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21 agosto, 2016

ROF-37 Calato il sipario

 

Ieri sera, con l’ultima, applauditissima recita del Ciro, è calato il sipario su questa 37a edizione del ROF: ancora l‘immensa Ewa Podleś sugli scudi, autentica trionfatrice della serata e, direi, di tutto il Festival; successo anche per la Yende, Siragusa e gli altri comprimari, per il coro di Faidutti e per l’orchestra guidata ancora una volta in modo autorevole da Jader Bignamini. Pubblico ancor più straniero del solito: nella piazzetta antistante il teatro e nel piccolo foyer la lingua italiana era in netta minoranza, sovrastata dal tedesco, dall’inglese e da non meglio precisabili idiomi orientali.

Stando a ciò che i responsabili della Fondazione hanno anticipato, e anche da ciò che un frequentatore sporadico come il sottoscritto può testimoniare, quanto meno il successo di pubblico è stato evidente: teatro e arena sempre al tutto esaurito, accoglienza degli spettacoli dal caloroso al trionfale. Pubblico per l’appunto cosmopolita, ma di un cosmopolitismo del tutto diverso, per dire, da quello che si osserva regolarmente in un teatro come La Scala, dove gli stranieri abbondano, ma si scorge lontano un miglio che sono lì per fotografare e farsi fotografare in un tempio della lirica, mica certo perchè interessati allo spettacolo che si programma quella sera, di cui probabilmente nulla sanno e pochissimo gli importa.

No, qui a Pesaro arriva espressamente e da tutti i continenti un pubblico amante della musica, di Rossini in particolare, un pubblico ancora e sempre affezionato a questo Festival che si è storicamente immedesimato nella Rossini-renaissance. Persone che hanno probabilmente vissuto qui a Pesaro momenti esaltanti e che ci tornano regolarmente come vecchi innamorati per riprovare piacevoli sensazioni e rinnovare ricordi passati. Una coppia di teutonici che si trovava con me nello stesso palco confidava di non aver perso nemmeno una delle 37 edizioni del Festival, e di essere fermamente decisa a continuare così per il futuro, nonostante riconoscesse che non ci sono più le voci di una volta (e uscivano nomi quali Valentini, Ricciarelli, Blake, oltre al sommo Abbado...) Ecco, personalmente mi metto volentieri in questa compagnia.   

Certo, i tempi mutano per tutti e anche il ROF ha ormai da anni cominciato a cambiar faccia e pelle: da esclusivo proponente di edizioni critiche delle opere – anche le più sconosciute o bistrattate – del genio pesarese, si va trasformando in una specie di palestra rossiniana dove si sperimentano nuovi allestimenti dei lavori del grande Gioachino, e dove si presentano voci nuove che affiancano e via via sostituiscono quelle più storiche o già affermate. Tutto ciò comporta un evidente rischio di sovraesposizione: allestimenti spesso velleitari quando non letteralmente adulteranti i soggetti originali; e cantanti, pur promettenti, ma con esperienza ancora limitata, le cui prestazioni possono lasciare insoddisfatti i palati più raffinati.

Che dire? È il classico caso del bicchiere: per qualcuno è mezzo vuoto e quindi da buttare; per altri è ancora mezzo pieno e val la pena tenerselo stretto... (io mi schiero in questa seconda fazione).


La prossima edizione è già sbozzata come programma generale: salvo ripensamenti (peraltro assai frequenti qui) verranno proposte tre opere tutte alla seconda apparizione al ROF; tre opere che si collocano simmetricamente all’interno della produzione di Rossini: la giovanile Pietra di paragone (esordio 2002) la baricentrica Torvaldo e Dorliska (esordio 2006) e la matura Siège de Corinthe (esordio 2000). Con la riproposta dello Stabat Mater si chiuderanno verosimilmente i battenti. Arrivederci quindi al ROF-XXXVIII.

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