marito. Qui nell’opera invece, lui comincia a frustare la moglie con la cintura dell’amante: che lei chiama in suo aiuto (mentre è nascosto nel classico… armadio!) per difendersi dalla violenza del marito. Ecco, sembra che Shostakovich tenda quasi a derubricare l’omicidio - da volontario e con premeditazione - a poco più che eccesso colposo in legittima difesa, il che indebolisce però il nesso causa-effetto fra la promessa di Katerina a Sergei e le circostanze in cui la promessa si concretizza. Inoltre – e questo è un mutamento davvero radicale rispetto al racconto – Shostakovich fa vibrare il colpo di candelabro che finisce Zinovy non già a Katerina, ma a Sergei! (Forse è la glorificazione sovietica che esige che Katerina si sporchi il meno possibile le mani di sangue…) Non parliamo poi dell’occultamento del cadavere: in Leskov è un’operazione condotta da Sergei a regola d’arte (solo la sua confessione consentirà di riesumare i resti di Zinovy) mentre per Shostakovich è eseguito in tutta fretta e in modo sommario (così da rendere inevitabile in seguito la scoperta fatta dall’ubriacone…) Insomma, anche qui si ha la conferma della volontà di Shostakovich di trovare qualche pur vaga attenuante per Katerina, accentuandone la condizione di vittima di vessazioni e violenze. In definitiva, di rendercela degna di comprensione.  

L’omicidio di Fyodor: è la più macroscopica deviazione, rispetto a Leskov, di Shostakovich, che con l’omicidio espunge dalla vicenda anche la vittima, il piccolo Fyodor. Perché mai viene ignorato un fatto così assolutamente centrale nel racconto di Leskov, dove rappresenta precisamente il colpo-di-scena che improvvisamente fa virare di 180° l’intera vicenda e determina tutto lo sviluppo successivo dell’azione? La spiegazione è sempre la stessa: il contenuto propagandistico dell’opera. Che poteva benissimo contemplare che una donna umiliata dalla merdosa società zarista ammazzasse due persone adulte (incarnazioni di quella merdosa società) per legittima difesa o in risposta a gravissime offese e provocazioni, ma mai e poi mai poteva contemplare un atto odioso e infame, come l’ammazzamento di un piccolo innocente, quali ne fossero le ragioni! Anche qui una notazione di passaggio: ad accusarsi dell’omicidio di Fyodor è per primo Sergei (che poi scoppierà in lacrime - ! - alla vista della salma del fanciullo e confesserà anche l’omicidio di Zinovy, guidando la polizia al ritrovamento del cadavere accuratamente sepolto in cantina…) mentre Katerina dapprima nega tutto e poi, messa alle strette, confessa le sue colpe, ma sostenendo di aver agito per lui (il che è in effetti la verità). In sostanza: qui Sergei fa la figura del cristiano pentito e Katerina quella della belva disumana: a Shostakovich tutto ciò non poteva andar bene, da cui la decisione di cassare tutto.

Altra domanda: perché Shostakovich tace della gravidanza e del figlio di Katerina? È soltanto perché in un’opera musicale sarebbero un elemento di disturbo? Mah, qui si fa acuto il sospetto che un figlio rifiutato e sbolognato ai parenti ancora col cordone ombelicale appeso rappresentasse un autentico macigno sulla strada della glorificazione sovietica della povera Katerina…

