Ieri sera ecco
il redivivo Ciro in Babilonia, tornato
presto sulle scene del ROF dopo il tardivo esordio del 2012, ovviamente con lo
stesso allestimento di allora, firmato da Davide
Livermore. Per le note introduttive sull’opera e i commenti alla regìa
rimando a quanto scrissi appunto in occasione della produzione originale, della
quale questa ripresa non ha proprio mutato alcunchè, salvo l’aggiornamento di poche
immagini filmate in cui appaiono gli interpreti principali.
E fra gli
interpreti ha trionfato l’inossidabile Ewa
Podleś, la cui voce sembra non risentire del trascorrere
degli anni. Certo, la fatica si fa sentire e alla fine si è avvertito lo sforzo
sovrumano che la cantante polacca ha dovuto sostenere nella scena XII, per lei
davvero massacrante, e poi nel finale concertato. Ma le ovazioni che il
pubblico che gremiva il Rossini le ha riservato devono averla ripagata con gli
interessi. Il suo non è un Ciro superlativo soltanto nel canto, ma anche e
forse soprattutto nell’espressione, nell’immedesimazione dell’interprete con le
mille sfaccettature del personaggio, di cui restituisce tutta l’umanità, il
pathos e insieme la severa, persino proterva inflessibilità nel punire il truce
Baldassare.
Pretty Yende conferma
la buona prova dell’esordio: efficace nelle agilità e nei virtuosismi, esibiti
con sicurezza quasi sfrontata, ma anche nella cantabilità dei passi più lirici,
dove esibisce buon portamento e pregevoli legati.
Antonino Siragusa è un Baldassare dignitoso,
la voce c’è, chiara e squillante, gli acuti sono raggiunti con evidente sforzo (sappiamo
bene come Rossini definisse le emissioni di petto, alla Duprez...) e il risultato
nel complesso è più che accettabile.
Degli
altri comprimari dirò bene di Alessandro
Luciano, che si conferma, come tenore rossiniano, assai più che una
promessa; e meno bene di Oleg Tsybulko,
uno Zambri dalla voce piuttosto ingolata e cavernosa. Meglio di lui Dimitri Pkhaladze che non ha sfigurato
nella parte del profeta Daniello, impersonata con sufficiente efficacia e voce bene
impostata. Il SIb di Isabella Gaudí è uscito
sufficientemente pulito e in più, rispetto alla storica interprete del ruolo di
Amira (Anna Savinelli, una gran racchia, almeno stando a Rossini) la cantante spagnola
vanta una presenza fisica di tutto rispetto!
Il coro di Andrea Faidutti, che Livermore veste in
parte con costumi babilonesi e in parte con abiti primo-‘900 (gli spettatori del cinema dove si proietta il Ciro) ha
dato come sempre buona prova di sè, nel canto ed anche nella recitazione.
Da ultimo, Jader Bignamini, al suo debutto al ROF e in
pratica al suo esordio col Rossini operistico (che io sappia, in precedenza
aveva diretto un paio di volte l’Ouverture del Tell e poi, di recente, con
laVERDI, un’antologia di brani rossiniani). L’ormai lunga consuetudine sinfonica
con l’Orchestra milanese di cui è oggi Direttore Associato (alla Xian) gli
permette evidentemente di trattare anche partiture di livello relativamente
modesto con la cura e l’attenzione ai minimi dettagli che si riservano
normalmente a un Beethoven o a un Mahler. È proprio ciò che emerge da questa sua
direzione, dove nulla sembra essere lasciato al caso o “tiratoviaallabellemeglio”.
E l’Orchestra del Comunale bolognese (che di per sè, con Mariotti, ha fatto
grandi passi avanti) ha risposto da par suo, come complesso e come singoli
(corno, violino e viola in primis, ovviamente).
Nessun commento:
Posta un commento