Veniamo alla scena del matrimonio: che è pura invenzione di Shostakovich. Ed anche poco plausibile, stante il fatto che dalla scomparsa di Zinovy era trascorso troppo poco tempo perché il mercante potesse essere dichiarato ufficialmente morto e Katerina potesse così rimaritarsi. Però al compositore, in assenza della scena di Fyodor, la festa di matrimonio serviva evidentemente per determinare la drammatica svolta nella vicenda. E allora doveva essere adeguatamente preparata. Ecco così che, dopo l’uccisione di Zinovy, Katerina dice a Sergei: ora sei mio marito (in Leskov, più realisticamente, lei diceva: ora sei un mercante). E poi abbiamo visto in quale modo venga abbandonato il cadavere di Zinovy, per creare il pretesto all’invitato ubriacone di scoprirlo in cantina a causa della puzza insopportabile che ne emanava, essendo stato sommariamente coperto con qualche pietra. (Sappiamo invece da Leskov che il cadavere del marito di Katerina è talmente ben seppellito che nessuno l’avrebbe mai trovato, se non guidato dal… seppellitore in persona). Ecco, qui non si può non rilevare una certa debolezza drammaturgica della scena del ritrovamento del corpo di Zinovy in Shostakovich (legata alla scarsa plausibilità dei fatti antecedenti, col cadavere lasciato per giorni e giorni in cantina a putrefare!) ritrovamento legato oltretutto a banalissime circostanze, quando invece in Leskov è conseguenza della forte e sincera emozione che attanaglia Sergei al momento di assistere alla funzione funebre del piccolo Fyodor, cosa che lo porta a confessare anche l’omicidio di Zinovy! E a proposito di confessioni, per Shostakovich sarà Katerina (che già sentiamo inquieta e quasi terrorizzata all’inizio dell’atto terzo) a farsi prendere dal panico, all’arrivo della polizia accorsa dopo la soffiata dell’ubriacone, fino al punto da auto-denunciarsi, mentre Sergei opporrà viva resistenza all’arresto: è precisamente il contrario di ciò che leggiamo in Leskov, e ciò conferma la volontà programmatica di Shostakovich di presentarci una Katerina inquieta e insicura, lontanissima dalla donna passionale ma fredda, spietata e disposta a tutto che abbiamo conosciuto nel racconto. 

Anche la scena del Posto di polizia è inventata da Shostakovich. Una volta di più il compositore non perde occasione per denunciare lo stato di degrado, corruzione e inefficienza della società zarista. Però… attenzione: siamo in Unione Sovietica nei primi anni ’30, c’è Stalin che ormai imperversa, ci sono le purghe, lo sterminio dei kulaki e la polizia è ormai diventata strumento del regime. Vuoi vedere che questa scena (e con lei anche l’ultima) insieme alla condanna dello zarismo, contiene una indiretta critica allo stalinismo? Non è che l’improvviso ostracismo seguito al famoso articolo della Pravda del ’36 fosse (anche) dovuto al sospetto di Stalin e Zdanov che Shostakovich stesse mettendo in cattiva luce non solo la società zarista, ma anche i metodi staliniani?! (Sappiamo che Shostakovich tenne per tutta la vita un atteggiamento ondivago, addirittura equivoco rispetto al potere staliniano: era fervente rivoluzionario, ma rifiutava di prendere la tessera del partito; fu sull’orlo dell’eliminazione fisica, proprio dopo quel famoso articolo, poi però parlò personalmente con Stalin, dal quale ottenne rassicurazioni; ritirò la Quarta sinfonia temendo ritorsioni da Zdanov&C, poi presentò la Quinta come risposta di un compositore alle giuste critiche; accettò da Stalin in persona di far parte della delegazione sovietica presente a NewYork per la Conferenza internazionale di pace; a Stalin abbondantemente morto e sepolto si iscrisse al Partito Comunista (!) avendo accettato un’importante carica nell'establishment musicale sovietico; scrisse sinfonie dai titoli patriottici e inneggianti al regime per poi in privato dichiarare che erano pura finzione; quando potè nuovamente mettere in scena la Lady, senza pericolo per la propria incolumità, accettò di farne una versione edulcorata, trasformando addirittura la tessitura musicale di Katerina da espressionista a belcantista – cosa che non piacque alla Vishnevskaya, che per il film del ‘66 si fece ripristinare la parte originale…)

Il viaggio verso la Siberia. Anche qui Shostakovich ha tagliato parecchio e non possiamo francamente fargliene un torto. Fra i tagli ce ne sono almeno un paio da menzionare. Il primo riguarda il personaggio di Fiona: è vero che aggiunge poco al dramma, però in Leskov la ragazzona facilissima nei costumi quanto caritatevole nel cuore rappresentava (essendo moglie di un militare) un lato tutto sommato apprezzabile della società; una cosa, anche questa, che forse non faceva scopa (!) con gli obiettivi di Shostakovich. L’altro taglio, questo davvero notevole, riguarda la scena della fustigazione di Katerina da parte di Sergei, dopo che lei, scoperto l’inganno dei calzettoni, l’aveva preso a sputi in faccia di fronte a tutti. Qui dobbiamo dire che Shostakovich ha visto giusto: la violenza materiale su Katerina (le 50 frustate di Sergei) non aggiunge proprio nulla a quella, davvero tremenda perchè di natura psicologica, legata al tradimento di Sergei con Sonetka e al suo vile inganno. Il finale dell’opera, oltre a possedere una mirabile concisione, mette meglio in risalto (rispetto al racconto) il dramma di una persona violentata nell’anima più che nel corpo, che matura silenziosamente la decisione di farla finita, trascinando con sé l’ultima causa della sua infelicità. Geniale al proposito è l’idea di Shostakovich di inventare per la protagonista quella straordinaria esternazione che precede la drammatica conclusione dell’opera. Tornando poi all’ambivalenza della denuncia di Shostakovich, sarà il caso di ricordare come negli anni di composizione della Lady fossero in corso le deportazioni di massa di intere popolazioni: insomma, la scena del viaggio verso la Siberia - che Shostakovich arricchisce di dettagli, in particolare del canto disperato dei forzati - si attagliava altrettanto bene allo zarismo, come allo stalinismo!    
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Ecco, abbiamo cercato di scoprire i perchè della diversa luce in cui la protagonista viene posta da Shostakovich, rispetto a Leskov. In quest’ultimo Katerina – l’abbiamo conosciuta bene nel racconto - è una ragazza oppressa non già dalla merdosa società che la circonda, ma dalla noia del tran-tran che conduce. Ne è prova il fatto che, appena trovato l’antidoto – tutt’altro che rivoluzionario, ma vecchio quanto il mondo: il manico! – la nostra ragazza rinasce a nuova vita, o meglio tira fuori tutte le sue prerogative di donna forte e arriva a commettere addirittura tre omicidi volontari pur di garantirsi la continuità di quella nuova vita, nell’ingiusta (ma per lei divenuta assai comoda!) società zarista. Insomma, in lei c’è assai poco di impiegabile per i fini di Shostakovich: da un lato è una donna che nemmeno si pone problemi politici, dall’altro è praticamente un robot, spinto da un unico motore (l’amore, ma come si è detto: viscerale, cieco, selvaggio, nevrotico, feroce, egoista, possessivo, totalizzante e pure… criminale!) e come un robot senz’anima lei vive – sia pure per soli tre mesi, prima dell’inaspettata intrusione di Fyodor – il suo amore animalesco con Sergei, in tutta la sua pienezza e senza timori o sospetti nè pentimenti di sorta, tanto accurata e scientifica è stata la pianificazione e l’esecuzione dei delitti che hanno creato le condizioni materiali della sua realizzazione.

Shostakovich aveva invece bisogno – per ragioni ideologiche ed estetiche - di una Katerina assai diversa: una donna, non un robot! Un essere umano che soffre la mancanza d’amore imposta da una società governata da ingiustizie e avidità, una donna che per avere amore arriva persino ad uccidere, ma che sente immediatamente su di sé tutto il peso dei suoi delitti, come testimoniano la sua agitazione e gli angosciosi presentimenti che la pervadono già prima del matrimonio e della catastrofe. Insomma, una persona da compatire, quando in Leskov è piuttosto da temere!

Ecco, forse l’unico errore di Shostakovich è stato quello di conservare per la sua opera il titolo di Lady Macbeth: con la quale la sua Katerina non ha proprio nulla da spartire. E chissà che non sia stata questa constatazione, nel 1962, a suggerirgli per la nuova edizione il titolo di Katerina Izmailova. Perché difficilmente la Lady di Leskov avrebbe potuto ispirare al compositore la musica mirabile che ascoltiamo: i robot al massimo possono ispirare musica metallica, arida, senza emozioni né dolore né gioia.    

E allora avviciniamoci proprio a questa grande musica.

(2. continua)

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